32. (PARTE PRIMA)

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Era successo troppo in fretta

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Era successo troppo in fretta. Kozlov se ne rese conto abbandonati dietro le spalle i dintorni della Stanza, tornato sulla strada degli esseri umani. Ogni parola della conversazione – di cui dovette ammettere la naturalezza sbalorditiva – era fissata nella memoria e gli comunicava quanto era stato avventato, sciocco, superficiale, quante cose aveva tralasciato e con che faciloneria era divenuto lo schiavo della Sirena. La codardia lo nauseò e non riusciva a sopportare il fatto che lei potesse avergli impartito un comando a cui lui non poteva sottrarsi, come era accaduto ai due marinai della pirocorvetta.

Non sarebbe dovuto andare a ficcanasare. Adesso non sarebbe servito a niente il pentimento, anzi, la sua famiglia – se ne fosse stata messa al corrente – lo avrebbe condannato. Gli era stato insegnato che non sarebbe emerso alcun ripensamento con una condotta impeccabile.

Che razza di traditore sono diventato, pensò. Si sedette a riposare sotto una palma e avvertì la pesantezza del pacchetto di erbe nella tasca dei calzoni.

Vista da vicino non pareva letale. Nemmeno certi serpenti, per questo. Anche la neve, che ai fanciulli piaceva tanto, soffice e immacolata, uccideva. E non era una morte pulita.

Poteva tirarsi indietro e condannare la nave e i suoi occupanti. La Sirena non avrebbe tollerato una promessa infranta e con il suo potere li avrebbe condotti in fondo agli abissi, fermando il loro tempo. Kozlov pensò agli orologi di cui lei aveva parlato. La Sirena aveva rivelato senza volerlo il destino della fregata; non era altro che la conferma di un sospetto che lui aveva avuto sin da quanto Bolton e i superstiti erano tornati per comunicare la morte di Evans e dei compagni.

Kozlov ripercorse di nuovo ogni parola, ma nella stanchezza andavano confondendosi, si accavallavano, prendevano una la voce dell'altro e viceversa. Il ventre gli doleva, si era sforzato troppo. Se fosse rimasto seduto non sarebbe riuscito ad alzarsi e aveva timore di cosa sarebbe successo. Aveva troppe cose da fare e un segreto a pesare sopra.

Si mosse, si alzò, si sorresse alla palma e avanzò piano con movimenti di tartaruga. Il calore dell'aria non accennava a diminuire. Ascoltò le campane della chiesa che batterono improvvisamente l'ora trafiggendo il pomeriggio con i rintocchi. Uno, due, tre. La conversazione con la Sirena gli aveva preso solo tre quarti d'ora, se aveva fatto bene i conti. Non aveva pensato ad Avery e all'ira che ne sarebbe scaturita qualora l'avesse colto in traffici soprannaturali. Il capitano gli aveva reso chiaro il suo pensiero in merito.

Il russo non poteva circuire la sua anima con la bontà dell'intento: non intendeva ingraziarsi la Sirena per salvare Avery, per ripristinare un vantaggio che credeva perso dopo la faccenda dell'indigena. Tuttavia, nessuno gli assicurava, rifletté in quell'istante, che, esaurito il favore di portarla nella capanna dell'entroterra, lei non lo facesse scomparire come le moltitudini di uomini di cui non era rimasta traccia.

«È successo troppo in fretta» disse alla strada che conduceva all'ospedale. 

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