Capitolo 9 - II

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Martin si risvegliò all'improvviso alla voce che gli aveva parlato da molto vicino, al rumore ed al trambusto che di colpo lo avevano circondato. Sul fatto che fosse avvenuto di colpo, non poteva esserne certo. Forse aveva dormito veramente, perché i molti passeggeri che aveva intorno probabilmente non erano saliti sul treno tutti insieme.
Quando aprì gli occhi un uomo vestito con una lunga tunica bianco candida lo stava guardando fisso, con un sorriso con un milione di denti che metteva maggiormente in risalto la sua carnagione olivastra.
― Vedo che massaggi le spalle, stai spellando?
Martin si accorse di avere ancora la mano infilata sotto la maglietta, e trasalendo fece finta di tastare una improbabile ustione solare, improbabile visto il colorito abbronzato che sfoggiava su ogni parte del corpo. Tornò a sedersi in una posizione più composta, ritirò più vicine a sé le gambe e si raddrizzò meglio sulla schiena.
― Si, forse si. Succede.
― Sei stato al mare? E dove?
― Vicino Lecce, ma non ricordo il nome del posto di preciso.
A Martin non andava molto di fare conversazione, ma non aveva modo di evitarla.
― Ah! Lecce, bello posto! Posto caldo, di periferia. Si sta bene a Lecce. Sei di Lecce?
Mentre parlava l'uomo annuiva, dondolando la testa infinite volte a dare più forza a ciò che diceva.
― No, torno a casa, sono di Firenze.
― Ah! Firenze, bella città! Spazi grandi, aria buona. Bella, Firenze.
― Eh sì... l'Italia. La conosci tutta?
Martin gli aveva risposto in tono quasi infastidito, e l'uomo ne rimase sorpreso.
― Tu devi scusarmi, sono una persona che chiacchiera. Quando viaggio... molta gente, e io parlo con tutti.
L'uomo ormai era seduto di fronte a Martin ed aveva ben sistemato i propri bagagli. Aveva anche aiutato una giovane mamma con un bambino di circa quattro anni al suo seguito, ed il bambino guardava Martin bevendo un succo di frutta con la cannuccia.
― No, guarda, scusami tu. Sono stanco, non so cosa sto facendo. E' un momento difficile.
Il bambino additava Martin con il cartoccio stretto fra le dita, e la mamma gli diceva di smetterla. Martin lo guardò e si sentì un po' intimidito dal suo sguardo insistente e pulito. Il bambino continuava a guardarlo dentro gli occhi, senza distogliere lo sguardo da lui anche quando Martin iniziò a fissarlo di tanto in tanto per verificare se ancora lo stesse studiando da dietro la cannuccia.
L'uomo notò come Martin fosse distratto dalla presenza del bambino e dai suoi gesti che ancora lo indicavano con insistenza. L'uomo si sporse in avanti per guardarlo bene, visto che era seduto dal suo stesso lato.
― Senti bello bambino... come ti chiami?
Il bambino si sboccò al veder comparire dal nulla il mezzo busto dell'uomo completamente vestito di bianco e dall'accento marcatamente insolito.
― Senti bello bambino, lo zio Bogdan vuole sapere come ti chiami, gli ripeté con tono divertito, visto che ormai lo guardava con occhi sbarrati, totalmente rapito dal copricapo colorato che aveva sostituito Martin al centro dei suoi pensieri.
Martin rise ed il bambino tornò a guardare lui.
L'uomo ed il ragazzo tornarono ad osservarsi in silenzio, ma ogni tanto Bogdan si affacciava in avanti, per valutare la situazione ed accertarsi che il bambino continuasse a fare il bravo. La madre lo ringraziò con un cenno dello sguardo.
Il silenzio fu presto rotto dalla voce dell'uomo che non era effettivamente in grado di sostenerlo oltre. Fece un cenno verso Martin per attirare la sua attenzione.
― Bello ragazzo come te non deve avere problemi, solo sesso, figa buona, e un poco di studio.
La madre del bambino sussultò sentendo quale piega il discorso fra i due stesse prendendo.
― Guarda... Bogdan... ti chiami Bogdan?, in due parole hai riassunto la mia vita. Bravissimo.
― Bogdan è psicologo del treno, non lo sapevi?
Martin lo guardava ed iniziava a dargli più attenzione, sorridendo ma insieme rimanendo volutamente un poco distaccato, concentrato sul paesaggio che continuava a sfilare davanti ai suoi occhi in corsa.
― Non ci credi? Leggi dietro biglietto, c'è scritto!
Martin non riuscì a non ridere, trovando divertente la scenetta improvvisa fra di loro.
― Vedi che Bogdan conosce suo mestiere? Bello ragazzo adesso ride. E poi, quando parli di figa, fai sempre ridere.
Martin sorrise ancora passandosi le dita fra i capelli, alleggerito dalla discussione semplice ed ariosa che lo stava intrattenendo in quell'ultimo tratto di viaggio. Bogdan aprì una borsa e tirò fuori un incartata metallica con dentro dei tranci di dolce fatti in casa. Ne offrì a tutti i presenti, ma solo la signora lo volle assaggiare.
Le briciole che si sparsero sul vestito bianco dell'uomo distraevano Martin da tutto il resto. Una grossa crosta si era incastrata fra le pieghe candide che correvano parallele su di lui, ed i suoi respiri la facevano lentamente rotolare verso il basso.
― Bogdan viaggia molto e conosce tanta gente, a volte la rincontro. E' difficile, ma qualche volta è successo.
― Ma dove vivi?
Martin iniziava ad interessarsi alle sue storie.
― Eh, sul treno. Ho casa, ma viaggio molto, sto sempre su treno, e vado, e poi torno.
― E dove vai? Hai figli?
Martin chiese tanto per partecipare alla conversazione, per mettere nel mezzo un argomento e fare in modo che lui continuasse.
― Eh, molti figlio io, molti. E tu?
Martin scoppiò a ridere di nuovo battendo le mani in un colpo secco.
― Perché ridi? Non sei uomo, non scopi ragazza tua? Non sei piccolo come quello bambino là.
La mamma sistemava il risvolto dei pantaloni al piccolo, parlandogli a voce alta per non fargli sentire le chiacchiere dei vicini.
― Esistono i profilattici, non è che ad ogni scopata ne sforniamo uno.
― Bogdan ha capito da questa risposta che ragazzo pensieroso... scopa poco...
Martin in un istante si fece incontrollabilmente rosso. Non sapeva stabilire se quella frase fosse vera. Anzi, sapeva non essere vera, ma neanche completa. Quella frase non aveva centrato la verità, ma era arrivata al momento giusto per fargli notare quanto di verità comunque ci fosse dentro. Quantificare la consistenza delle sue scopate, decisamente numerose, non diceva nulla sul fatto che spesso avvenissero per caso e senza seguito. Si accorse in quell'istante che forse non aveva avuto nessun rapporto con Ludovica perché pensava potesse essere una storia più importante.
― Quando ci sono troppi pensieri... uomo scopa poco. Quando donna ha molti pensieri... uomo scopa molto!
Bogdan rise di cuore attendendo che a quella battuta le risate di tutti i presenti. Ma ovviamente la donna col bambino rimase di pietra, decidendo definitivamente di cambiare posto a sedere, e Martin rimase a riflettere, abbastanza convinto che probabilmente, per quanto ne potesse sapere lui... forse la frase non era del tutto sbagliata.
Bogdan, senza conoscerlo, stava realizzando verbalmente un servizio fotografico dell'esistenza di Martin, una serie di primi piani, scatto dopo scatto al punto da lasciarlo senza parole. Intanto però Martin si era alzato in piedi per aiutare la donna che se ne stava andando. Le passò il piccolo bagaglio che era rimasto incastrato nel vano in alto. Con il viso fece una smorfia verso di lei, quasi per chiederle scusa delle chiacchiere dell'uomo, e la donna annuì sbrigativamente, allontanandosi e tenendo per mano il bambino che fino alla fine continuò a guardare Martin dritto negli occhi.
Bogdan aveva seguito i movimenti di Martin, il suo corpo muoversi alzando le braccia, e gli aveva visto la pelle scoperta sui fianchi quando la maglietta gli si era sollevata al gesto di scendere il bagaglio della donna.
― Bogdan ha ragione, giovane ragazzo bellissimo, pelle tirata che scoppia. Troppi pensieri ragazzo, rilassati un poco dentro, cerca figa, e non pensare a niente. Solo tu e figa. Tu e figa. Tu e figa.
Ormai soli, Bogdan si sentì autorizzato ad esagerare con la mimica mentre pronunciava ripetutamente quelle parole. Tirò fuori la punta della lingua e la mosse velocemente, e poi si mise a ridere di cuore, e gli occhi gli si riempirono di lacrime, che asciugò via con un fazzoletto.
Martin aveva perso un po' di interesse alla sua compagnia da quando Bogdan stava scivolando sempre più verso l'oscenità dichiarata, benché gli avesse dato molti spunti su cui riflettere: il concetto di sega mentale per esempio. Esattamente come spesso gli faceva notare Genio, che non per niente era chiamato così.
Martin tornò a guardar fuori poggiando la tempia contro il vetro. Era esausto, era di nuovo tornato a coprirsi le labbra con la stoffa glicine, e riusciva a stringere ogni tanto un poco di tessuto fra i denti, per poi lasciarlo andare inumidito.
Bogdan parlava e parlava ed i suoi racconti si erano arricchiti di vari personaggi, di due prostitute, di un cane malato, di un tavolino da restaurare, di un auto usata che aveva comprato da poco a cui mancava una ruota, e molto altro che Martin faticava a seguire, anche perché più Bogdan rilassava il discorso più il suo italiano diventava stentato. Il fatto poi che parlasse di sé in terza persona non aiutava la comprensione.
― Bogdan...
Martin fermò bruscamente il flusso di parole con cui Bogdan lo stava rintontendo.
― Cosa c'è, ragazzo con pensiero grosso.
Bogdan rise alla sua stessa ultima affermazione, e Martin un po' si bloccò all'idea di ciò che stesse per chiedergli, sentendosi chiamare in quella maniera.
― Secondo te perché i troppi pensieri non vanno d'accordo, con...
Non riuscì a finire la frase, non sapeva come terminarla, visto che non voleva dire di sé di essere davvero tanto...
Ma la frase la completò Bogdan.
― Con scopata! Vuoi chiedere ad Bogdan perché pensieri tanti non vanno d'accordo con scopata?
― No, non proprio con scopata, ma con la vera scopata, diciamo così.
― Tu sei molto giovane, Bogdan ne ha viste tante di scopate.
Bogdan continuava a ridere, puntellando un gomito contro il ginocchio.
― E quindi?
― Ma cosa ti pensi che è 'vera scopata'? Figa è figa...
Martin rise di cuore per un attimo, perché le casuali, ma continue, citazioni del pensiero di Genio stavano diventando quasi un movimento filosofico.
― ...figa è figa. Devi vedere tu dove sei con testa, quando figa è sopra tuo cazzo.
Martin lo fissava, iniziava a sentirsi inspiegabilmente eccitato, e sperò davvero che Bogdan, così perspicace non se ne accorgesse.
― Non sempre testa di cazzo e testa grande sono nello stesso posto. E dicendolo si indicava la fronte con un indice ossuto e sottilissimo.
Martin era scosso dalle sue parole, che gli facevano male in profondità ed insieme gli davano argomenti a cui pensare, anche perché erano dette da un estraneo. Sentiva i boxer tirare in più punti e non sapeva che posizione prendere per non tradirsi d'avanti a lui ed alla sua inquietante dose di saggezza.
― Sei tu che decidi quale testa comanda. Attenzione a non fare comandare cazzo quando studi, o sei a lavoro, non so che fai, e testa grande quando scopi, eh!, è un vero casino se fai così, eh!, vero grande casino.
Martin finalmente riuscì a ridere, pensando a Genio che forse ne aveva solo una... e non quella grande. Battuta triste e in aria di autogoal, visto che lui stesso stava decidendo dove studiare in base alla localizzazione geografica di una ragazza che semplicemente lo arrapava.
Forse involontariamente e per la prima volta nella sua vita aveva affidato il comando della nave alla testa piccola, che in quel momento era più autoritaria e che, a furia lei di voler capire su che rotta andasse il mondo, nel quadro generale poi non gli permetteva di capire un cazzo... tanto per non allontanarsi dal tema dominante.
Martin rise di sé stesso alla luce dei discorsi di Bogdan, e continuò a ridere con l'uomo, che sfoderava racconti ed esempi per dare supporto alla sua originale teoria, la teoria del cazzo. Perché così la chiamava.

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