Martin era finalmente tornato a casa da solo, ed era tramortito. Si era abbandonato sul letto nonostante fossero le sette e mezzo del mattino, fra i cuscini morbidi ed i profumi delle sue cose. Aveva lasciato Genio dormire in una stanza da Ludovica, dopo che con un cenno l'amico gli aveva fatto capire che per nulla al mondo si sarebbe alzato prima del sole.
Si era svestito ed aveva acceso lo stereo prima di gettarsi a pancia sotto sulla trapunta. Era rimasto nella posizione in cui era caduto, senza avere la forza, la voglia, la necessità di muoversi, di stare più comodo. Ed andava bene così, solo stare solo nella sua stanza, senza le storie del gatto incastrato, della finta cena a base di pesce, della pizza caduta a terra, della camomilla fatta per errore al posto che con la camomilla con l'origano e dell'orrenda puzza che aveva avvolto tutta la casa, e del latte caldo con la nutella sulle fette biscottate.
Tutto il frastuono della giornata precedente stava lentamente scomparendo dentro di lui, stava uscendo dalla sua mente per lasciarlo vuoto ed abbandonato, in balia dei suoi pensieri, che ancora non riusciva a formulare, ed a cui non sapeva dare una forma.
Gaeta.
Lo prese un colpo al cuore, e si voltò a guardare il soffitto, con le mani raccolte sotto la testa.
Prima di uscire dalla stanzetta delle fotocopie lo aveva sentito ben chiaramente dire che tutto quell'equivoco poteva tranquillamente chiudersi come era stato fatto nascere. La serietà con cui Gaeta gli aveva fatto capire che tutto sarebbe tornato al posto giusto lo rassicurava, gettandolo però nell'ansia più nera che la sua mente potesse conoscere. Gaeta gli stava dando l'occasione di tornare indietro, di riprendere la vita serena e chiara che aveva pensato di vivere con Ludovica a Lecce dal punto in cui l'aveva interrotta. Ed anche aggiungeva lo schiaffo più grande, rendendosi disponibile ad accollarsi ogni responsabilità, qualora fosse stato necessario.
Il sonno lo assaliva a tratti, ma il dormiveglia, se da un lato lo tranquillizzava, dall'altro gli faceva tornare alla mente, ed in superficie sulla pelle viva, le sensazioni forti che aveva provato al contatto delle sue mani, alle sue mani poggiate su di lui, più e più volte, sul suo corpo incastrato nella ressa della fotocopiatrice, schiacciato da Gaeta come se toccarlo in quel modo fosse stato pienamente nelle sue possibilità. L'eccitazione sorprendente ed ancora viva nel ricordo delle sue carezze un po' gettate furtive e quasi per sbaglio fra le scapole, un po' per caso al punto da fargli dubitare se fossero state casuali, un po' per sfida a fargli credere che Gaeta non avrebbe mai potuto accettare un rifiuto, un po' per rabbia a fargli capire che il suo volere non avrebbe contato nulla, un po' per provocazione a stringergli il fianco fino a togliergli il fiato come quella sua reazione fosse stata la prova che Gaeta avesse avuto ragione su tutto. E sopra ogni altra cosa la presa delicata e decisa del mento, che non lo aveva abbandonato per tutta la durata di quei giorni in cui non aveva fatto altro che pensare a come, come, come tutto quello potesse essere successo, o anche solo iniziato, mentre sul collo distingueva la stretta con cui Gaeta lo aveva immobilizzato per guardarlo da vicino, distruggersi in un pianto umiliante quanto doloroso.
Ed il bacio. In auto. Il suo modo forte ed indiscutibile di disporre di ogni cosa, di fare come gli pareva, di afferrarlo forte e piegarlo di lato. Ormai erano giorni che in ogni istante non riusciva a pensare ad altro se non a come si era lasciato baciare in un modo così totale e ripetuto, e così soffocato e sorpreso, ed a come era stato incapace di allontanarsi da lui. Nell'azzeramento di ogni sua volontà che non fosse coincidente con quella di Gaeta, non era stato abbastanza determinato da respingere la sua spinta che lo aveva schiacciato contro il sedile, ed ancora continuava con insistenza a sentirsi scoppiare dentro ogni volta che ricominciava a ricordare, e come se ogni volta fosse la prima volta che quel pensiero lo attraversava dirompentemente.
Il solo pensare a Gaeta, non lo faceva pensare a Gaeta. Ogni volta che tentava di pensare, e cercare di capire, non riusciva ad andare oltre all'eccitazione che aveva provato nei momenti passati insieme a lui e che simultaneamente cercava di cancellare e ricordare, sottoposto alla sua ironia da uomo adulto che gioca e ride e scherza delle debolezze che Martin non poteva nascondergli in nessun modo. A fatica poteva ripercorrere il ricordo rimastogli vivo sulla pelle, contro i suoi denti, sul palato, ma non andava oltre a questo, non ci riusciva, e più il tempo passava più gli sembrava impossibile riuscirci.
E non riusciva soprattutto a porsi la domanda più difficile, anche se tutto il suo corpo l'aveva oltrepassata con l'unica risposta possibile. Ma ignorare la risposta, non avrebbe cancellato la domanda.
