Capitolo 20 - VI

777 101 26
                                    

Ferrante era entrato come una furia e senza bussare, aveva acceso la luce ed alla vista del disastro evidente era rimasto per qualche istante disorientato, cercando di identificare la sagoma del figlio. Lo aveva visto tramortito sul letto, con il viso semicoperto dai capelli e che non era neanche in grado di voltarsi a guardare chi fosse entrato in camera.
Genio era saltato da un lato sorpreso dal rumore, oltre che dalla luce, dall'irruzione, e dal veleno che vedeva negli occhi dell'uomo mentre ispezionava centimetro per centimetro la stanza totalmente in disordine.
Ed i suoi occhi si bloccarono su Genio come chiodi, mentre Genio si stava velocemente sbriciolando in piccoli mucchietti di sabbia a piedi della tenda.
Ferrante gli si scagliò contro a mani piene fino ad afferrarlo per la maglia e trascinarlo di forza verso la porta d'uscita della stanza.
― Ero sicuro, ero sicuro che tu dovessi centrare qualcosa in questo casino!!
― ...papà...
Genio aveva perso il peso del proprio corpo, e non reagiva al trascinamento di Ferrante che gli urlava a pochi centimetri dalla faccia.
Martin riuscì a mettersi seduto sul letto, ed il movimento gli fece girare la testa come mai avrebbe pensato essere possibile.
― Papà!! Fermati! Che stai facendo!
― Adesso basta Martin, abbiamo sopportato anche troppo in questa casa che tu frequentassi questa nullità. Ma questa sera vedo che le cose sono cambiate di livello!
Martin tenendosi la testa aveva fermato la camminata del padre verso la porta, e stava cercando di liberare Genio dalla sua presa. Ma il padre lo spinse indietro con una bracciata, e Martin ricadde seduto.
― Tu non ti muovi da qui, fra un po' facciamo i conti!
Ferrante uscì dalla stanza di Martin con Genio quasi sollevato da terra e che sembrava camminare in punta di piedi, zitto e senza fiatare... per oggettiva mancanza di argomenti. Martin li seguì, li oltrepassò ed occupò la rampa in discesa.
― Adesso fermati papà! Che fai! Non sai niente di quello che è successo qui!
― Se vuoi ti faccio ascoltare il messaggio che ho in segreteria, così me lo spieghi in dettaglio!
Ma Ferrante, dopo aver fissato il figlio negli occhi, sembrò riprendere il suo solito candido controllo, e lasciò andare Genio, che ricadde in terra come da un'altezza spropositata.
― Ecco fatto Martin, il tuo cagnolino è libero.
― Ma come ti permetti, papà!!
Genio fece segno a Martin che non era stato detto nulla di grave e di lasciar correre, ma Martin comunque faticava a seguire i loro movimenti, non riusciva a sentirli bene, era ancora confuso ed alterato.
― Ma non vedi Martin in che condizioni sei? Ma che ci trovi in un amico così, ti porta solo guai! Che modo è di chiudere una serata lanciando bottiglie dalla finestra? E poi, che ci fai ancora qua, non dovevi essere arrivato a Lecce? Che poi... anche questa...
Martin parve cadere da Marte dritto sulle rampe, e sembrò riacquistare di botto un altro pezzo della storia, che per via della sbornia aveva rimosso.
― Lecce.
Genio fermo davanti a loro, dondolando da un lato e dall'altro sparì tornando di nuovo dentro la stanza di Martin.
― Martin, mi hanno chiamato dalla centrale della vigilanza, ho parlato con Vittorina, mi hanno detto che c'era una rissa, che stavate lanciando bottiglie. Mi hanno fatto venire correndo, non sapevo che avrei trovato... ma capisci che paura mi hai fatto prendere?
Ferrante si era calmato, ed attendeva delle spiegazioni, che Martin non poteva dargli, perché da quando il padre aveva nominato Lecce la sua mente era andata altrove e poco aveva sentito delle sue ultime frasi.
― Papà, ti prego, vai via, qui è tutto a posto.
Martin si era seduto sui gradini ed aveva poggiato la testa contro il muro. Ferrante scese più in basso per poterlo guardare negli occhi, gli tirò dietro i capelli con una carezza, forse troppo rude per essere tale, e lo vide assente, e stanchissimo.
― Ma si può sapere che sta succedendo?
― Niente, stavamo festeggiando la partenza.
― Ma non era stamattina?
― No, partiamo domani, giù c'è l'auto già carica. Partiamo presto.
Martin lo guardò per un istante, non si ricordava di aver mai mentito con così tanta convinzione a suo padre, e Ferrante sembrò non accorgersene, tanto era abituato a che le bugie non fossero fra loro necessarie.
― Non me lo ricordare.
― Cosa?
― Che vai a vivere con quello.
Ferrante sorrise, finalmente un po' indulgente nella voce.
― Papà, è un amico speciale. Qui stasera non è successo nulla di grave, abbiamo esagerato con le birre.
― Mi sembra non solo con le birre.
― ...
― Giù. Ho visto la bottiglia del Lagavulin a terra... è vuota, Martin.
― Eh va bene papà, per una volta avevo voglia di bere bene!
― ...e tanto.
― ...se non fosse stato per lui... forse stasera sarei caduto di sotto, non so...
Ferrante non commentò la frase riferita a Genio, solo si strinse il figlio addosso, quasi non fosse capace di abbracciarlo, ma solo schiacciarselo contro, ma con affetto. Martin respirò fra i suoi vestiti, e sentì un odore che non conosceva.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora