Capitolo 20 - I

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Genio era riuscito a seppellirsi vivo nella camera di Martin.
Come avrebbe fatto solitamente, si sarebbe fiondato ad accendere il flipper e ad infilarci qualche moneta, avrebbe giocato come un ossesso finché Martin non avesse finito di fare una doccia, fino a quando la voce del Signor Spock non gli avesse annunciato il punteggio raggiunto, e che lui avrebbe inesorabilmente ricoperto di insulti intergalattici, per poi gettarsi lungo steso sul letto di Martin per assistere agli ultimi gesti della sua vestizione. La prova della maglia allo specchio, il nodo alle scarpe, i capelli in disordine comunque.
Ma quella volta invece Genio era entrato di fretta e si era chiuso la porta alle spalle. Si era messo a sedere sul bordo del letto di Martin quasi sull'attenti, con tutti i suoi sensi in allerta, nel tentativo di capire cosa stesse accadendo sulle scale, senza però avere il coraggio di avvicinarsi all'ingresso della stanza. Aveva le mani avvinghiate alle ginocchia, e sembrava aver perso la flessuosità delle giunture, e persino il proprio stesso respiro gli sembrava essersi appesantito.
Finché all'improvviso la porta della stanza non si aprì velocemente e velocemente si richiuse, dopo che Martin fu inghiottito dall'interno della sua camera da letto.
Una volta dentro, Martin era rimasto con la mano aggrappata al pomello della maniglia, e si era voltato verso l'amico, ma senza riuscire a vederlo. Semplicemente fissava il vuoto innanzi a sé, con la schiena premuta contro il legno e con la nuca che a piccoli colpi cominciava, e continuava, a sbattere all'indietro.
Era come se nella stanza fosse stato solo. Genio era rimasto a guardarlo, e gli sembrò che fosse diventato tutt'un pezzo con la porta, dalla quale Martin non riusciva a staccarsi. Vedeva l'amico continuare a tenere gli occhi chiusi, mentre continuava volutamente a sbattere la testa contro la superficie alle sue spalle. Genio fece un cenno per alzarsi, ma Martin ancora sembrava non riuscire a sentire la sua presenza innanzi a sé, e come fosse stato in totale solitudine, si lasciò scivolare in terra, e vi rimase seduto quasi si fosse seduto sui talloni, e con le nocche contro il pavimento cercava di mantenersi in equilibrio.
Non emetteva nessun suono. A Genio sembrò che neanche stesse respirando, solo rimaneva accovacciato in terra ad occhi chiusi, ad assaporare quanto fosse difficile cadere in piedi.
La sorpresa di vedere Martin rannicchiato su se stesso tolse a Genio ogni possibilità di decidere che fare. Non era mai accaduto che fra di loro fosse Martin a sbriciolarsi e crollare in terra, e Genio non sapeva come fare per andargli incontro. Non gli veniva in mente nessuna battuta, nessuna cosa sensata da dire, nessun ipotesi su come mettere a posto le cose. Riusciva solo a guadarlo sprofondare nella solitudine cieca di una stanza vuota che Martin sentiva di avere intorno a sé.
Ma Genio si rese conto che sarebbe toccato a lui per quella volta allungare la mano e tirare fuori Martin dalla palude che si stendeva al di là della linea dell'orizzonte delle sue emozioni, e si alzò come lanciato verso Martin e quando gli fu accanto si rese conto che Martin quasi non era accanto a lui. C'era solo il suo corpo, i suoi occhi arrossati ma secchi, il suo essere tutto d'un pezzo, seppur spezzato per terra.
Gli si inginocchiò d'avanti, e gli stritolò le spalle a furia di scuoterlo, ma Martin non reagiva quasi per niente, solo un attimo alzò lo sguardo negli occhi di Genio e quando si guardarono a Martin tremò un poco il mento. Ma Martin riuscì a contenere quella reazione nervosa mordendosi le labbra. Osservava Genio davanti a sé occupare totalmente la visuale ed anche lui gli strinse le spalle in una stretta forte che impastò la stoffa dei vestiti alla muscolatura irrigidita di entrambi. Martin si era finalmente ricordato che Genio era d'avanti a lui, e che lo stava scuotendo con forza, e lui con la sua presa cercava invece di frenare i suoi scossoni, ormai quasi totalmente tornato in sé.
Finché Martin scoppiò in un sorriso guardando in basso e Genio lo scosse forte per un ultima volta dandogli anche una testata.
Martin respirò forte, una, due volte, sorrise di nuovo, incredulo della situazione, nella stanza un po' all'oscuro, mentre ancora cercava di riacquistare un ritmo regolare.
Genio sentì che Martin stava riconquistando le forze nelle braccia, nella muscolatura, sul viso, e che il suo sguardo stava tornando più presente. Solo allora si alzò in piedi e se lo tirò dietro, finche anche Martin non tornò dritto sulle sue gambe, d'avanti a lui, anche se scomposto e con la faccia stravolta da un pianto che non c'era stato.
Martin sospirò di nuovo, si strofinò i palmi delle mani contro i jeans e diede un colpetto pugno contro palmo fino a fare un suono sordo, unico rumore che si alzò fra di loro. Guadando Genio fisso in volto, ancora gli venne da ridere, ma più sommessamente, e con entrambe le mani spinse l'amico fino a quasi fargli perdere l'equilibrio all'indietro.
― Adesso togliti subito quell'aria da funerale. Che qui non è morto nessuno!


Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora