Capitolo 40 - III

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La voce di Gaeta che gli sibilava ad un centimetro dal viso era tagliente perché Gaeta voleva ferirlo, provocare una sua reazione, ma Martin solamente incassava, e si sbriciolava fra le mani di Gaeta che ancora gli massaggiava un fianco e lo scuoteva debolmente, e sorrideva come superiore ad ogni sofferenza possibile al mondo.
― Non è colpa mia se ti piace come ti sto toccando. E la cosa non cambia, anche se smetto.
Come al solito Gaeta aveva colpito nel segno, aveva centrato il punto della questione senza neanche conoscere Martin e senza sapere niente di lui e della sua vita e Martin era sul punto di morire di dolore e di piacere, che in quel momento erano la stessa cosa, e di nuovo non riusciva ad avere niente da dire.
Il silenzio durò per qualche istante. Martin tirò su col naso, ed il suono infantile riportò Gaeta con tutta la sua mente lucida nella stanza. L'immagine di Martin innanzi a sé talmente scosso da quasi non reggersi in piedi lo fece ancora una volta calmare e constatare come di nuovo non fosse stato capace di mantenere il limite che si era dato. E come se niente di quanto appena accaduto fosse realmente accaduto, Gaeta si voltò a guardare i suoi libri e gli appunti spaginati e spiegazzati sparsi in terra ed addossati al metallo della fotocopiatrice, e si voltò a raccoglierli, lasciando che Martin tornasse a sedersi dove lo aveva trovato poco prima entrando. A Martin parve che Gaeta, piegato in terra accanto a sé avesse l'affanno, ma forse l'affanno che sentiva era solo il suo, che continuava a martellargli il petto dal di dentro ed in ogni direzione. Martin si era lasciato cadere sul carrello, con la schiena puntellata contro il muro, la nuca poggiata sulla superficie fredda di cemento, e guardava in alto come per caso, con lo sguardo vuoto, illuminando di un verde intenso quasi tutta la stanza. Aveva gli occhi arrossati, ma ormai era incapace anche di piangere.
Con manate nervose e rumorosamente, Gaeta finì di raccogliere quello che Martin aveva appena preso a calci ed aveva poggiato tutto sulla scrivania, cercando di rimettere le cose un po' in ordine, ma si rendeva conto che Martin alle sue spalle non si era spostato di un millimetro, che l'espressione del viso era rimasta la stessa e che ancora guardava il soffitto sulle loro teste. Così si voltò verso di lui, sedendosi sulla scrivania e rimanendo a guardarlo per un po'. Poi si passò le mani sul viso come per svegliarsi ancora una volta, e tenendosi per il bordo del ripiano, si schiarì la voce.
― Senti... finiamola qui. Questo non è assolutamente il luogo per continuare oltre.
Martin abbassò lo sguardo su di lui, Gaeta lo fissava con aria tranquilla.
― Comunque... forse sì, per come sono andate le cose adesso in questa stanza... ti devo chiedere scusa.
Ancora Martin non accennava nessun tipo di reazione, se non il suo intenso sguardo vuoto, ma anche pieno di ogni cosa, concentrato su Gaeta, e Gaeta gli sorrise leggermente, perché come al solito vedeva tutto. Rapito dalla chiarezza con cui sentiva che Gaeta lo sapesse leggere fin in fondo, a Martin scivolò in avanti un piede, che urtò contro qualcosa che fece rumore.
― Hai sentito cosa ho detto?
Gaeta gli stava chiedendo se avesse sentito, sottovoce e con gentilezza, visto che Martin continuava a non dare cenni di nessun movimento.
Martin fece cenno di sì con gli occhi.
― Senti... e non lo dico perché siamo in Facoltà, chiudiamola qui e basta.
Gaeta parlava con un tono sereno, ma quasi stoppato ad ogni parola che andava pronunciando. Gaeta non era sicuro di cosa stesse dicendo ed ancora temeva di fare una promessa che non avrebbe potuto mantenere, ma quella promessa sarebbe stata diversa, perché la stava facendo direttamente a Martin ad alta voce, e non in una preghiera fra sé e sé ed una vagonata di rimorsi di coscienza.
― Torna alle tue cose. Riavvolgi il nastro. Ti chiedo scusa per tutto...
E mentre lo guardava, Gaeta unì nuovamente la mani in preghiera davanti al proprio viso, davanti a Martin, ripetendo il gesto fatto in classe e Martin ebbe la sensazione che Gaeta stesse auto citando un pensiero già avuto e che a suo tempo non aveva colto.
― ...per tutto quanto. Tutto questo non doveva succedere.
Gaeta sorrise con tristezza al viso inespressivo di Martin che iniziava a tranquillizzarsi.
― Domani abbiamo lezione. Ti prego di non ritirarti.
Martin lo fissava sorpreso, voleva dire qualcosa, ma Gaeta lo interruppe.
― Aspetta, fammi finire.
La pausa di Gaeta fu lunga, il silenzio era irrespirabile, e Martin fu certo che Gaeta faticasse a terminare il suo discorso. Aveva cominciato a dondolarsi e guardava in terra nel mezzo fra di loro, poi a Martin sembrò che prendesse il coraggio a due mani e si spingesse a guardarlo dritto in faccia.
― Ti chiedo scusa. Ti chiedo di non abbandonare le mie lezioni, ma ti dico anche che mi assumo ogni responsabilità per quello che è successo, qualunque sia la via per cui tu vorrai agire... nei miei confronti.
Martin rimase d'avanti a Gaeta quasi a bocca aperta, non era certo di aver capito cosa gli stesse dicendo. Non poteva crederci. Non era cosa possibile. Non era chiaro niente, come al solito, di quello che Gaeta gli gettasse contro. Gli stava dicendo che, se solo avesse cambiato idea... se solo fosse tornato sui suoi passi... Oppure, che era pronto a non opporsi un azione legale? La testa di Martin era invasa da maggiore confusione, se solo fosse stato ancora possibile.
Il tono pacato su cui si era riassestata la conversazione, stava incoraggiando Martin a rispondergli. Non poteva restare con quel dubbio, e benché non sapesse come fare a chiedere una cosa simile, stava per dire qualcosa quando la porta della stanzetta si aprì con discrezione e qualcuno vi si affacciò dentro.
I riccioli di Ludovica comparvero lentamente nella fessura più luminosa da cui si riconosceva la profondità del corridoio. Una volta sulla porta, quando la ragazza riconobbe Martin seduto sul carrello, finì di aprirla velocemente, ed entrò dirigendosi nella sua direzione. Solo allora si accorse della presenza di Gaeta dall'altro lato, e la cosa gli sembrò alquanto insolita, ma quella sensazione le rimase poco nella mente, poiché subito la sua attenzione fu attratta da Martin, quasi steso contro il muro e che mostrava chiaramente i postumi di un malessere intenso.
― Martin! Ti ho cercato per tutta Lecce! Sei ancora qui? Ma che è successo?
Ludovica si accorse che Martin sembrava ancora visibilmente provato, gli si sedette accanto e gli accarezzò il viso, gli passò le mani fra i capelli e gli controllò la fronte, mentre Gaeta leggeva stralci di fotocopie appena fatte, voltando loro le spalle, non prestando attenzione alle loro voci, ma con ancora in bocca il sapore di una conversazione interrotta.
― Non mi sento bene, Ludo. Mi sono fermato qui.
Martin sentì uno strappo dentro nel vederla comparire al centro della stanza, e lo strappo si allargò nell'osservare come alle spalle di Ludovica Gaeta fosse tornato a fare il professore, a pensare ai fatti suoi ed al suo lavoro, in un attimo imprendibilmente lontano da quella stanza, dalle sue emozioni, dalle sue viscere ancora sparse in terra. Un sospiro profondo gli sfuggì dalle labbra, che fece voltare per un attimo Gaeta dalla sua parte, che, leggendo il libro che aveva in mano, gli sorrise. Martin avrebbe giurato che Gaeta in quel momento gli avesse sorriso, che gli avesse fatto un cenno per fargli capire come tutto fosse tornato al proprio posto, e che era giusto così, e che non avrebbe dovuto opporsi alle attenzioni ed alle cure, alle carezze, di una ragazza che probabilmente lo amava, e che glielo stava dimostrando in presenza di Gaeta, che però non li guardava, ma che neanche li lasciava soli.
Martin guardò Ludovica che continuava ad accarezzargli il viso e si sentì morire nell'indecisione di capire o non capire cosa stesse succedendo, e per non avere colto la possibilità di parlare, e chiarire quando quella possibilità l'aveva avuta, quando Gaeta aveva cercato di strappargli anche solo una frase ed in qualunque modo, e che ormai non aveva più. L'attimo per parlare era passato, e tutto era finito, e si era chiuso per colpa sua, per volontà sua, per sua richiesta, e Gaeta lo aveva accontentato, ed a Martin sembrò che Gaeta avesse quasi ordinato alla vita di portare Ludovica in quella stanza proprio in quel momento.
Ancora una volta a Martin sembrò di perdere un battito del cuore. Non si può avere tutto, Gaeta glielo aveva detto, se pur a suo modo. Martin non poteva chiedere una cosa e disperarsi per il fatto di essere stato accontentato. Non riusciva a non fissare le spalle di Gaeta che continuava a leggere incurante di ogni cosa, senza pensare che ormai fosse troppo tardi, mentre Ludovica lo scuoteva cercando di farlo tornare in sé.
― Ma stavi bene prima! Dai, andiamo a casa. Hai fame?
Ludovica lo tirò ad alzarsi, e Martin muovendosi cercava di non farle notare lo sguardo arrossato come anche non voleva che Gaeta ascoltasse i commenti sulla sua spossatezza.
― Ma guarda come sei combinato! Hai gli occhi gonfi... andiamo a casa, ti sta per venire un bel raffreddore fuori stagione, fantastico, me lo sento.
― Sì, forse sì.
Martin si coprì il viso con un gesto delle mani che in realtà gli proteggeva l'anima dal rimanere oltre vivo in quella stanza, ormai diventata incredibilmente stretta, molto più stretta di quando poco prima decine di persone stavano lottando per conquistare delle fotocopie.
― Sì ti prego, torniamo subito a casa.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora