La città non era molto estesa, in pochi minuti quasi la si poteva abbracciare da ogni parte, percorrerla tutta, accarezzarle le costole di pietra e risalire verso l'alto, sulla linea del collo, per soffermarsi sul mento, e scostarglielo da un lato per permettere ad un bacio di marchiarla fino in fondo alla carne dei palazzi, dei lampioni, e le panchine, ed i denti di Gaeta che continuavano a sbattere contro i suoi con un suono talmente delicato da sfondargli i timpani anche mentre correva, assordato dalla musica, totalmente posseduto dal bisogno di raggiungerlo, dalla voglia di sapere, e di capire, e di lasciarsi di nuovo guardare e forse anche accarezzare con quella dolcezza forte della quale ormai non poteva più fare a meno.
Con il cuore che gli scoppiava in petto, con le gambe rotte dalla furia con cui aveva aggredito l'asfalto, Martin si fermò di colpo, appoggiandosi con una mano ad un albero. Riverso in avanti, si rese conto che l'insostenibile affanno che non gli permetteva di respirare era dovuto ai suoi pensieri e non alla corsa sfrenata, che abbastanza chiaramente lo aveva portato in una zona della città dove era stato un'altra volta in precedenza, anzi due, ed a distanza di poche ore.
Non riusciva a ragionare, solo fissava la strada vuota d'avanti a sé, pensando di dover andare avanti, qualunque cosa fosse successa. E che doveva deciderlo da solo, perché Gaeta aveva rimesso le cose a posto, se pur a suo modo, tirandosene fuori.
Gaeta gli aveva detto di riavvolgere il nastro, nella stanza delle fotocopie, ed a quel pensiero Martin sorrise, perché nessuno dei suoi amici avrebbe usato una simile espressione, perché i nastri non esistevano più da anni. Gaeta era davvero più grande di lui, di oltre vent'anni, ed avrebbe potuto avere persino più anni di suo padre, non lo sapeva, in quel momento non ragionava, non riusciva a fare una semplice addizione.
Ma l'età era l'ultima cosa a cui stesse pensando, perché anche solo guardare verso il fondo della strada in cui si era fermato, gli provocava un'emozione talmente forte da lasciarlo ancora immobile accanto all'albero di quercia, che da un po' stava scorticando con le unghie senza riuscire a muovere un passo in avanti, ma con ancora nell'anima la voglia di spingersi oltre.
A pochi metri di distanza innanzi a sé, Martin poteva ammirare come fosse stata un monumento, illuminata con una luce bassa, la porta del Camelot, di legno quadrettato a vetro tinto a più colori, dove per caso una sera aveva incontrato Gaeta.
Non sapeva quantificare con quanta volontà e determinazione, o solo per pura casualità, fosse riuscito ad arrivare fin lì, se davvero lo avesse voluto, o cercato, ed alla fine trovato, oppure se le sue gambe avessero fatto tutto a sua insaputa, portandolo là davanti senza che se ne rendesse conto. Mentre correva gli sembrava quasi che la strada avesse avuto una impercettibile pendenza in quella direzione, come se tutta la città fosse stata un imbuto che lo stava facendo vorticare verso il centro, verso quel punto preciso, unico luogo di contatto con Gaeta, il suo Gaeta, quello dei panini al chiosco, delle chiacchiere seduti con la schiena conto l'inferriata, dello sguardo serio ed altalenante fra sorriso e sberleffo, quello che gli aveva tolto il fiato con una carezza fra le scapole. A Martin girava la testa, fissava l'asfalto e non si decideva ad attraversare la strada.
Così. Era arrivato al locale frequentato da Gaeta. Fatto. Ma un'altra cosa sarebbe stato trovare il coraggio per entrarci.
Ma che cazzo ci faceva là fuori?! Come poteva essergli venuto in mente di raggiungere Gaeta in quel posto? Cosa gli avrebbe detto una volta dentro? Che motivazione avrebbe messo in scena per anche solo un poco tenersi in piedi d'avanti al suo sguardo? Si sarebbe seduto al bancone? Da solo? Avrebbe ordinato da bere? Da solo? Si sarebbe guardato intorno? Ed alla ricerca di cosa? Che squallido quadretto. E se anche Gaeta fosse stato là presente, in compagnia dei suoi amici? Come si sarebbe tirato fuori da una situazione così spinosa, e difficile, ed imbarazzante, e da perfetto rincoglionito adolescente, come tutte quelle volte in cui quella scena l'aveva vissuta lui, ma dall'altra parte, quando seduto con Genio al suo solito posto nel suo solito pub apri-serata, gli si presentavano d'avanti gli improbabili avanzi della sera precedente? Quante volte in compagnia di Genio e del suo cinismo si era preso gioco di quelle ragazzine cercando di allontanarle, e che a volte erano davvero tanto giovani, altre volte più carine ed esperte, ma che ugualmente si presentavano nel locale, e si sedevano lontano anche solo per guardarlo e senza avere il coraggio di avvicinarsi prima di un suo sorriso, e ridevano come delle deficienti in calore, ma sempre pensando, per carità, di non essere una di quelle...
Si era perso nei ricordi della sua vita a Firenze. Era sconvolto nel sentirne il salto, ed incapace di capire cosa avrebbe dovuto fare in quel momento, spaventato dall'idea del doversi difendere dalla furia che sicuramente avrebbe sollevato entrando. Perché se Gaeta era deleterio in pace... figuriamoci in guerra, se provocato con un gesto tanto esplicito. Perché Martin stava andando a trovarlo nel suo regno, e si era mosso da casa ed era arrivato là correndo, con l'affanno e vestito in maniera improbabile. E non c'erano santi per cambiare la versione della storia.
Qualcuno aprì la porta ed uscì. Poi la porta si richiuse battendo quasi subito, e senza che Martin potesse guardar dentro.
Che doveva fare? E se Gaeta non ci fosse stato? Come avrebbe fatto? Dopo tanta fatica ad arrivare fin là, come si sarebbe salvato dal quel dolore? O peggio se trovandolo avesse scoperto di non essere più al centro delle sue attenzioni? Come sarebbe sopravvissuto alle lezioni scialbe del corso, ai suoi occhi lontani, distratti da tutto il resto degli studenti, per cui Gaeta avrebbe dimostrato di avere più interesse che per lui. Perfino Genio aveva ricevuto maggiore attenzione la volta in cui si era infilato in aula. Gaeta aveva già mantenuto la parola, cancellando lo stravolgimento di Martin dal quaderno delle stragi da compiere.
Fermo fuori al Camelot, aggrappato al tronco di una quercia, invece era stato Martin a fare un passo avanti, e ad ammettere, innanzitutto con se stesso, di voler essere stravolto da Gaeta, che voleva esserne stravolto come solo Gaeta era stato in grado di fare, perché in quella dolorosa confusione Martin per la prima volta aveva trovato una risposta all'ansia che sembrava essere nata insieme a lui. La forza di Gaeta gli aveva fatto vedere per pochi istanti la possibilità di respirare, per la prima volta fino in fondo, di sentirsi sollevato come dal peso di tutti i mali del mondo per respirare a cuor leggero. E di scoprire che in fondo ad ogni respiro, c'è sempre, e soltanto, quello che ci mettiamo noi.
Con una paura che gli incollava le scarpe da ginnastica all'asfalto, Martin mosse il primo passo in avanti e poi finì di attraversare la strada sfilandosi gli auricolari dalle orecchie. Tirò verso di sé il maniglione dorato che era all'ingresso, la porta si aprì, ed il locale lo ingoiò per intero in un unico boccone. La porta poi si richiuse alle sue spalle rumorosamente, spingendolo ad andare ancora avanti come con una pacca sulla schiena.
― Lasciate ogni speranza, o voi che entrate.
Martin sorrise, recitando sottovoce i versi di Dante messi sulla porta d'ingresso per l'inferno, i versi che Gaeta aveva letto in aula qualche giorno prima, i versi che avrebbero potuto tranquillamente essere scolpiti sull'insegna del locale, accanto al drago d'oro sullo scudo rosso.
Una volta dentro, Martin aveva l'intenzione di non dare molto nell'occhio, magari di mettersi in un angolo giusto per un occhiata. Magari Gaeta davvero non c'era, magari tante cose. Era entrato così per fare, giusto perché oramai era arrivato fin là.
Come già si aspettava, dentro regnava il fumo e la confusione più totale. Non riusciva a distinguere nessuno. La musica era forte e la gente era seduta dappertutto e quasi senza criterio. Sembrava che nessuno volesse usare gli sgabelli, poiché in molti erano sui tavoli, c'era persino qualcuno in ginocchio sul bancone. Ogni cosa sembrava scolorita da una luce fin troppo bassa e che rendeva tutto molto sfocato e rumoroso. Il locale era pieno di gente, ma gli sembrò che tutti i presenti fossero disposti in maniera piuttosto insolita.
Ma invece di potersi nascondere in qualche anfratto, appena dentro Martin si accorse che qualcuno lo stava già puntando da poco distante, cercando di raggiungerlo velocemente allargando le mani innanzi a sé come per respingerlo fuori. Il ragazzo raggiunse Martin a fatica facendosi largo fra i presenti.
― Ciao, senti... scusami tanto... la porta era aperta per errore... oggi non si può entrare...
Martin non poteva crederci, gli stava chiedendo gentilmente di uscire, ma tanto era distratto dalla situazione che pensò di non aver capito. I suoi occhi sembravano impazziti e continuavano a guardarsi intorno, cercando di abituarsi alla luce. Lentamente iniziava a distinguere i visi dei presenti, i pochi che potevano essere fissati nitidamente in quella bolgia liquida e fumosa. Il cuore non rispondeva ai suoi comandi, solo gli batteva forte ed in attesa solo di esplodere alla vista di Gaeta.
Si guardava intorno, e si guardava intorno, e guardava, oltre le teste, fra i corpi ammassati, ma Gaeta non sembrava essere in quel luogo.
Il ragazzo che gli era corso incontro ormai gli era vicinissimo.
― Scusami, hai sentito che ho detto? Oggi siamo chiusi al pubblico, non puoi entrare!!
Gli stava urlando quasi in viso, e solo a quel punto, finalmente, riuscì ad attirare l'attenzione di Martin, che sembrò metterlo a fuoco in quel momento.
― Perché non posso entrare?
― Perché oggi c'è una festa privata, non siamo aperti al pubblico! Se vuoi giusto una birra... te la porto, offre la casa... ma per favore, torna un'altra volta.
Cazzo, una festa privata! Finalmente a Martin il cuore scoppiò, e due volte. La prima volta per essere riuscito ad entrare, la seconda per dover uscire immediatamente. Che sfiga, una festa privata.
Mentre ancora il tipo gli proponeva di offrirgli una birra purché se ne andasse alla svelta, li raggiunse una ragazza magrissima, ma con delle tette molto in evidenza. Indossava un vestitino nero cortissimo di pelle stretch e dei tacchi da vertigine. Si appoggiò al collo del buttafuori che stava allontanando Martin, e cominciò ad urlargli nell'orecchio.
― Ehi Vito! Lascialo entrare! E' un suo amico! Sicuramente lo ha invitato lui.
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Tre maggiore di due
RomanceRomanzo New Adult LGBT Intreccio di storie di tre ragazzi che nei primi anni universitari scoprono sulla propria pelle cosa voglia dire crescere, misurare i propri desideri, conoscere i propri limiti, superarli e pagarne il prezzo. Il racconto parte...