Capitolo 30 - II

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― Martin...
― Cosa?
Ludovica sussurrava con l'ultimo filo di voce.
― Come fai a fare tutto questo...
― Che vuoi dire?
― Come fai a sapere... che mi fai morire... che mi sfilacci i pensieri... che non mi lasci niente di sano...
― E non è una cosa buona?
― Non lo so, Martin, veramente.
Ludovica si girò verso di lui, che ancora contemplava il profilo dei suoi fianchi contro la finestra luminosa nonostante l'orario pomeridiano.
― E tu?
Martin alzò lo sguardo nei suoi occhi.
― Io cosa?
― Tu cosa provi? Cosa senti per me?
Martin rimase in silenzio, non era sicuro di aver capito la domanda. O meglio, era sicuro che la domanda potesse avere molti significati, che in effetti aveva, ma sicuramente Ludovica gli stava dando un senso più semplice di tanti altri che gli stavano venendo in mente. E così rispose nella maniera più semplice che gli venne in mente. A domanda semplice si dà risposta semplice, non c'è da sbagliarsi.
― Io ti amo Ludovica. Sento di amarti.
Ludovica si sollevò per guardarlo negli occhi, anche Martin era rimasto nudo e bellissimo accanto a lei, totalmente per lei, incredibilmente per lei. Ludovica allungò le mani fino ad accarezzargli il viso. Gli sfiorò una guancia, e sentì al tatto la sensazione ruvida di un leggerissimo velo di barba che Martin non aveva tolto prima di uscire per andare a lezione. I suoi occhi si fecero rossi, e quando riuscì ad alzare lo sguardo in quello di Martin, lo trovò deciso e fermo sulla frase che aveva appena pronunciato, e che aveva sorpreso Ludovica più di ogni altro momento di piacere, ma mai quanto Martin anche solo a sentirla.
― E quanto durerà?
― ... durerà quanto dovrà durare... e noi faremo in modo che duri molto...
Martin era forse più sicuro di questo. Perché Martin voleva durasse, perché innanzitutto voleva fosse vero, perché aveva bisogno di una casa, perché non aveva religione, perché non aveva una vera direzione verso cui orientarsi, e perché aveva bisogno di trovare in quelle piccole cose la luce dell'immensa bellezza del sentirsi parte di organismo che avesse le radici in qualche luogo, fosse anche nel fondo degli occhi di Ludovica. E la guardò in fondo, e sul quel fondo avrebbe voluto trovare come una tacca sull'iride, il segno dell'anello che non tiene, la crepa che si allarga, e che gli avrebbe fatto intravedere cosa potesse esistere dall'altra parte. Finalmente casa sua.
Ma Ludovica chiuse gli occhi proprio quando lui avrebbe voluto che lei lo inchiodasse con uno sguardo accogliente come il letto di carne morbida e calda su cui avrebbe voluto addormentarsi ogni notte. E non contenta di averlo chiuso fuori dallo sprofondo che Martin avrebbe voluto vedere nei suoi occhi, Ludovica si alzò ed andò via, mentre Martin ancora la guardava in attesa di qualcosa, di un abbraccio, di un bacio sul collo, di un sorriso. Ludovica sparì verso il bagno, lasciandolo nudo e solo alla luce del pomeriggio, disteso sopra i cuscini ormai sparsi anche oltre la superficie del tappeto.
In quel momento nella stanza entrò Genio senza bussare.
― Cazzo! Ma qui è esplosa la bomba del sesso!!
Martin si voltò verso di lui, lanciandogli con violenza il primo cuscino che riuscì ad afferrare, insieme ad una scarpa da ginnastica, che vorticò come una stella cometa seguita dalla scia serpentina dei suoi lacci bianco panna.
― Ma che cazzo fai?! Bussare... è passato di moda?
Genio si sedette sul bordo del letto come se Martin fosse stato vestito di tutto punto, ed ignorò i suoi tentativi di rivestirsi il minimo indispensabile per continuare la conversazione.
― Sì, hai ragione, avrei dovuto... ma poi non l'ho fatto.
― Fantastico, bene così.
Un altro cuscino gli si stampò sul viso.
― Cazzo Martin! Il pelliccino verde no!! Chissà quanti acari bivaccano fra le radici!!
Martin si sistemò i boxer ormai saltato in piedi, lontano dai pensieri appena fatti.
― ...e certo, ormai siamo nemici degli acari...
― Volevo dire che aveva sentito la porta del bagno chiudersi, ho riconosciuto i passi di Ludovica, sapevo che qui eri solo.
― Ma che cazzo c'entra? E se ti fossi sbagliato? Non puoi fiondarti qua dentro come se niente fosse!
― Va bene, ho afferrato il concetto... solo che ti ricordo... che non hai niente che io non abbia già visto in mille salse... e fighe scopacchiate a destra e manca... ricordatelo fratello...
Anche quella volta Martin rinunciò a continuare a lamentarsi, solo lo fissò con l'espressione più seria che riuscì a sfoderare, ma con la mente a metà strada fra la voce di Genio ed il senso di svuotamento che stava sentendo premergli il petto dal di dentro.
― Davvero Genio... impegnati a non fare i tuoi soliti casini. Ludovica è davvero importante per me.
Martin sentiva molto chiaramente il dolore sottocutaneo della sensazione di aver perso qualcosa senza sapere cosa, e quando, e se sia davvero il caso di fermarsi a cercarla. Il fiato rotto, il cuore che si allarga, gli occhi che non reggono e cadono a terra, il viso tirato da una catena d'oro da un angolo all'altro delle labbra, i capelli in avanti a nascondere a Genio il vero volto di un pomeriggio pieno di vuoto impalpabile dolore sottile come gli ultimi bagliori oltre i palazzi.
― Sì, ho capito... ma che palle però... troppo amore fra voi.
― ...perché adesso che palle...
― Perché ho già capito l'aria che tirerà per tutto l'anno, tu che trombi con lei ed io solo come un coglione per il mondo... ma non ti sei accorto che mi avete abbandonato all'ateneo?
Martin ripensò al fatto che in effetti non si era neanche posto il problema di Genio, lasciando la facoltà.
― L'amore rende ciechi.
Martin aveva risposto in automatico.
― Sì, lo so, ma anche le seghe. Ed io e te... ci vediamo benissimo...
― ...e questo che significa?...
― Niente Martin, non significa niente, stai sereno.
Martin si era incupito, e girovagava sul tappeto a piedi nudi come in preda ad una caccia al tesoro nascosto.
― Ma non ti preoccupare... quando siete andati via... io ero già altrove chissà da quanto...
― E allora di cosa stiamo parlando? Di cosa mi rimproveri?... va bé, lasciamo perdere, davvero.
Genio si guardò intorno, molto annoiato ed impaziente, Martin si sedette sul letto e continuò a vestirsi, aveva trovato i suoi vestiti.
― Allora dimmi, tu cosa hai fatto?
― No, niente... ho conosciuto una tipa... una vera troia succhia cazzi a comando...
― Ah, bene, hai dato un senso alla tua giornata...
― Sì, quello sì... ma sai... senza amore... non è la stessa cosa...
― Ma che cazzo stai dicendo?!
Martin si era fermato a metà mentre legava i lacci di una scarpa e lo aveva fissato incredulo di una dichiarazione tanto melensa.
― Eh, parli facile tu... tu qui hai Ludovica, la regina del tuo cuore... io la prima zoccola di turno... ti sembra uguale?
Martin sorrise guardando a terra, la regina del cuore, la regina del cuore spolverava la mobilia al posto di governare fino ai confini del reame.
― E che vuol dire questo? Che mi devo sentire in colpa se io mi sono innamorato e tu vai in giro a puttane?
L'innamoramento di Martin si poteva misurare nell'intensità della sua voce, non in quella del sentimento con cui riusciva a sentirsi parte di Ludovica.
― ...in effetti.. un poco dovresti... bel momento che hai scelto per farlo!
― Ma quante volte ancora dobbiamo affrontare la questione?!
― Non, no, non ti preoccupare, io non sto affrontando niente... faccio il punto della situazione, dei dati di fatto...
― Ma quali dati di fatto! Muovi il culo e cresci... oppure divertiti senza rompere il cazzo, che è la stessa cosa!
La durezza di Martin di schiantava su Genio e non contro il macigno di dolore che gli si stava formando dentro, troppo grande per essere osservato, perché troppo vicino a Martin, troppo al centro del suo mondo indicibilmente privo di prospettiva.
― Cioè secondo te, innamorarsi seriamente oppure scopare consapevolmente senza sentimento è uguale?
― Sì, se è quello che vuoi veramente. Raggiungi lo stesso senso di benessere.
Genio si era reso conto di colpo che Martin non stava scherzando, e ne rimase sorpreso e spiazzato.
― Ah! Bella dichiarazione. E dimmi, tu quale delle due...
Si alzò di colpo dirigendosi verso Martin quando Ludovica rientrò in camera e si trovò interposta fra di loro. Aveva fatto una doccia ed aveva i capelli bagnati, sciolti sulle spalle ed era avvolta da un grande asciugamano bianco.
― certo che... non vi si può stare a sentire... fate discorsi davvero senza senso!
― Discorsi da uomini... tu che ne sai?
Martin si era tirato dietro i capelli a piene mani, quasi accecato dal senso di pesantezza e fastidio provocatogli da tutto quella situazione presa insieme e scaraventataglisi in pieno volto. Ma riuscì a spostare l'attenzione su Genio, che ormai gli era accanto.
― E tu... ma si può sapere perché la mia ragazza esce dalla doccia seminuda e deve trovarti a bivaccare nella mia camera?
― ... condivisione?...
― Fuori!! FUORI!!!
Martin cercò di non ridere per non piangere, sorrise a Genio che alzava le spalle nell'indecisione di cosa fare in un momento tanto sfuggente e senza nessun equilibrio logico. Martin spinse Genio fuori dalla stanza sbattendo la porta.
― Ludo... ti prego.. scusalo... è davvero un testa di cazzo...
Martin aveva l'affanno. Le si avvicinò prendendole una mano per baciarle il cavo del palmo. Ma Ludovica la sottrasse alla sua presa e si allontanò da lui camminando sulle punte.
― Martin, risparmia il fiato, ho già capito come andrà a finire... abbiamo adottato Genio, nulla di quello che può fare... e che farà... potrà offendermi in nessun modo.
Martin la guardò sorpreso e rasserenato e confuso, e vuoto e scivolosamente privo di ogni appiglio per cercare di capire quali fossero i suoi sentimenti verso di lei, e non le sue intenzioni.
― Però porca puttana Martin... che almeno si sfili le scarpe nella sua camera... visto l'odore che stanno lasciando!
― Porca bestia ladra! G.E.N.I.O!! Torna subito qui e raccogli tutta questa merda purulenta!
Martin e Ludovica sentirono due colpi di nocca contro la porta.
― Posso entrare?
Martin spalancò la porta sorprendendolo ancora con la mano alzata che bussava. Gli lanciò con forza contro le scarpacce che sfilandosi dai piedi pochi minuti prima aveva infrattato sotto il letto di Martin.
Genio scoppiò a ridere, le riprese dal pavimento del corridoio e le scaraventò nuovamente contro Martin, che nel frattempo aveva richiuso la porta. Cominciarono a fare un rumoraccio di colpi e manate contro il legno che rimbombava da un lato e dall'altro. Genio spingeva per entrare, Martin imprecando lo teneva chiuso fuori. Tutti e due ridevano, mentre Ludovica si rivestiva per niente infastidita dalla baraonda che si stava svolgendo intorno a lei.
Quando finì di abbottonarsi i pantaloni, ed allacciarsi bene gli stivali, con tutta la noncuranza del mondo Ludovica si diresse alla porta e spostò via Martin. La porta si spalancò di colpo e Genio cadde in terra entrando nella stanza a gran velocità ed atterrando a mezzo tappeto. Ludovica lo scavalcò ed uscì. Poi si girò rivolta a Martin.
― Martin, tesoro, ti aspetto in cucina... ho bisogno di un passaggio a casa... manco da ieri.

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