Se fosse riuscito ad affrontare lucidamente la questione, avrebbe voluto chiedersi se fosse mai stato possibile che a lui accadesse di essere non attratto da un uomo, ma totalmente devastato da Gaeta. Non poteva chiedersi una cosa simile, ma solo sapeva che tutto il suo corpo gli rispondeva ad ogni istante che la cosa comunque era successa, e che si trattava di Gaeta, nonostante il fatto fosse un uomo. E non un uomo qualunque, un amico fraterno, Genio per esempio, e la cosa lo fece sorridere amaramente, ma in maniera intensa. Forse nell'assurdità del ragionamento, avrebbe potuto in ultima analisi accettare la confusione dei rapporti con Genio, amico di una vita e parte del suo corpo in una eterna comunione di tutto. Non di un estraneo, pienamente pieno del carisma dovuto all'età, al ruolo, all'essere uomo nella sua totalità e pienezza di significato.
Confrontarsi con l'idea di provare attrazione viscerale per un uomo gli sembrava il preludio ad altre domande, ma che però non lo agitavano quanto quella, quanto quella che riguardava Gaeta. Martin non poteva negare ormai di esserne attratto in una maniera irrazionale e cieca, e non poteva fare niente per moderare le cose, per cambiare le carte in tavola, o il ritmo del battito di un cuore che quasi non riconosceva come suo ma che sapeva esserne parte, insieme a tutto il resto.
Forse avrebbe potuto ignorare tutto, anche nei confronti di se stesso, e sapeva che, forse, probabilmente ci sarebbe riuscito se solo lo avesse voluto, e già sapeva che anche Gaeta non avrebbe opposto resistenza. Nonostante quello che fino ad allora avesse capito di lui, a sorpresa Gaeta glielo aveva detto chiaramente. E forse era quella la via da seguire, la più facile, anche se solo in apparenza, perché già rabbrividiva all'idea di dover trovare una via acrobatica per conciliare con il mondo intero che comunque sarebbe andato avanti lo scorrere del suo sangue nelle vene, e sotterrare l'ansia ben in fondo nella carne per rendere la vita accettabile, non tanto rispetto agli altri quanto piuttosto rispetto a se stesso, per tutte quelle volte in cui, ripensandoci, si sarebbe trovato a scoperchiare un vaso di sensazioni forti in quella parte della sua anima a tenuta stagna.
Per dimenticare Gaeta, per lasciarselo alle spalle, era fondamentale che anche Gaeta volesse essere dimenticato, che la smettesse di provocarlo, ed in effetti Gaeta lo aveva promesso. Ma Martin sapeva come Gaeta lo provocasse anche solo semplicemente esistendo. Pur volendo chiudere Gaeta in una stanza della mente, con il suo incredibile consenso senza prezzo, Martin notava che qualcosa sarebbe rimasta incollata agli stipiti.
Come era stato possibile che tutto fosse accaduto in così pochi giorni? In fondo cosa sapeva concretamente di Gaeta? Che insegnava Letteratura Italiana, che aveva poco più di quarant'anni e che probabilmente si chiamava Arturo, che prima di trasferirsi a Lecce aveva insegnato a Catania, che era originario della provincia di Taranto, che non amava l'Isola di Arturo. Ed a questo pensiero spontaneamente sorrise.
Praticamente niente. Di Gaeta non sapeva niente, al suo nome corrispondeva il vuoto nero di una voragine che gli si era aperta dentro senza alcun controllo o preavviso. C'era la possibilità che Gaeta fosse gay?
Martin la sera al Camelot lo aveva visto ripassarsi ragazze a non finire, almeno tre, oltre alla barista e ad altre che passavano salutandolo e lasciando intendere dell'altro già avvenuto. Eppure era stato Gaeta a fare il primo passo verso di lui, da subito, immediatamente, già in aula il primo giorno di lezione forse, e lo aveva fatto a gamba tesa, aggressivo come al solito e senza preoccuparsi se Martin fosse stato o meno d'accordo, in un crescendo di azioni che non avrebbero mai potuto lasciare Martin indenne. Lo squilibrio fra le loro esperienze di vita era evidente, e Martin sentiva pesare lo svantaggio su di sé senza mezze misure.
E poi Marika che si riprometteva di scoparselo e che lo aveva dichiarato al mondo a testa alta. Poteva considerare Marika e la sua conclamata sensibilità in materia una fonte accreditata per stabilire che Gaeta non fosse gay?
Ma poi, quando ci pensava più intensamente, anche Martin aveva la sensazione che Gaeta non lo fosse, e che piuttosto tutto quello che stava succedendo per Gaeta fosse solo un gioco andato un po' troppo oltre, un eccesso dopo una sbornia e chissà quali altre sostanze. Gaeta fuori dall'ateneo era decisamente un'altra persona, non proprio il docente con la tazza di te in mano che corregge compiti al lume di una lampada. E però poi quel gioco si era ripetuto più volte, a mente lucida ed in altri luoghi. Come poteva considerarlo ancora frutto di una serata all'insegna dell'esagerazione?
Passandosi le mani fra i capelli si accorse che per l'ennesima volta, in quell'ennesima giornata che stava cominciando, tutta la sua anima era nuovamente occupata da Gaeta, e non solo dalle domande che lo riguardavano, ma anche dalle sensazioni che gli lasciava addosso il solo ricordarlo, dentro, ed ancora più dentro, in quelle zone profonde di se stesso dove raramente arrivava la luce del sole a fare chiarezza.
Ma in tutto il ragionamento che andava avanti senza sosta, e che poi tornava indietro e ricominciava solo per ridefinire le stesse cose, c'era un'assente, grande quanto una casa, Ludovica.
Quale posto le stava dando in tutta questa storia? Su Ludovica non aveva dubbi. Amava Ludovica di un amore vero almeno nelle intenzioni, fatto di certezze probabili e dolcezza sicure. Amava il suo corpo perché era accogliente, perché Ludovica era come una caramella amica che Martin aveva trovato per caso sul fondo di una tasca, in un bar di un paesino sperduto a sud, e per lei aveva riscritto tutti i piani della sua vita, e non aveva dubbi nel pensarla importante ed al centro di ogni cosa. Il solo pensiero di coinvolgerla in una storia come quella che avrebbe potuto crearsi con Gaeta lo faceva inorridire e lo lasciava privo di idee su come gestirla.
Cosa poteva fare, se non sperare che tutto si rimettesse a posto come quando era stato così felice di essersi trasferito a Lecce per lei, quando ancora a Fiesole, preparando i bagagli, i pacchi da spedirsi, aveva immaginato i pomeriggi che avrebbero passato insieme studiando, facendo l'amore, per poi tornare insieme sui libri, gli stessi libri che Martin già amava prima di conoscerla.
Gaeta era arrivato fra capo e collo distruggendo la serenità che Martin si stava costruendo a fatica. Aveva affondato il suo potere nelle fessure delle sue insicurezze, che Martin non pensava di avere, che non sapeva di avere, che gli mettevano sotto gli occhi quanto di se stesso non conoscesse, e di quanto avesse disperatamente bisogno che qualcuno lo stringesse forte, lo strapazzasse, e lo amasse con l'intensità e forse anche con la prepotenza che Gaeta aveva dimostrato di avere con lui fin da subito. Il bisogno di sentirsi amato forte era più forte del bisogno di capire da chi.
La morbidezza di Ludovica era tutto, ma anche esattamente il contrario di tutto il resto. Misurare la profondità di quel resto era in realtà stabilire quanto fosse ormai vitale per Martin accettare l'esistenza di Gaeta. Perché ormai Martin sentiva che in ogni rapporto avuto prima di Ludovica, una volta arrivato all'ultimo gradino, il fiato terminava, la corsa finiva, il suo corpo esplodeva, ma era come se dentro se stesso si fosse aperto altro spazio, un ultima boccata di ossigeno che non riusciva ad inalare, che l'espansione massima dei suoi polmoni non riusciva a raggiungere. C'era come una virgola della sua mente che mancava all'appello. Con Ludovica aveva avuto la sensazione, o meglio la speranza che quello spazio che aveva sempre sospettato esistere potesse essere in qualche modo raggiunto, se solo Ludovica avesse voluto accompagnarlo. Ma Ludovica spesso non aveva posto attenzione a questa sua esigenza, e quello spazio era quasi diventato un vano tecnico in cui gettare le proprie ansie, ed i suoi sorrisi divertiti quando Martin le chiedeva di aprire gli occhi e di guardarlo in fondo, fino in quella stanza.
Gaeta invece quello spazio in chiaroscuri aveva deciso di abitarlo, e senza chiedergli il permesso. E forse lo stava anche invitando ad entrare, e gli tendeva la mano ad afferragli il viso e strappargli via la carne, quasi per trascinarlo dentro togliendogli il respiro, mentre Ludovica ne rimaneva fuori e solo a guardare, ma in un altra direzione.
Prima di Ludovica, il vuoto che lo aveva sempre spinto alla ricerca di chissà cosa, si era risolto solo nella ricerca di un rapporto vero, di un amore vero, nella ricerca di qualcuno davvero capace di entrargli dentro per completare l'opera della sua esistenza. Fino ad un certo punto, che pensava essere il punto massimo possibile, lo aveva trovato con Ludovica. Ma alla fine, i conti forse non erano usciti esatti, perché quello che aveva trovato non era abbastanza. La quantità ottenuta non giustificava gli sforzi, non forniva risposte, era solo il risultato di una disuguaglianza matematica che si sarebbe potuta riequilibrare solo ipotizzando l'esistenza di Gaeta.
Genio spesso con estrema sintesi gli aveva detto che andava in cerca di cose inesistenti. Ormai Martin poteva rispondere che l'errore non era nel risultato, ma nell'allestimento dell'equazione.
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Tre maggiore di due
RomanceRomanzo New Adult LGBT Intreccio di storie di tre ragazzi che nei primi anni universitari scoprono sulla propria pelle cosa voglia dire crescere, misurare i propri desideri, conoscere i propri limiti, superarli e pagarne il prezzo. Il racconto parte...