Un aiuto non richiesto - Parte seconda

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Per un istante mi manca il respiro e il sangue si tramuta velocemente in ghiaccio nelle mie vene.
Quando c'è anche qualcun'altro con me è più facile respingerlo o scacciarlo con le parole, ma ora la gola è arida e impossibilitata a produrre un qualsisi tipo di suono, che abbia un senso.
-Possiamo parlare ora?- chiede sfoggiando un perfetto sorriso, è più simile a un'affermazione che a una domanda. -Non mi sembri particolarmente impegnata-.
Socchiudo le labbra nel tentativo di rifiutarmi, ma poi il mio sguardo si sposta alle spalle di Malfoy, ci sono Tiger e Goyle, e questo significa che ne mancano almeno due all'appello, delle persone che lo seguono sempre: Pansy e Zabini.
Non ho bisogno di dire nulla, conosce già la risposta.
Indietreggio di qualche scalino cercando di sottrarmi al profumo di Malfoy, devo prendere la chiave e dopo potrò andarmene. Serro le labbra e mi volto incontrando gli occhi azzurri di Pansy che seria controlla ogni mio movimento, nella sua mano sinistra è stretta la mia collana da cui pende la chiave in ferro.
-Ridammela!- ringhio a denti stretti e sul suo volto si apre un sorrisetto malevolo degno di una Serpeverde.
-A dire il vero è molto bella, potrei anche tenermela- dice con la sua voce stridula.
Sto per parlare quando la voce di Malfoy mi distrae. -Non preoccuparti, dopo te la ridarà. Volevo parlarti di quello che è successo durante le vacanze- lo sento fare un piccolo passo nella mia direzione.
Quando mi volto ritrovo il sorriso di poco fa. -Seguimi- mi invita con un gesto della mano. -Andiamo dove non ci disturberà nessuno-.
Parla come se lui potesse tranquillizarmi. Stringo i pughi e seguo la testa bionda di Malfoy che sale le scale per poi scomparire voltando un'angolo, entriamo in un corridoio con molte aule, in religioso silenzio.
Cos'altro potrei fare? Non posso lasciare a loro quel maledetto ciondolo, è la cosa più vicina a un passato che mi rimane.
Io e Malfoy entriamo in una piccola aula che credo venga usata per le lezioni di Antiche Rune mentre tutti gli altri restano fuori oltre la porta che ora è chiusa.
Mi blocco vicino alla cattedra con le braccia conserte mentre lui si issa a sedere su un banco per poi piegarsi, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Indossa la divisa, la camicia è fuori dai pantaloni e il nodo della cavatta lento.
Sono di nuovo in trappola.
Dopo una decina di secondi passati a osservarmi rompe il silenzio. -Come stai?- il suo tono sembra quasi preoccupato, il volto esprime tristezza.
-Male- dico io secca. -Non è che potresti muoverti? Ho...ho da fare...- bugia.
Il suo sguardo si indurisce di nuovo. -Non volevo accadesse tutto questo, non volevo che lei...- non riesce a continuare. -Avrei voluto aiutarti in qualche modo, ma...-.
-Ma non lo hai fatto!- urlo senza nemmeno accorgermene.
-Ho cercato di...- tenta di giustificarsi raddrizzando la schiena.
-Non hai cercato di fare proprio nulla! Sei rimasto fermo a guardare mentre quella donna mi torturava! Sei stato tu a portarmi da loro!-.
-Questo non è vero!- si alza in piedi di scatto avvicinandosi pericolosamente. -Io non volevo nemmeno che venissi! Ed ero certo che loro non sarebbero stati lì!-.
-Sì, come no! E sono sicura che la strada che hai scelto fosse la migliore, la più sicura, per farmi avvicinare o loro. A quel punto non sarei più stata un tuo problema, non è vero?-.
-No! Io cercavo di farti uscire, ricordi? Non volevo questo...- il suo è quasi un lamento.
-Io ricordo solo che nel momento del bisogno sei rimasto fermo a guardare...- dico fredda abbassando improvvisamente la voce e facendo un passo indietro, sono quasi con le spalle al muro.
-Non lo ho fatto- si volta con le mani tra i capelli, sembra sconsolato. -Hanno punito anche me, quando sei svenuta io non più potuto resistere e ho schiantato mia zia dicendole di non toccarti...-.
Mi guarda e per un'istante incrocio i suoi occhi, l'odore di menta sembra di nuovo buono, ma la mia testa mi riporta al dolore che provo ogni giorno con una fitta, è stata colpa sua. -Non ti posso credere...- dico in un sussurro.
-Posso mostrarti che lo hanno fatto- mi guarda con gli occhi spalancati.
-Probabilmente continuerei a non crederci- dico spostandomi leggermente più indietro, mi sento sempre più a disagio.
-Tu dicevi che non era vero, ma io ti avevo avvertita, ti avevo già detto che mi avresti odiato una volta scoperto cos'era la mia famiglia-.
-Non è la tua famiglia, sei tu... se me lo avessi detto prima non avrei reagito così-.
-Non potevo dirtelo, se loro avessero scoperto che lo avevo fatto...mi avrebbero...avrebbero...-.
-Cos'avrebbero fatto?- chiedo seria e fredda.
-Mi avrebbero punito- punta lo sguardo a terra.
-Da quello che dici tu è successo comunque...- gli faccio notare fingendo che non mi importi.
Lo vedo scivolare lungo un banco prima che si sieda per terra, con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Il silenzio cade tra noi per diversi secondi prima che uno dei due si decida a parlare.
-Dammi un'altra possibilità, sarà diverso, non ti toccheranno mai più. Non ci saranno più segreti...- alza i suoi occhi su di me.
No!
"Ma lo vorresti...".
No, non dopo quello che è successo.
"Ammettilo. Lo odi perchè non puoi più amarlo...".
No, io lo odio.
"Ammettilo...non lo saprà mai nessuno..."
Forse potrei...
-Non posso farlo-.
Abbassa lo sguardo cupo.
-Non possiamo semplicemente ricominciare come se nulla fosse- mi affretto ad aggiungere e mi auto costringo ad avvicinarmi, anche se di poco. -Guarda, anche quello che hai fatto per parlare con me, sai bene che quel ciondolo mi serve, e non appena ne hai avuto l'occasione lo hai usato per costringermi a farlo. Avresti dovuto aspettare, forse un giorno avremmo parlato di nuovo-.
-No, non sarebbe successo- dice con gli occhi freddi e spenti.
-Forse no- ammetto prima di abbassarmi sulle gambe, fino a che i nostri occhi non sono più a meno alla stessa altezza. -Sei stato tu a dirlo a Piton?-.
Mi osserva attentamente e poi si fissa di nuovo sul pavimento tra i suoi piedi. -Sì, ma lo sapeva già. Gli ho chiesto di aiutarti perchè non potevo vederti soffrie ogni giorno. Ti vedo ovunque e penso di non essere l'unico ad aver notato che sei sempre persa nei tuoi pensieri e pallidissima, o le tue espressioni addolorate-.
-Non voglio il suo aiuto e nemmeno il tuo- mi limito a dire risollevandomi. -Posso andarmene ora?- mi avvicino alla porta.Sento il suo corpo muovermi alle mie spalle e in un secondo me lo ritrovo vicino, incatena i suoi occhi nei miei, sono così freddi e tristi.
-Parliamo ancora-.
Sospiro. -Non lo so-.
-Non voglio farti del male, ma so già che dirò delle brutte cose quando ci vedremo di nuovo. Non ascoltarmi, non riesco a trattenermi-.
-Okay...ma dovresti imparare a farlo- dico senza guardarlo, prima che lui mi superi uscendo dalla stanza. Lo seguo senza dire una parola e nello stesso modo raggiungo la Sala Comune di Grifondoro dopo che mi hanno ridato la chiave.

Mary Lloyd, la chiave e il volto del maleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora