Martin cadde in un silenzio totale, che aveva iniziato a metterlo di fronte allo stato delle cose. Era scomparso da ore senza aver lasciato detto a nessuno dove fosse. Non aveva risposto al telefono e sicuramente qualcuno lo aveva cercato, e non aveva idea di cosa avrebbe potuto inventare per coprire il buco di ore, ed ore, in cui si era sottratto al mondo per farsi disfare l'anima da Gaeta in ogni modo possibile. Aveva perso ogni cosa, le sue tasche erano vuote. Con sé non aveva niente, se non una corona sulla testa e la mano di Gaeta che lo accarezzava sotto al mento, e che quasi avrebbe potuto strozzarlo anche solo stringendo di poco la presa. Gaeta gli sfiorava la gola con il dorso della mano ed ogni tanto lo guardava in viso, e si chiedeva cosa stesse facendo con quel ragazzino che avrebbe potuto essergli figlio.
Il dolore che provava Gaeta nel pensare al dolore di Martin era intenso quanto quello che Martin realmente sapeva crescergli dentro. Gaeta se lo sentiva addosso senza poter fare niente per dividerlo con lui e magari riuscire a barare, per prendersi la fetta più grossa. E ci provò con un bacio, a tirargli fuori l'anima per quel poco che gli era rimasto ancora intatto, e Martin si aggrappò a lui, perché aveva capito che Gaeta stava solo cercando di fargli sentire la sua presenza senza aggiungere niente ai suoi pensieri.
― E adesso... che succede...
Gaeta sorrise, cancellandogli con la mano i tratti del viso fino ad accecarlo, fino quasi a strappargli il viso dalla carne, in un massaggio che tolse a Martin ogni idea di continuare a ragionare.
― Succede che sono le cinque del mattino, che sei disfatto da fare schifo...
Gaeta sorrideva, e lo guardava totalmente pendere dalle sue parole.
― ...che devi mangiare, e dormire e che devi farlo senza che nessuno ti schiacci di domande, compreso te stesso.
Martin sorrise con una nota triste negli occhi.
― E poi?
― E poi, vieni a casa mia, e ti lasci coccolare senza pietà...
Gaeta rise alla sua faccia sospesa fra il sonno e la paura seducente di continuare a morire nel mare di carezze che Gaeta gli stava ancora promettendo. La voce forte di Gaeta che gli annunciava le sue intenzioni per le prossime ore trascinavano Martin in un baratro di piacere senza fine e da cui non sapeva come uscire per pensare lucidamente a dove si stesse continuando ad infilare. Nella casa di Gaeta, probabilmente nel suo letto, e Gaeta gli aveva appena chiarito che non voleva lasciarlo da solo ad affrontare i primi pensieri a caldo dopo quello che era successo e che stava continuando a succedere fra di loro, e che sicuramente avrebbe avuto voglia di sconvolgergli ancora l'anima fino all'ultima fibra, perché per Gaeta farlo stare bene significava farlo stare male fino all'osso. Una vertigine si impossessò di Martin che nonostante l'ansia e la paura che provava per la dismisura delle loro forze, comunque non vedeva l'ora di lasciarsi di nuovo cancellare d'amore, di quell'amore che aveva sempre sperato di ricevere e che invece stava ricevendo da Gaeta senza che potesse definirsi tale. A quel pensiero difficile da accettare, Gaeta sentì Martin tremare sotto le proprie dita, e con un altro bacio sperò di poterlo tenere fermo, e vivo, sulla terra.
― E poi ci sono io, Martin. Qualunque ragionamento, lo faremo insieme.
― Mi sta scoppiando la testa, mi sento morire... non so che sta succedendo...
― Cosa vuoi capire alle cinque del mattino?
― ...infatti.
Martin chiuse gli occhi lasciando che Gaeta continuasse ad accarezzargli piano la nuca, sistemandogli ogni tanto la corona che gli scendeva sulla fronte, divertito ed affascinato dalla scena, e Martin si sentiva scivolare in un sonno ansioso ma intenso, e non vedeva l'ora che l'auto si fermasse, qualunque fosse stato il luogo. In quel momento sentì l'improvvisa retromarcia, che gli annunciava che Gaeta aveva appena parcheggiato, e spento il motore, e che doveva aprire gli occhi e capire dove fosse, ma stava volutamente rimandando il momento. Ad occhi chiusi, sentì che Gaeta era sceso dall'auto ed aveva fatto il giro dal suo lato, aveva aperto il suo sportello, lo aveva afferrato per le braccia e lo stava tirando fuori quasi sollevandolo di peso e finalmente Martin ebbe il coraggio di tornare a guardare d'avanti a sé e tutto si aspettava di trovarci, fuorché di essere di nuovo di fronte all'insegna del Camelot.
Mentre lo reggeva, Gaeta gli sfilò la corona che con i suoi movimenti non riusciva a restare dritta sulla sua testa.
― Sua altezza mi perdonerà l'affronto... ma, vista l'ora...
Gaeta rideva cercando di rimetterlo in sesto.
― ...e la sua totale assenza di portamento...
― Perché mi hai riportato al Camelot? Sono senz'auto, lo sai... e mi avevi detto che...
Gaeta rise, sistemandogli la felpa ancora una volta e lo baciò rumorosamente, e Martin sentì chiaramente quanto fosse felice.
― Che ci facciamo di nuovo qui. E' tutto chiuso, il cellulare lo cercherò domani, oppure ne comprerò un'altro, non mi importa!
― Martin porca miseria, ti vuoi calmare, o no?
Gaeta aveva preso il viso di Martin fra le mani e cercava di guardarlo negli occhi mentre Martin protestava senza riuscire ad esprimere un concetto ben definito.
― Martin, fai silenzio!
Gaeta lo baciò di nuovo e di nuovo finché Martin non si calmò, e dovette con le sue braccia sostenerlo quasi totalmente, mentre le punte della corona che stringeva in una mano si impigliavano ed inforcavano la felpa di Martin che Gaeta continuava a sistemargli addosso ad evitargli il freddo intenso delle ultime ore della notte, e Gaeta sorrideva fra sé alla scena del doversi prendere cura di un piccolo tesoro fragile ed inconsapevole del proprio valore.
Martin obbedì, e si lasciò voltare dall'altro lato ed accettò che Gaeta lo spingesse di qualche passo. Martin si avviò verso la porta di legno del Camelot, mentre Gaeta gli camminava dietro, e quando Martin si fermò ad un passo dall'ingresso Gaeta lo spinse a continuare.
― Non qui, Martin, più avanti.
Gaeta gli indicava il portone accanto.
― Io abito al primo piano.
Martin sollevò all'improvviso in alto lo sguardo e il palazzo lo assalì sorprendendolo in tutta la sua altezza. Martin non aveva mai avuto la percezione che il Camelot fosse il piano terra di un edificio, non ci aveva mai pensato. Ed invece il castello di Gaeta sovrastava il suo regno, le sue terre, i suoi sudditi, le sue amanti assoggettate, le sue bevute fuori controllo, i suoi amici devoti come fossero stati cavalieri seduti ai tavolini tondeggianti in fondo al locale. Gaeta al Camelot era a casa perché il Camelot era casa sua in nome di chissà quale evidente rapporto di dipendenza come fosse stato un patto di sangue con tutti i suoi dipendenti ed avventori, ed il suo castello che svettava oltre il livello stradale, sopra l'insegna luminosa, era fatto di cemento e balconate grigie, e si affacciava sopra alla totalità dei suoi possedimenti, e sul parcheggio antistante al pub. Martin ne era rimasto sopraffatto.
― ...non ci credo...
Gaeta rise senza nascondere la luce che gli illuminava il cuore.
― A cosa?
― ...tu vivi qui?
― Sono il re.
― ...ma come è possibile...
― Vivo qui, sul Camelot, perché, non posso?
Gaeta rideva nel vedere come Martin pur vacillando per la stanchezza cercava di fare domande per capire come fosse possibile ogni cosa, e non solo che Gaeta vivesse sopra al Camelot. Con un gesto deciso Gaeta spinse Martin dentro al portone, interrompendo l'ammirazione che Martin stava esprimendo per tutto il palazzo preso nel suo insieme.
― Va bene, ho capito, ti piace dove vivo. Ma adesso entra.
Mentre l'anta sbatteva, Gaeta sentì Martin saltare per lo spavento e per i suoi modi che ogni tanto diventavano troppo bruschi. Sentì Martin allontanarsi un po' da lui e fissare con lo sguardo perso il portone serrato alle sue spalle.
― Ti prego di non tremare.
L'oscurità della portineria, la paura con cui Martin comunque si stava affidando a lui, accecò Gaeta di un'eccitazione che però non voleva trasmettergli. Trovarsi ad un passo dal chiudere su Martin la porta della propria casa non stava lasciando Gaeta ragionare con la lucidità che aveva mantenuto fin dall'inizio, e che non poteva permettersi di perdere per nessun motivo al mondo. Eppure Martin aveva cominciato a tremare quasi che avesse sentito a pelle che Gaeta avrebbe potuto perdere il controllo in qualunque momento.
― Ti prego non farmi questo.
― ...questo...cosa?
― Non vedi avere paura di me. Ti prego, ti prego Martin.
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Tre maggiore di due
RomanceRomanzo New Adult LGBT Intreccio di storie di tre ragazzi che nei primi anni universitari scoprono sulla propria pelle cosa voglia dire crescere, misurare i propri desideri, conoscere i propri limiti, superarli e pagarne il prezzo. Il racconto parte...