Capitolo 34 - I

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Ancora seduto sui primi gradini delle scale, Martin si alzò in piedi reggendosi alla balaustra, estrasse il cellulare da una tasca e vide comparire varie chiamata non risposte di Ludovica, Genio e due di sua madre.
Guardò lo schermo finché non si spense. In quel momento non sapeva cosa fare, se salire in casa, se recuperare l'auto, se rimanere seduto in terra, se richiamare qualcuno dei tre nomi che si erano preoccupati di cercarlo per tutta la serata. Non sapeva come fare a recuperare la realtà che lo aveva circondato prima dell'incursione di Gaeta.
Era ancora fermo ad osservare il cellulare ormai del tutto spento, quando sentì il portone che si spalancava, seguito da passi pesanti ed abbastanza rumorosi.
― Cazzo!!! Martin, mi fai prendere un infarto!! Che ci fai qua fermo al buio!
Genio aveva invaso la portineria a sorpresa e parlando ad alta voce. Martin lo fissò controluce, illuminato solo dal chiarore dei lampioni stradali. Gli sembrò più magro del solito, e più suo, come un braccio che gli si fosse staccato per caso e che finalmente ritornava a ricomporsi al posto giusto. Allungò una mano verso di lui e gli strinse forte fra le dita i muscoli di quel braccio fino quasi a stritolarlo. Negli occhi e nel cuore aveva solo voglia di abbracciarlo forte, ma non lo fece per paura di dovergli dare maggiori spiegazioni di quanto sicuramente avrebbe dovuto già.
― ...Martin, Martin stai bene?
Genio si gettò sul pulsante rosso per accendere la luce in portineria e capire in piena luce cosa stesse succedendo. Davanti agli occhi gli si parò Martin completamente sfatto e stravolto in viso, con i capelli in subbuglio, gli occhi gonfi e la maglia stropicciata e masticata come da una bestia sconosciuta.
― Mi hai visto arrivare?
― No Martin, sono appena sceso dall'auto, mi hanno accompagnato... ma che cazzo ti è successo?!
Martin non parlava, fissava solo le sue dita serrate sul braccio di Genio.
― Ma non dovevi restare a casa, questa sera? Ci hai fatto prendere un colpo! Ho dovuto anche chiamare tua madre, anzi, guarda, chiamala subito perché continua a sfondarmi il cellulare... bella e bona, ma... quando si attacca ai maroni...
Genio bloccò il fiume di parole ed ancora tornò a cercare di capire cosa fosse successo in quelle poche ore in cui Martin era rimasto solo.
― Sì, a casa, infatti... ma poi... ho voluto fare un giretto... così per sgranchirmi le gambe...
― Giretto un paio di palle... ma come ti sei conciato? Guarda che faccia!
Genio gli fece cenno di voltarsi verso lo specchio e quando Martin si osservò non si riconobbe. Un ulteriore coltellata gli stava incidendo la carne viva della mente, tutto, compreso Genio, gli sembrava essersi allontanato da sé incredibilmente, persino il ricordo che aveva di se stesso, non era più la stessa immagine che stava osservando riflessa.
La luce della portineria si spense ed i due tornarono al buio.
― Timer di merda... va bè, dai, saliamo, mi racconti dopo.
Genio aveva visto Martin in ogni condizione possibile ed in tutte le salse, crudo, nudo, al naturale, lucido, ubriaco, invaso dal fumo, eccitato, arrapato, sfrenato contro il mondo e persino contro il Signor Spock, condito al limone, alla salsa di soia, al pesto e sporco di nutella, ma Genio capiva che in quel momento Martin stava oltrepassando tutti i suoi record personali, al punto di non essere più lui.
― Va bé... saliamo, dai.
Genio iniziò a tirarlo verso l'ascensore e Martin non oppose resistenza. Se aprendo la porta metallica ci avesse trovato il vuoto, sarebbe entrato lo stesso. Ma poi cambiò di colpo idea, bloccando lo slancio di Genio che aveva imboccato la direzione dell'ascensore. Si rese conto che pur volendo tornare a casa, aveva paura di tornare a casa, perché aveva paura di ritrovarsi in casa o peggio solo nella sua stanza a ripensare a tutto quello che gli era successo, e da solo, non poteva farcela.
― No, Genio... io non salgo adesso, non posso.
― Ah, no? E che devi fare? Sono le quattro del mattino e sembri il cesso del treno.
― Devo recuperare l'auto... sì.
― Come 'devi recuperare l'auto'?! Ma che cazzo dici? Non è qua fuori?
― No, ho dovuto lasciarla in un altro posto, c'è stato un problema... ho avuto un problema...
Martin si rese conto che non aveva preparato nessun argomento da presentare a Genio per il fatto di aver perso l'auto chissà dove e di essere tornato a casa in quelle condizioni. Genio lo fissò incredulo, visto l'attaccamento che Martin aveva alla sua Maserati.
― No, è che... sono entrato in un locale a caso... ho bevuto un po' troppo, e poi non sono stato in grado di guidare... e mi hanno riaccompagnato, ...così.
― E chi ti ha riaccompagnato? Gente nuova?
― Gente... che avevo conosciuto... chi si ricorda chi... Gente.
Martin non aggiunse altro ed a Genio sembrò che Martin fosse distratto e lontanissimamente perso nei suoi pensieri assonnati. In quel momento di distrazione nella mente di Martin c'era solo lo spazio per lo strappo della sera appena trascorsa, come un buco profondo e senza fondo apertosi nel flusso dei suoi pensieri, e che gli faceva saltare per intero il tempo trascorso dall'uscita dal locale all'arrivo di Genio.
― Ma quanto hai bevuto? Ha mangiato qualcosa almeno?
Martin si stringeva nelle spalle in un silenzio che Genio non riusciva a capire.
― Ma dov'è parcheggiata? Come facciamo a ritrovarla?
Martin gli mostrò il cellulare.
― Chiamerò per la localizzazione satellitare, ci vuole un attimo.
Martin si attaccò al telefono, ottenne un indirizzo, poi chiamò un taxi ed pochi secondi i due amici erano in corsa verso zone della città sconosciute ad entrambi. Ma un brivido incontenibile percorse Martin quando il taxi voltò l'angolo per imboccare la strada in fondo alla quale, se avessero continuato a percorrerla, avrebbero trovato il Camelot, come se ancora a quell'ora potesse essere aperto, ma Martin decise di non guardare. Genio si accorse del suo sussulto, e pensò che l'amico avesse freddo.
― Eccola là, è tutto a posto Martin, stai calmo, fra un attimo saremo a casa.
Dopo aver pagato il taxi, Martin però non resse alla tentazione. Alzò lo sguardo fino a spingerlo in fondo alla strada, sui vetri della porta del Camelot, e ne vide le luci ancora accese. Seguendo il suo sguardo Genio aveva capito che Martin ci avesse passato la sera, vista la vicinanza dell'auto parcheggiata, e se da un lato dimostrava un forte interesse ad andare a darci un occhiata, dall'altro si rendeva conto che Martin, verde in viso, avesse bisogno di tornare a casa immediatamente.
― Dammi le chiavi, col cazzo che ti lascio guidare.
Genio aprì l'auto con le preziose chiavi che Martin gli concedeva raramente e lo fece entrare, e mentre Martin si lasciava sprofondare sul sedile basso ed accogliente, mentre ancora guardava la strada, notò un particolare che gli fece nuovamente contorcere le viscere.
L'auto parcheggiata avanti alla sua sembrava essere quella di Gaeta. Era possibile? Che Gaeta fosse ritornato al Camelot, dopo averlo usato e gettato in strada in una pozza di vomito e come se nulla fosse accaduto avesse continuato a bere e divertirsi con i suoi amici?
La visione dell'auto di Gaeta aveva vanificato tutti i tentativi che da quando era arrivato Genio aveva fatto Martin per non pensare a Gaeta. Martin si coprì il viso con le mani, e senza emettere nessun suono, sentì le dita inumidirsi di lacrime caldissime e salate. Ma appena se ne accorse, se le asciugò velocemente spalmandosele con i palmi fin sopra ai capelli, facendo finta di sospirare e sbadigliare dalla stanchezza.
Martin se lo sentiva, ne era certo, Gaeta era tornato al Camelot, porco bastardo senza un filo di contegno. In un lampo ricordò la familiarità che aveva mostrato con tutti e che tutti avevano avuto con lui, al punto da chiamarlo Artù. Gaeta al Camelot si era mosso come stato a casa propria.
Genio guidava assecondando le indicazioni della voce guida, ed intanto sbirciava Martin moribondo e sul limite di una crisi.
― Martin, ti abbiamo chiamato molte volte. Visto che avevi deciso di uscire... avresti potuto raggiungerci, o richiamarci. Davvero, è stata una serata pazzesca.
Martin fece un cenno con la mano, come per dirgli che anche la sua... ma Genio capiva che non lo stava neanche ascoltando da lontano.
― Ma si può sapere che c.a.z.z.o ti è successo?!!
― Niente, cose così.
Martin al solo pensiero di raccontare a Genio la sua serata ebbe un altro impeto di confusione, avrebbe dovuto, prima ancora, raccontarla a se stesso, ed il momento il cui l'avrebbe fatto si stava avvicinando, perché Genio guidava velocemente verso casa, e già Martin riconosceva i palazzi vicini.
― ...allora?!
Martin non fiatava, solo aveva chiuso gli occhi ed infilato in bocca li suo ciondolo tirato contro il mento.
― Va bè, ho capito, sega!

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora