Punizione con Piton

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Mi sveglio col cuore in gola e le dita strette intorno alla corteccia dell'albero su cui sono appollaiata, ritrovo l'equilibrio respirando profondamente. Stavo per cadere dal ramo spesso su cui mi sono addormentata, è abbastanza alto ma fortunatamente l'unica vittima è stata la pergamena su cui scrivevo il compito per il professore di Storia della Magia.
Lascio scivolare la penna e l'inchiostro, miracolosamente intatti, nella borsa che mi butto in spalla senza troppa cura, mi alzo in piedi sul ramo resistente e passo con un balzo attento a quello vicino, leggermente più in basso. Ora mi abbasso e rimango appesa al ramo solo con le braccia, mi dondolo un paio di volte avanti e indietro prima di balzare sul ramo più basso di circa due metri, ci arrivo faticando leggermente a ritrovare l'equilibrio, da qui con un balzo tocco terra senza problemi.
Afferro la pergamena e la metto con cura nella borsa, scopro che non era l'unica cosa a essere caduta, a poca distanza c'è anche l'orologio che ho comprato quest'estate a Diagon Alley.
Lo raccolgo e ne pulisco il vetro con la manica, le lancette si muovono ancora, sospiro, non si è rotto. Sono le otto meno un quarto.
Le otto meno un quarto.
Ho la senzazione di scordare qualcosa.
Le otto meno un...
Le otto.
La punizione con Piton.
Le gambe tremano prima di scattare veloci verso la scuola.
Sono le otto meno dieci quando arrivo in Sala Grande, Harry, Ron ed Hermione non si vedono, i gemelli neppure. Mi avvicino all'unico volto noto.
-Ciao Ginny- dico prendendo fiato piegata in due.
-Ciao...è tutto okay?- chiede incuriosita. Scuoto la testa.
-La punizione- prendo fiato, -Con Piton- fiato,-alle otto-.
-Oh... ti consiglio di scendere subito, lui se ne è andato da un pezzo e mancano due minuti alle otto-.
I miei occhi si sbarrano -No, ne mancano almeno dieci, guarda- le mostro l'orologio.
Scuote la testa -Il tuo è indietro- mi porge il braccio.
Sento la gola seccarsi in pochi istanti, -Non può essere...- sussurro ma le mie gambe sono già in movimento.
Non posso arrivare in ritardo.
I miei piedi si muovono veloci inciampando nei gradini. Raggiungo la porta dell'ufficio con uno strano sapore in bocca. La apro velocemente urlando -Mi scusi! Sono in ritardo!-.
-Questo lo vedo- fa lui freddo.
Solo ora mi accorgo che non siamo soli. Draco è seduto su una delle sedie davanti alla scrivania, mi da le spalle.
-E vedo anche che non hai bussato- gelido, -Esci...Subito!- grida vedendomi indugiare.
Attraverso la porta che si chiude con un forte tonfo alle mie spalle.
-Scusi- borbotto.
Respiro profodamente mentre mi appoggio al muro, è freddo, piccoli brividi mi percorrono la schiena.
Una mano sale sino ai capelli ancora raccolti, con un gesto fluido e svelto li scoglie, ricadono sulla schiena creando un lieve tepore molto piacevole. L'elastico e le mollette scivolano piano nella tasca mentre la mano, ora libera, si posa sul collo tiepido.
Sospiro.
Il silenzio che aleggia nel piccolo corridoio da i brividi. Passano diversi minuti prima che la porta si riapra rivelando il ragazzo biondo dagli occhi grigi.
-Ehi!- si chiude la porta alle spalle -Bel discorso questa mattina-.
-Ah...sta zitto!- mi avvicino alla porta lentamente.
-Ti consiglio di bussare- dice ridendo mentre sale le scale.
Seguo il consilio e busso con decisione.
-Avanti- dice Piton secco.
Apro lentamente la porta e oltrepasso la soglia con serietà. Il professore è seduto alla scrivana, i suoi occhi scuri fissi su di me mi studiano. Si alza velocemente e mi raggiunge oltrepassandomi.
-Seguimi-.
La camminata che affrontiamo non è molto lunga ma estenuante perchè immersa nel silenzio.
Arriviamo a destnazione in una decina di minuti passando sotto gli occhi di tutti i ragazzi che dalla Sala Grande raggiungono i loro dormitori, siamo nella torre ovest.
L'ultimo piano è occupato dalla Guferia, una stanza circolare che ospita i gufi della scuola e di tutti gli studenti.
Mi fermo sulla soglia con sguardo interrogativo.
Piton mi porge la mano -La bacchetta, prego- la sua voce è fredda e disinteressata, gliela consegno titubante.
-Cosa devo fare?- borbotto visibilmente confusa.
-Pulire- dice secco.
-Cosa? Tutta la Guferia?- la mia voce suona sconvolta.
-Mi sembra ovvio- si apre un sorriso ironico sul suo viso, -Per quale altra ragione l'avrei portata qui, altrimenti?-.
-Ci vorrà tutta la notte!- dico quasi urlando.
-La cosa non mi tocca- fa serio. -Muoviti-.
Respiro profondamente ed estraggo l'elastico dalla tansca in cui lo avevo abbandonato poco prima, lego i capelli in uno chignon disordinado e arrotolo in fretta le maniche della camicia. Davanti a me compaiono un secchio d'acqua e altri strumenti per lavare. Un' altro respiro e nel silenzio comincio a scontare la mia punizione.
Il professore, dopo aver acceso alcune lanterne, si siede su uno sgabello apparso dal nulla e inizia a leggere un libro spesso e dall'aria pesante. Lo chiude solo diverse ore più tardi quando giunge al suo termine per aprirne un più grande e vecchio.
Mi asciugo il sudore dalla fronte mentre strofino l'ultima piastrella con forza e perseveranza, le braccia, le mani e le ginocchia urlano di dolore ma non darò a Piton la soddisfazione di vedermi la sofferenza dipinta sul volto, ho sopportato di peggio.
Mi alzo barcollando, gli occhi sono pesanti e il respiro affannato.
-Posso andare, Signore?- chiedo fulminandolo con lo sguardo.
Alza gli occhi dal libro con aria annoiata e mettendosi in piedi inizia ad analizzare il mio lavoro, sembra dispiaciuto mentre mi riconsegna la bacchetta. Sul suo volto si vedono i segni della sanchezza.
-Si- dice freddo.
Mi volto in fretta e raccolgo la tracolla abbandonata in un angolo. Sfeccio veloce fuori raggiungendo l'entrata del castello di corsa, alla sola luce della bacchetta.
Lungo le scale il nervosismo e la rabbia trattenute si liberano riempiendo di calci il corrimano in pietra, mi calmo solo quando le gambe fanno troppo male per continuare e iniziano a cedere sotto il peso del corpo.
Respiro.
Continuo sino al dipinto della Signora Grassa che trovo addormentata, il suo russare sonoro è inframezzato da piccole frasi come ad esempio: "Brava, molto brava", "Voce stupenda", "Grazie".
La sveglio bruscamente dicendo in tono rabbioso la parola d'ordine.
Controvoglia mi lascia entrare dopo una ramanzina che ascolto appena.
La Sala Comune è deserta.
Arrivo in camera silenziosamente.
Sono quasi le quattro.
Sospiro e mi calmo gradualmente.
Faccio cadere la borsa a terra e calcio via le scarpe.
Mi lascio cadere sul letto senza nemmeno cambiarmi, gli occhi si chiudono in un secondo portandomi nel mondo degli incubi, ma anche loro si spengono prima di cominciare, la mia mente è troppo stanca per produrli.

Mary Lloyd, la chiave e il volto del maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora