La Sirena era affiorata presso gli Scogli del Sacrificio e chiamò il Buran.
Il vento siberiano, che attendeva il suo comando, le s'inginocchiò davanti.
«È il momento. Scorta l'ufficiale Borya Kozlov e portalo sulla scogliera.»
Il Buran lasciò la superficie del mare e si impennò, risalì la scogliera, frustò gli arbusti e corse a cercare l'uomo di cui aveva invaso le pieghe della pelle fin dal primo vagito.
Kozlov percorreva Harbour Drive in direzione della spiaggia, tenendo la pirocorvetta nella visuale. D'un tratto avvertì il respiro gelato che gravava sulla nuca e due mani che gli si posavano sulle spalle. Il vento gli fischiò nelle orecchie e le punte dei capelli corti si mossero.
Il russo allungò il passo e disse al nulla: «Devo recuperare il fucile.» Arrivò sulla spiaggia e osservò palme abbattute e uomini storditi che si muovevano piano, toccandosi per capire se fossero interi. Alcuni indigeni erano stesi a terra, altri urlavano e si muovevano nel folto della foresta, correvano come avrebbero corso scimmie o uomini preistorici.
Kozlov vide la scialuppa rovesciata distante dalla riva, alcuni bagagli che galleggiavano e uno dei marinai imbarcati di forza, Bellis, che era riverso e tossiva nella sabbia, bagnato fradicio. L'ufficiale gli si avvicinò, si chinò su di lui e dovette gridare per farsi sentire.
«Aye, signore. M'hanno gettato fuoribordo e io appena so nuotare. Mi sa che me la sono cavata a pelo.»
«Vieni con me, devi aiutarmi a voltare la scialuppa.»
«Là non si tocca, signore, mi spiace. Non ce la faccio.»
Kozlov gli passò la pistola. «Tienili lontani, vado a recuperarla.» Si tuffò e nuotò in un mare che sprigionava lo stesso calore dell'altra volta, sintomo dell'inizio dell'uragano. Alzò gli occhi. Il cielo sopra la sua testa si era serrato, un maglio di acciaio per ammazzare gli uomini-buoi, e lungo la linea dell'orizzonte si allungava una striscia di un grigio più chiaro. Lo stesso mare in cui diguazzava e lo respingeva verso riva si era ingrigito striandosi di radici bianche, che nei pressi della costa si compattavano facendo assumere all'acqua una consistenza vaporosa. Le onde spezzate gli rammentarono gli spruzzi della valle dei geyser in Kamĉatka.
Raggiunse la scialuppa che beccheggiava capovolta e provò a rivoltarla con la forza delle braccia. Dovette presto prendere atto di non potere, allora avanzò e scorse uno dei remi che galleggiavano, lo prese, nuotò nei pressi dello scafo e si issò sopra quasi a cavalcioni. A bassa voce invocava il vento perché venisse in suo aiuto e sorvolò il mare con lo sguardo per trovarvi la Sirena. Lei non rispose e lui sentì il Buran che conduceva in un fiato la scialuppa verso la spiaggia. Doveva appena muovere il remo.
Con il mare alle ginocchia, Bellis attendeva, minacciando con la voce persone che non lo ascoltavano. Andò incontro al secondo ufficiale, avanzava nel mare con l'andatura di uno gnu zoppo e lo aiutò a voltare la scialuppa; salirono entrambi, Kozlov rimase al remo e ordinò all'altro di sgottare.
Il Buran pilotò l'imbarcazione alla pirocorvetta, ma prima di arrivare il russo vide la fiammata davanti ai portelli e udì il fragore e due palle sibilarono molto sopra la sua testa.
«Fermate il cannoneggiamento! Sono Kozlov!» Sparò un colpo in aria con la pistola a cui nessuno rispose. Respirava, privato della maggior parte delle forze, quando udì una voce provenire dai portelli dei cannoni e una mano sventolante.
Dentro, nella calura che puzzava di polvere da sparo, Griffin comunicò la venuta del secondo ufficiale al nostromo.
«E quei pipistrelli che fine hanno fatto? Come ha potuto avvicinarsi?» obiettò Blight in un rantolo rauco.
Griffin guardò il rettangolo di spazio luminoso fra la bocca del cannone e la paratia di legno e rispose: «Il vento si è rafforzato, forse li ha sparpagliati.»
«Qualcuno deve tornare in coperta.»
Di fronte a Blight, facce impassibili nella semioscurità comunicavano il diniego e l'implicita frase: «Andate voi», la stessa che il nostromo aveva rivolto senza essere chiaro. Era uno di loro, la pensava allo stesso modo e detestava i pipistrelli. Ma il suo grado gli permetteva ciò che agli altri era impedito.
«Cristoforo, tu sei abituato alle bestie della tua terra. Prendi un fucile e vai in coperta a lanciare la biscaglina al signor Kozlov.»
Cristoforo si avviò; da dietro le sue spalle uscì un sospiro generale di sollievo. Il timoniere prese il fucile e una sciabola corta e salì verso il boccaporto, lo aprì con cautela e vide l'aria bianca e vaporosa, la stessa che preannunciava lo sconvolgimento a cui aveva assistito diverse volte. Ebbe meno paura dell'uragano che dell'orda di chirotteri che aveva investito la nave, costringendo chi era sul ponte a rifugiarsi sottocoperta. Notò che il vento si era ingrandito e gli ghiacciava l'interno della bocca, non ne aveva mai assaggiato di così freddo. Gli faceva dolere i denti cariati e gli grattava la gola.
Raggiunse la biscaglina, che era un grumo di corda a babordo; la sollevò. Il vento gli carezzò i capelli crespi tirati in avanti e ritti.
Cristoforo non vide nessuno; dovette tagliare passando accanto alla botola della fumarola e posizionarsi a tribordo dove c'era la scialuppa. Gettò la biscaglina, che si allungò sfregando contro la murata.
Kozlov si afferrò a uno scalino di corda e salì sbatacchiato dal Buran che lo pungolava perché si sbrigasse. Il Buran pensò che i bambini erano svelti, Borya lo era stato quando scappava dalla neve portandosi dietro la slitta, ed era il grande vantaggio che avrebbero sempre avuto sugli adulti, a meno di essere frenati dalle malattie.
Kozlov ignorò Cristoforo che chiedeva ragguagli sulla situazione dell'isola, preoccupato per i suoi parenti in vita che vivevano a West Bay. Scese nel quadrato, proseguì verso lo spogliatoio, prese il fucile di Robert Deadman, lo svolse e se lo caricò in spalla. Toccò con la mano la tasca zuppa della giacca blu e si chiese se la polvere fosse sopravvissuta alla nuotata. Per essere sicuro passò dalla santabarbara; nell'oscurità e a tentoni trovò le casse di polvere fine. Presa da uno scaffale un'altra fiaschetta, la riempì. Versò alcuni grani sul pagliolo.
Di fronte all'ennesima domanda di Cristoforo, che lo tallonava, Kozlov rispose: «È probabile che i tuoi parenti siano impazziti, e credo che solo il cielo sa se si salveranno. Ho visto un mucchio di gente salire verso il Forte e credo che fra poco sentiremo sparare. Posso pregare che tutto si sistemi con il minor numero di danni.» Poi si fermò e scrutò gli occhi lustri del timoniere. «Come puoi sentirmi? Non hai i tappi?»
«Signore, prima dell'arrivo dei pipistrelli ho visto immagini immonde e credo sia stata lei a farmele vedere, ma ho pensato al bene che i bianchi hanno fatto a me e alla mia famiglia. Forse loro covano rabbia e il sortilegio ha attecchito.»
«Cristoforo, ho un dovere da compiere per la Sirena, non posso trattenermi.»
«La Sirena? Voi l'avete vista?»
«Sì, e mi ha parlato. Lo senti questo vento? È venuto a prendermi per suo ordine.»
Cristoforo fissò il russo e pensò che quell'uomo avesse ricevuto un dono che pochi potevano vantare. Suo nonno aveva intravisto la Sirena da lontano e lei non si era mai mostrata a chiedere un favore. Lui e molti altri indigeni parlavano della divinità delle Cayman e tenevano viva la leggenda perché credevano senza aver visto, e lui si sentiva beato al pari dei cristiani che l'avevano istruito e dicevano lo stesso di chi non aveva mai visto il Salvatore. Tuttavia, in quel momento, invidiò Kozlov: gli parve che l'ufficiale fosse un eletto, ormai diverso e lontano da sé e dai suoi amici e conoscenti. Lo guardò discendere dalla biscaglina, il fucile in spalla. Lo seguì mentre tornava verso la spiaggia con un remo solo e la barca filava quasi avesse un motore.
Lui ha visto la Sirena e dice la verità.
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Di Pesce e di Uccello
MaceraGrand Cayman, giugno 1847. Durante la ricostruzione successiva all'ennesimo uragano, sull'isola giunge una straniera che ben presto diverrà la nemica contro la quale la Sirena del Mar dei Caraibi dovrà combattere per difendere se stessa e l'arcipela...