Capitolo 3

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Aveva camminato al buio quasi totale per un tempo difficile da precisare.
Fortunatamente la notte non era scesa completamente cieca. Nel cielo la luna riverberava coperta dallo strato nuvoloso che sparpagliava la luce sulla sua testa. Le cicale sembravano essersi calmate, almeno fino a quando anche solo una decideva di riprendere a grattare i denti gli uni contro gli altri perché tutte facessero ricominciare il concerto dall'inizio.
Non passò nessuna macchina. Martin continuò a camminare lungo il ciglio della strada, sperando di arrivare prima o poi da qualche parte che non fosse un uliveto.
Ed infatti iniziarono a comparire le prime case, capannoni agricoli, alcune villette di periferia.
Si sentiva davvero stanco, ma non particolarmente allarmato per la situazione. Il fatto di essere solo con se stesso lo rasserenava, perché sentiva di avere realmente tutto sottocontrollo, nonostante l'insolita situazione in cui si fosse cacciato. Forse era quello il vero inizio della sua nuova vita, della sua vita da adulto.
E si sentiva quasi incredibilmente preoccupato per aver lasciato 'da soli', ed in balia di loro stessi, i due amici decerebrati e persi nelle loro follie da vacanzieri senza pace.
Si sentiva piacevolmente solo. Scese sulla sua pelle l'umido della sera. Incassando la testa fra le spalle, sollevò sul viso il bordo della pashmina azzurra che aveva appena avvolto attorno al collo, e continuò a camminare con le mani in tasca ed i bagagli contro la schiena.
Entrò in un paese, che già dalla periferia gli sembrò davvero piccolo. Arrivò dritto, in pochi isolati, nella piazza principale, dove intorno ai tavoli di un bar gente di varia natura ed iscrizione anagrafica giocava a carte rumorosamente.
Tutti si fermarono a guardarlo arrivare, perché emergeva dal buio ed in silenzio, da una stradina secondaria, e lasciandosi alle spalle l'oscurità dell'aperta campagna.
Alcuni ragazzi che parlottavano vicino ad uno scooter risero osservando la sua camminata dal ritmo costante. Martin aveva ancora il viso coperto per metà.
Un uomo seduto a un tavolino lo chiamò.
— E tu chi sei? Da dove cazzo stai arrivando? Di là non c'è niente!
Tutti risero voltandosi verso di lui, e chi aveva lo sguardo occupato dalle teste degli altri, si alzò in piedi per guardarlo meglio.
Martin si sedette sullo zaino poggiato in terra.
— Non dico che mi sono perso... ma quasi.
— Che bella idea perdersi da queste parti... ed a quest'ora.
— Io ed i miei compagni di viaggio, ci siamo separati. Loro sono andati avanti... ed io indietro.
In pochi minuti Martin era diventato un elemento del panorama, non attirava più la loro attenzione.
L'uomo riprese a giocare, toccava a lui e pescò una carta dal mazzo.
— Ma qui, vendete qualcosa da mangiare che non siano patatine? Che so, un tramezzino, o cose così.
Da dietro una tenda all'ingresso del bar, uscì una ragazza affaccendata con dei bicchieri di birra da portare ai clienti, e che in quel momento lo notò.
— Vieni dentro, lascia questi vecchi ai loro giochi, fra un po' inizieranno a volare le sedie, mettiti in salvo.
Martin obbedì seguendola al bancone. Era bellissima, bionda. Sudava sotto il grembiule, faceva caldo e lei, stava lavorando.
— Cosa c'è da mangiare?
— Siediti là. A quest'ora è tutto finito, ma fammi vedere in cucina cosa posso improvvisare.
— Davvero, mi va bene tutto, sono in una condizione difficile da raccontare.
— Ho sentito che sei emerso dal buio, mi sembra un buon inizio.
La ragazza lo guardava. Martin aveva abbassato di poco la pashmina, giusto il minimo per parlare in libertà, nonostante la calura della serata estiva.
— Sono Ludovica, vivo qui, lavoro qui, sono nata qui... ma viaggio quando posso, e se non posso... viaggio con la mente.
— E dove vai, di solito?
Ludovica era tornata al bancone dopo essere scomparsa qualche minuto oltre una porta con le ante mobili. Gli servì un piatto con un panino al prosciutto e lattuga. Avanti a Martin aveva piazzato un porta salse con le bustine confezionate di maionese, senape e checkup, tutte mischiate fra di loro, disordinate e sotto sopra.
— Non so, ...al mare.
— Come al mare? Vivi già al mare.
— Ma i mari non sono tutti uguali. La maionese va benissimo sul prosciutto.
— Non mangio salse.
— Per esempio mi piace molto Genova.
— Genova? E che posto è Genova?!
— Come che posto è Genova?! E' una città famosa, in Liguria.
Martin rise.
— So dove è Genova, ma mi aspettavo di sentire posti tipo la Sardegna, Ibiza, o al massimo Riccione.
— Mi fai proprio così troia?
— No, ...ma che stai dicendo.
— Come se una debba andare nella capitale dei bordelli per forza. Si tromba anche qui, ed anche bene. E gratis.
— Perché, a Riccione si paga?
Martin le sorrise e lei notò i denti bianchissimi e poi le labbra, la pelle abbronzata, gli occhi verdi e la catena d'oro che si intravedeva intorno al collo. La visione di Martin era un insieme di colori a tinta unita fortemente in contrasto fra di loro.
— Sai dove stiamo? Sai quanto costa il biglietto per arrivare a Riccione? E ad Ibiza?
— Sì, hai ragione, sono stanco. Non so dove sono finiti i miei amici, forse ho fatto male a lasciarli soli in campagna.
— In quanti erano?
Ludovica si sedette accanto a lui allargando il cordino dietro al collo per allentare la presa del grembiule, faceva davvero caldo.
Martin la guardava, e si rendeva conto che stava mangiando piano perché se solo avesse finito il panino non avrebbe saputo dove andare.
— Erano in due, ma in quanto a cervello... guarda... un fungo porcino ha più personalità. Non farmi dire altro.
— No, no, invece, dimmi.
Lei si avvicinò, sistemando la sedia rumorosamente. L'odore del sudore era misto all'aroma del prosciutto che stava ancora masticando. Era disgustante, ma anche molto... molto... non sapeva definire. Ma quanti anni aveva? Martin la guardava e gli sembrò che anche lei fosse interessata ad altro tipo di valutazioni.
— Non so, guarda, non so da dove cominciare.
Fuori quasi tutti i presenti erano andati ormai via. Il padrone del bar stava raccogliendo le sedie, impilandole una sull'altra. Ludovica si alzò, gridandogli che anche lei in pochi minuti avrebbe abbandonato il locale, e che tutto in cucina era stato lavato e sistemato.
Martin ci rimase secco: non sapeva cosa avrebbe fatto di lì a qualche minuto. Ludovica sembrò leggergli nel pensiero.
— Allora? Vieni con me?
— Non so, dove stai andando?
— A casa mia. E tu?
— ...non so... a casa tua?
Martin rise scoprendo completamente il viso. Si tolse la pashmina e la fissò con uno sguardo intenso che sorprese anche se stesso, per franchezza e trasparenza. Aveva davvero bisogno di seguirla.
— Mah. Vedremo.
Martin le si avvicinò e senza avere dubbi le strofinò lievemente il filo di barba che aveva contro una guancia. Lei rise.
— Ma che modo è? Mi hai fatto venire la pelle d'oca sul collo.
Martin continuava a guardarla, con un tovagliolino di carta si pulì le mani dalle briciole e le passò le dita sotto la coda di cavallo che le raccoglieva i capelli. Ludovica sussultò sorpresa dalle punte inaspettatamente fredde, mentre Martin le tirava volutamente gli ultimi capelli che si perdevano sottili alla base della testa.
— Ragazzi, aria, aria!! Sto chiudendo, andata a grattarvi le corna da un'altra parte!
Il proprietario, elegante quanto un piede d'elefante in tacco dodici, battendo forte le mani, discretamente li invitava a ritirarsi.
Martin si alzò in piedi prendendole le mani, quasi a chiederle per favore di portarlo via con lei. E Ludovica se le mise in tasca, una in quella di destra e l'altra in quella opposta degli shorts di jeans scolorito. Mani nelle mani, Ludovica guidò quelle di Martin sempre più in fondo alle tasche, finché il tessuto della fodera finì, a pochi centimetri dall'incontrarsi nel mezzo. Martin sentiva le dita della ragazza premere le sue contro il fondo caldo del suo corpo, e cominciò a massaggiarle il ventre, morbido ed ossuto ad un tempo. Sentiva le cuspidi del bacino, e l'incavo caldo delle superfici soffici che continuava ad accarezzare con la punta delle dita. Ormai i loro corpi erano vicinissimi.
Martin aveva un modo tutto suo di guardare una ragazza da vicino. La fissava con gli occhi fermi e bene aperti, cercando di arrivare fin in fondo ai suoi, ma quasi sempre non ci riusciva, perché ogni volta venivano chiusi, per l'incapacità di sostenere molto a lungo il suo sguardo insistente. O almeno così se la raccontava.
Uscirono dal bar senza che Martin sfilasse le sue mani alle tasche di lei, in realtà camminarono come in un piccolo girotondo, in un andamento armonico e sincronizzato in un passo che attirò l'attenzione del proprietario del bar che sbofonchiava frasi guardandoli uscire.
— Brutta troia culo spaccato, quando ti piace non fai la difficile! Ma torna domani, torna, e la vediamo...
Parlava fra sé e sé, fra bicchieri e casse vuote di vuoti a rendere ammonticchiati sul retro, dando calci al sacco della spazzatura.
Per strada i due cominciarono a muoversi con più normalità. Martin la teneva per mano-nella-mano-in-tasca solo da un lato, a dita intrecciate, ed aveva scovato un piccolo buco nella fodera. Con la punta di un dito riusciva a toccarle la pelle viva, vicino all'elastico degli slip. Ad ogni passo lei sussultava, camminandogli incollata al fianco.
Arrivarono presto sotto casa di lei, ad un portone spalancato e privo di un pannello di vetro.
— Vivi qui?
— Sì, per ora si, fino all'inizio delle lezioni, all'università.
— Vivi sola?
— No, con una amica, ma ognuna ha la sua stanza e comunque lei in questi giorni non c'è.
— Saliamo?
Mentre le chiedeva di salire la schiacciò contro il muro per valutare se davvero la ragazza fosse così disponibile al primo incontro.
Ludovica indietreggiò alla spinta di Martin, che mentre la guardava dritta negli occhi le infossò un ginocchio fra le gambe e cominciò ad accarezzarla sorprendendo anche se stesso per l'audacia, visto che se solo lei lo avesse respinto, Martin sarebbe stato costretto a passare la notte in strada.
Invece Ludovica assecondò il suo gesto improvviso e si sentì rabbrividire alla sensazione che Martin le stava facendo provare semplicemente accarezzandola con la punta del ginocchio.
Ormai in strada non c'era più nessuno, il piccolo paese era deserto e Martin pensò a quanto sarebbe stato divertente infilarle una mano dentro agli shorts per afferrare l'elastico degli slip su un fianco e tirarlo in alto, fino a farlo uscire alla luce del lampione e vedere di che colore fosse. Era rosa.
Ludovica sussultò e Martin sorrise, ritornando nuovamente in profondità a toccare la stoffa tesa che si mescolava alle sue parti morbide e accoglienti. Improvvisamente la baciò, accarezzandole con la lingua le labbra caldissime. Lei ormai ansimava quasi senza controllo e lui tornò con più decisione ad accarezzarla attraverso la fodera delle tasche tenendo il ritmo del suo respiro e facendoglielo notare.
Ludovica aveva perso il senso dell'equilibrio e Martin la sosteneva semplicemente schiacciandola contro il muro. Le sorrideva guardandola da vicino ricordandole con decisi strattoni la presenza della stoffa fra le sue mani e la pelle di lei, fino a quando Ludovica crollò esanime all'indietro, dando una sonora testata contro la cassetta della posta.
Si fece male e gridò. Lui la strinse forte, rimettendole in ordine la biancheria intima fuori posto. Quel ragazzotto sprovveduto e bello come il sole che aveva incontrato al bar e che aveva palesemente rimorchiato verso casa, si era strasformato in una belva delicata che la stava strapazzando senza nessun tipo di ritegno, e meno male.
Ludovica sorrise ai suoi stessi pensieri e vide che anche Martin le sorrideva a pochi centimetri dal viso, mentre le sussurrava di stare tranquilla, perché tutto ed il contrario di tutto sarebbe potuto accadere in quel momento se solo entrambi ne avessero avuto voglia.
— E tu Ludo, ne hai voglia?
— ...
— Non ho sentito bene Ludo, tu hai voglia di me?
— Sì.
Con poca lucidità Ludovica assecondava le sue parole, cercando di concentrarsi sulle sue carezze e sui suoi baci per capire fino a che punto davvero ne avesse voglia.
— Senti...
— Dimmi.
Martin la fissò con uno schiaffo di verde intenso negli occhi.
— ...cosa altro devo fare perché tu mi chieda di salire?
Ludovica lo guardò senza parole, aveva i capelli spettinati, completamente sciolti. Cercò di darsi un contegno, una riordinatina veloce, almeno per affrontare il momento in cui avrebbero acceso la luce delle scale, momento in cui si sarebbero guardati negli occhi per la prima volta dopo quel folle incontro di mani e scuciture.


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