34. (PARTE SECONDA)

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La Sirena non riusciva a trovare una via accessibile

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La Sirena non riusciva a trovare una via accessibile. La Sirena Alata si era nascosta bene, attenta a non sostare in zone in cui comparivano stagni o pozze collegate al mare.

Dopotutto nel cervello animalesco ha la giusta dose di accortezza che le deriva, più che dall'istinto, io credo, da una riflessione.

Parlando con il Vento nella Grotta, la Sirena si disse lieta di vedere che le persone prendevano sul serio gli ammonimenti e persino chi non sapeva leggere i messaggi sparsi sui fogli appesi agli alberi ne veniva messo a parte da un parente, un conoscente o dal padrone.

Uno spazio della mente non dimenticava le imposizioni di Nettuno e per quanto poteva obbediva. Nella situazione attuale non poteva raggiungere Kyriake e attendeva che si mostrasse. Era quasi certa che in mancanza di cibo – il rappresentante aveva tenuto un discorso sul vecchio palco dove si impiccavano i traditori, raccomandando che ogni uomo non uscisse dal calar del sole all'alba – la Sirena Alata sarebbe presto scesa in città. Prima che accadesse sperava di trovare una soluzione e smaniava esortando il tempo a correre fino all'ora in cui avrebbe varcato la soglia della baracca dello stregone. Fidava che il vecchio potesse aiutarla. Non capiva da dove le derivasse la certezza o la disperazione, e a forza di pensarci aveva recuperato il giorno in cui il Vento le aveva suggerito che quell'uomo poteva essere un alleato perché l'aveva sorpreso dire di sapere cose di cui nessun altro aveva idea. Voleva conoscerlo di persona.

Finora lui è sempre stato il tramite che legava me, lo stregone e le sacrificate.

Quando finiva di pensare ai doveri, tornava alla vecchia eccitazione puerile di prepararsi per l'incontro. Aveva tirato fuori dalle sue scatole ogni sorta di gioiello – collane, ciondoli, medaglioni, orecchini, bracciali, anelli, gemelli da uomo e monili sfusi e rari – infilandoli e togliendoli con smorfie da attrice o danzatrice a seconda di cosa le ricordava la forma dell'oggetto. Per due ore i suoi discorsi di bellezza avevano intorpidito la manta più sveglia del serraglio, che alla fine si era rintanata sul fondale a gettarsi sabbia addosso con le pinne.

Poi era toccato all'acconciatura. Aveva deciso che per un aspetto regale avrebbe raccolto i capelli, ma non li avrebbe acconciati nel "covone" di Kyriake. Aveva sfogliato un libello erotico per osservare le pettinature in voga – come sono brutte le donne con i capelli divisi in due bande gonfie ai lati della testa e le bocche esangui e gli sguardi fissi come pesci! – e aveva deciso che non avrebbe aggiunto nulla, voleva lasciare il viso e i lobi scoperti di modo che gli orecchini di perle pendenti, che con fatica avevano vinto la sua preferenza, le dessero un languore e una parvenza di nume divino. Le perle vivevano del calore e dell'umidità del mare e non erano mai cambiate da che le aveva recuperate.

La luce che assumeva toni aranciati le mostrò l'avanzare del tramonto. Si rimise in acqua, salutò con voce squillante il Vento e gli uccelli nei pressi, e si diresse verso la capitale.

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