Capitolo 32 - I

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Martin rimase a ciondolare in facoltà per altre due ore circa, infilandosi in lezioni a caso, e cercando di capire il livello degli altri studenti e il contenuto delle lezioni stesse. Passò anche molto tempo a leggere gli annunci colorati e disordinati che sfilavano chiodati sulle bacheche dei movimenti studenteschi. Erano previsti concerti, dibattiti, cineforum, ogni tipo di attività a latere dello studio. E poi lezioni private, incluse quelle di vela, snorkeling, e lancio del disco, e Martin si chiese che tipo di individuo potesse seguire lezioni di lancio col disco. Sorrise leggendo qua e là e quasi per la prima volta sentì realmente di essere nel posto giusto, e da solo. Alcune ragazze passandogli accanto lo urtarono con lo zaino e quando Martin si voltò, pensando immediatamente fosse stato Genio, di ritorno chissà per quale contorto motivo, si accorse di avere d'avanti gente che non conosceva, che non aveva mai visto, e che lo stava guardando decisamente con simpatia, ma senza nessun velo di altra intenzione. Una piccola locandina fotocopiata raffigurante un uomo che suonava uno stano strumento musicale attirò la sua attenzione.
― Non illuderti, quel corso è chiuso da tempo... me fra un po' ne faranno un'altro.
Una ragazza con i capelli rossi si era fermata accanto a lui a leggere gli annunci delle camere in affitto. Martin la guardò estremamente attratto dai colori con cui era vestita.
― ...ah, grazie. Non sono molto interessato ai corsi di teatro, ma comunque grazie.
― Scusami, non volevo disturbarti, ti ho visto...
― Leggo qua e là, voglio farmi un'idea...
La ragazza si era poggiata con una spalla alla bacheca per guardare Martin in viso.
― ...direi però su niente in particolare... su quello che si fa, su quello che succede...
Continuava a fissarlo in silenzio, chiudendo la cerniera della borsa.
― Comunque, sono io che devo ringraziarti.
Martin aggrottò la fronte, finalmente un po' più attento alla conversazione.
― E di cosa?
― L'altro giorno ci hai fatto davvero divertire con la storia del tuo cognome.
La semplicità con cui la ragazza aveva accennato all'episodio in classe non aveva niente per cui Martin potesse rimanerne seccato, come invece in genere accadeva, anche perché era evidente che il motivo del divertimento non fosse stato il cognome in sé quanto piuttosto l'espressione di sorpresa del professore. Così le sorrise, facendo una smorfia che sminuiva l'accaduto.
― Ma sei davvero discendente di Ugolino?
― ...sì. Per asse diretto, che però... passa per la Sardegna, poi torna a Pisa... insomma, una storia lunga, ma... sì.
― ...wow! Che storia... e che faccia Gaeta...
― Eh sì, ho visto. Comunque credimi, è una cosa divertente ma, finisce qui, in famiglia non siamo tutti cannibali.
La ragazza rise e Martin si sorprese a scherzare su un argomento che da sempre non amava trattare con tanta leggerezza.
― Ci mancherebbe! Va bè, ciao, ti saluto, vado di fretta.
― Ci vediamo a lezione, ciao.
Martin la vide uscire dall'ateneo, che ormai era quasi deserto. Si guardò intorno, non aveva senso continuare a trattenersi il quel posto. La gente in giro diminuiva a vista d'occhio e non solo gli studenti, anche gli impiegati iniziavano a strisciare il cartellino e ad avviarsi al parcheggio. Alcune aule erano state spente, così Martin prese il coraggio a due mani, e soprattutto lo scoramento di palle, e decise di muoversi verso casa. Guidò dritto senza alcuna deviazione e parcheggiò senza perdere troppo tempo a trovar posto, salì velocemente in camera, si svestì per fare una doccia e nel giro di pochissimi minuti si ritrovò catapultato sotto il getto caldo e rassicurante dell'acqua che gli sbatteva sopra il cranio inzuppandogli i capelli. Una volta bagnati, intere ciocche gli colavano sulla fronte come fossero state esse stesse liquide. Vedendosele serpeggiare sulla pelle del viso, si accorse di quanto i suoi capelli fossero cresciuti, con ancora nell'impasto il colore un po' schiarito del sole estivo... e che forse sarebbe stato il caso di tagliare un po'. L'acqua continuava a scolpirgli la superficie del corpo, ancora abbronzato non solo per i giorni al mare, ma anche per i pomeriggi trascorsi in piscina, steso tranquillo, con Genio, a tentare di studiare per gli esami di maturità.
Quando si rivestì scelse un paio di jeans ed una maglietta color grigio mercurio, che metteva particolarmente in evidenza la tonalità rosso fuoco del suo ciondolo, come al solito infilato nella catena d'oro, che risaltava una volta fuori dalla maglia. Mentre si guardava allo specchio gettò il ciondolo a forma di cuore dentro contro il petto, ma subito dopo lo ritirò fuori e lo strinse fra le labbra. Portando avanti il mento sentì le maglie di oro rimanere tese sulla pelle del viso, che sicuramente si sarebbe segnata con la striscia sulle guance partendo dagli angoli della bocca. Contemplandosi allo specchio, notò come sempre che l'effetto sul viso era sempre lo stesso, come un sorriso esagerato dal lobo di un orecchio al lobo opposto, come un sorriso dorato sforzato ed artificiale di un pagliaccio da circo, a cui era stata disegnata in volto l'espressione della felicità attraverso un solco al centro delle guance. Martin allo specchio sembrava sorridere a se stesso di un sorriso finto. La sua collana lo faceva sembrare sorridente d'un ghigno senza fine. Finché l'orlo dello scollo della maglietta non ingoiava il cuore rosso ricoprendolo di tessuto, e Martin rimaneva ad osservarsi ad occhi fissi dentro ai propri occhi, verdi sempre in maniera molto intensa dopo la doccia.
Dopo aver finito di sistemarsi, decise, come spesso faceva, di lasciare i capelli bagnati. Agguantò le chiavi di casa e quelle dell'auto, e si lanciò fuori, imboccando di corsa la prima rampa di scale.
Nella mente non aveva ben chiaro dove dirigersi... forse avrebbe dovuto raggiungere Genio e Ludovica, chiamare uno dei due e farsi dare l'indirizzo... e non era escluso che alla fine non lo facesse. Genio, avrebbe chiamato Genio per fare una sorpresa a Ludovica, sapeva quanto la ragazza ci tenesse a fregiarsi della sua esistenza.
Ma per il momento si accontentò di mettere in moto l'auto ed inforcare la prima strada che gli si parò d'avanti, e seguire la prima direzione che gli venne in mente, e continuare a guidare andando dritto innanzi, prima di decidere quale sarebbe stato il secondo passo di quella serata un po' confusa, e che non avrebbe dovuto neanche partire, vista la voglia, ed il bisogno che aveva di restarsene da solo in casa e riflettere sulle sue cose... sulla fame nel mondo... sui suoi genitori, che a distanza di oltre una settimana ancora non si erano fatti sentire, né si erano informati di come stessero andando le cose, se avesse bisogno di qualcosa, oppure no. Lillino gli aveva solo riferito che Fanny, la segretaria del padre era stata contenta che Martin avesse confermato l'appartamento. Fanny.
Forse il suo inferno era proprio non essere soddisfatto del paradiso. Ma come aveva fatto Genio, dal basso della sua demenza affettuosa e cieca fino ad essere lucidità pura quasi saggezza, ad avere da sempre la risposta alle sue domande! Quante volte l'amico si era sgolato a ricordargli di quanto fosse fortunato, e che ogni suo problema fosse sempre stato solo quello, soffrire la completezza delle esperienze, la bellezza delle cose e di se stesso, senza possibilità di umanità, di umana imprecisione o di sporcizia umanamente terrena. Avere tutto, a luogo andare, stava rivelando i propri limiti. La perfezione aveva da tempo iniziato a mostrare le sue incrinature, fatte di totale ed assoluta mancanza di qualunque segno di vita. Si era trasferito senza accorgersene a vivere sulla Luna, ma non in un punto a caso, proprio al centro del disco luminoso e argentato per guardare tutti dall'alto, Martin da solo in un paradiso sterile e senza speranza di poter coltivare neanche un fiore.
Ormai era in una zona della città che non conosceva, non vedeva molta gente in girò, la maggior parte dei ragazzi che affollavano le vie del centro storico ed i piccoli locali che si aprivano nelle stradine ad ogni passo, se li era lasciati da tempo alle spalle. La zona in cui era sembrava piuttosto flettere verso costruzioni quali capannoni, ampi spazi vuoti recintati ed illuminati dai fari notturni di color arancio. Era ormai decisamente in periferia. Decise di tornare indietro, perché era chiaro la città terminasse in quel luogo, oltre cui non avrebbe trovato più nulla se non campagna ormai al buio.
Sul viale che lo riportava verso il centro abitato notò un insegna all'angolo di un grande palazzo, sembrava una pizzeria, o qualcosa del genere. In quel momento si rese conto di avere molta fame. Da quando viveva a Lecce aveva mangiato male e ad orari insoliti per le sue abitudini, ed anche i tempi del sonno si erano molto alterati, un po' perché Ludovica spesso era rimasta da lui per la notte e le giornate a seguire, ed in parte anche per le lezioni.
Parcheggiò, chiedendosi se fosse il caso, considerando l'auto che stava per lasciare incustodita. E questo pensiero gli fece pensare se non fosse il caso di procurarsi un mezzo più modesto.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora