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Kozlov si risvegliò: il dolore aveva percorso la via che dal collo va alla testa e acceso le terminazioni nervose. Raddrizzò le spalle, anchilosato, con le braccia lungo i fianchi. Le scosse, formicolavano. Nel farlo la foschia che gli velava gli occhi si attaccò alle palpebre e vide un rivolo di saliva che scuriva il legno. Si era addormentato seduto al tavolo e ci aveva salivato sopra. Si rimproverò asciugandosi la guancia e toccando il principio della barba chiara di stocchi di mais.

Nella cucina calò la penombra, resistette qualche secondo e poi gli oggetti si rischiararono comunicando che la giornata era variabile e che, oltre al vento che il russo udiva bussare ai vetri, c'erano le nuvole.

Kozlov guardò verso la finestra e la luce gli disse che dovevano essere le otto. L'orologio da taschino confermò con una buona approssimazione. Si trasse in piedi, ma non stava bene. Le notti passate all'aperto nel sacco e l'ultima al tavolo gli avevano reso il corpo oppresso. La terraferma gli toglieva la fluidità di movimento che aveva sulla nave e in acqua.

«Capitano Avery.»

La cucina era immobile.

Kozlov si pettinò i capelli con le mani, rifece il bagaglio e vi ficcò il sacco arrotolato. Spolverò la giacca e la indossò, chiudendola. Guardò fissamente il tavolo pensando di scrivere un biglietto; invece si diresse alla crepa nel muro e vide che dall'altra parte il letto era rifatto e rimboccato con precisione.

Uscì e barcollò nel vento contrario delle Ebridi. Le pecore se ne infischiavano del clima, come il russo ebbe modo di appurare, e continuavano nell'opera di impoverimento del terreno brucando ogni erba commestibile.

Il secondo ufficiale girò intorno alla casa, allungò il passo verso il ruscello e individuò il capitano senza camicia con i calzoni arrotolati al polpaccio. Robinson Crusoe, mancano la zattera e una pecora presa a caso nel mucchio per partire all'avventura. Scosse la testa. Avery non aveva intenzione di partire per nessuna avventura.

«Capitano!»

Il vento gli rubò la voce.

«Al diavolo» disse Kozlov e scese il declivio. A metà si interruppe per capire cosa Avery stesse facendo e se fosse auspicabile disturbarlo.

Il capitano agitava un lungo bastone sopra la testa, avanti e indietro per prendere la mira.

Il luccichio rivelava all'ufficiale che doveva esserci una punta di ferro sull'estremità dell'asta e Kozlov pensò agli assassini di cormorani con le clave e gli arpioni. «Arpione, ecco cos'è.» Adocchiò il secchio che stava sulla riva, ma la forza del vento gli piegò le gambe e dovette sedersi sull'erba. Devo mangiare. Trasse dal bagaglio un barattolo di vetro di aringhe sotto sale. Infilò le dita, ne prese due, se le ficcò in bocca e masticò.

«Che fate? Mangiate da solo qualche diavoleria russa?»

Kozlov rivolse il viso all'uomo che gli si era accostato, la vicinanza coperta dall'urlo del vento. «Ho fame.»

«Sarebbe strano il contrario. Allungate la mano. Aringhe, da vero uomo del Nord. Venite, ho pescato qualche smolt. Non preoccupatevi, non ho alterato la vita dello spatey. Conto di non prenderne più.»

«Signore, devo tornare a Londra e comunicare il vostro rifiuto all'Ammiragliato. Intendo partire stamani.»

«La nave arriva giovedì.» Avery guardò i pesci morti nel secchio. «Non ho rifiutato l'incarico, ho preso qualche giorno per pensarci.»

«Mi sembra ovvio che non siete in condizione di...»

«Sto meglio di voi, John. Venite, alzatevi, e prego il cielo che abbiate altri calzoni in quel bagaglio, oltre alle bizzarrie da esploratore, altrimenti andrete all'Ammiragliato con merda di pecora sul deretano. Mettete via le aringhe, ho in mente una colazione marinara.»

Kozlov si alzò senza prendere la mano tesa. Anche se si trovava in un punto in basso superava Avery con metà della testa.

«Avete detto che vogliono che torni a Grand Cayman e mi può star bene. Mi sta bene tornare in mare, ma ho una condizione da porre che discuterò col Primo Lord dell'Ammiragliato quando entrerò a Whitehall.»

Kozlov taceva aspettando la domanda.

«Evans è morto nell'uragano dell'anno scorso ma Bolton l'ha scampata, a quanto ho sentito. Quanti del nostro equipaggio hanno raggiunto il regno dei più?»

Non era la domanda che Kozlov si attendeva. «Tre, signore. La maggior parte degli uomini si è dispersa quando ha saputo che non eravate voi il capitano.»

«Sanno eclissarsi meglio dei ratti quando le condizioni lo impongono. Le solite scuse, immagino, madri morte, donne ammalate, figli da maritare, arruolamento forzato. A proposito, quanti ne hanno presi?»

«Nessuno, a quanto ne so. Blight ne ha nascosti alcuni a casa sua.»

Il capitano emise la sua vecchia risata allegra. «Pendagli da forca dannatamente intelligenti! Ne potremo disporre, suppongo.»

Avery lasciò entrare Kozlov e chiuse la porta. Dovette forzare l'anta contro il soffio del vento. Poi rovesciò i pesci dentro l'acquaio, vi versò dell'acqua dolce presa da una botte e si mise a sfregarli.

Kozlov non osava sedersi e restava in piedi accanto al tavolo.

«Prendete l'acqua dal pozzo, è fuori a sinistra vicino all'agrifoglio, e datevi una sistemata. Dopo colazione andrò da un amico, suo figlio fa il pastore, gli affiderò le pecore e una lettera da consegnare a mio zio. È brava gente che non fa sgambetti, se capite cosa intendo.»

Avery diede un'occhiata al russo e prese il coltello per le eviscerazioni. Aprì la pancia di uno smolt con un unico colpo. «Se non ne avete uno potete prendere il mio rasoio. Quando avrete finito lasciatelo sul tavolo che devo radermi. Il mio amico ha una barca abbastanza grande e gli chiederò se può portarci a Mallaig.»

«Signore, non c'è altro che volete chiedermi?»

«Non siete ancora Ammiraglio, John. C'è altro che dovrei sapere?»

«La pirocorvetta.»

Di Pesce e di UccelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora