Capitolo 32 - III

809 84 43
                                    

Gaeta fece quella domanda un po' a se stesso, un po' a Martin, un po' alla ragazza che lo fissava con uno sguardo famelico, come quasi tutti normalmente fissavano Gaeta, a quanto pareva, sia dentro che fuori l'ateneo.
― No, grazie... io stavo per andarmene...
― Non dire cazzate, sei entrato adesso... ma sei solo?
Martin non sapeva che dire e Gaeta scoppiò a ridere e si rivolse alla barista stringendole una mano.
― Allora... a me porta una Tennent's, a lui...
Gaeta si rivolse a Martin indicandolo con l'indice, quasi a dargli la parola come faceva a lezione, e la cosa non fece molto piacere a Martin, né contribuì a toglierlo minimamente dall'insolito imbarazzo in cui era precipitato. Martin non era abituato a provare la difficoltà della poca disinvoltura, la cosa lo trovava piuttosto impreparato, come a lezione, quando non aveva saputo rispondere alla domanda di un docente, per la prima volta nella sua vita.
― Alloraaa!! Ti riprendi?!
Gaeta gli gridava contro sorridendo, visibilmente divertito dal suo imbarazzo.
― ...anch'io, sì, anch'io una Tennent's.
Martin si affrettò a rispondere, sperando che la situazione si concludesse al più presto, magari senza squarci e morsi sulla carne. La ragazza poggiò molto in fretta i due bicchieri colmi fino al bordo, poi li lasciò soli, non prima di aver lanciato a Gaeta un'occhiata condita da un sorriso sfuggente con una schioccata della lingua. Gaeta la guardò allontanarsi. Poi prese il suo bicchiere ed a Martin parve quasi che volesse brindare, talmente era alterato e divertito dalla situazione.
― ...Della Gherardesca... sei sceso all'inferno?
Porca puttana, pensò Martin, tanto trasparenti erano stati i suoi pensieri da quando lo aveva incrociato in lontananza? Poi si accorse della facilità con cui Gaeta aveva ricordato il suo cognome, che in effetti però, considerando il tutto, non era stata poi grande cosa.
― ...sono nuovo in città... non conosco molti posti... facevo un giretto... sono entrato qui per caso...
Ad ogni pezzo di frase Martin interponeva una lunga pausa, un po' per il rumore molto forte, un po' per trovare le parole giuste, che stava scegliendo davvero in maniera accurata. Gli sembrava di camminare sulle uova. Non voleva sbagliare, o peggio, perdere il filo del discorso come era accaduto durante la lezione di quella mattina.
― Hai davvero centrato il posto giusto...
Gaeta con un gesto della mano fece come per sparare la porta di legno, che però era giusto dietro a Martin, mentre continuava a bere e Martin pensò per associazione d'idee al biglietto di suo padre sulla bottiglia di Lagavulin ed alla sua battuta sul colpo caricato in canna.
Era sempre più evidente quanto fosse evidente quanto Gaeta si stesse divertendo ad osservare l'imbarazzo che Martin non stava riuscendo in nessun modo a nascondere. Ed anche a Martin era davvero chiaro che Gaeta se ne fosse accorto, e che un po' ci stesse giocando, come sicuramente amava fare a lezione; Martin era certo anche di questo. Ma pur consapevole di essere il topo, Martin non riusciva a spostarsi di un millimetro dalla situazione in cui si era infilato. Era inchiodato al centro di un bersaglio che non aveva mai conosciuto, visto che in passato era sempre stato lui ad imbracciare le armi, puntare, sparare, fare centro e sparpagliare intorno a sé morti e feriti.
Genio... ma perché non lo aveva chiamato...
Passarono accanto a loro alcuni clienti, che Martin non avrebbe neanche notato se non fosse stato che Gaeta li avesse fermati per presentarglieli.
Senza alzarsi dallo sgabello, afferrò sottobraccio due tizi che passavano e li fece fermare.
― Ve ne state andando? Guardate chi è venuto a trovarmi! Nidiata 2016, una buona annata.
I due risero guardando Martin, e dietro di loro due ragazze si affacciarono a guardare anche loro.
― Ehi Artù... ti porti il lavoro in casa?
Artù, Martin sentì che lo avevano chiamato Artù. Il quel momento notò che sulle tovagliette, sulle tende, sulle maglie delle cameriere, sui vetri e sugli specchi a caratteri smerigliati, c'era il nome del locale, il Camelot. Ma dove cazzo si era infilato! Martin era completamente fuori gioco, in balia di una discussione scivolosa ed incomprensibile. Una delle due ragazze appena arrivate allungò una mano sul viso di Martin ed era evidente che lo stesse toccando per sottolineare quanto la sua pelle fosse morbida. Nidiata 2016... cazzo, Gaeta aveva detto 'nidiata 2016'. Martin era completamente deragliato.
― ...ma è un cucciolo!
Risate generali mentre Gaeta soffocava il riso nel bicchiere.
― Sì, sì... un lupacchiotto!
La voce di Gaeta era stata esageratamente ironica nel pronunciare e scandire le ultime consonanti.
Martin era ormai completamente esposto allo scherzo degli amici di Gaeta, che via via si stavano accalcando accanto a loro. Tutto il corpo di Martin si era irrigidito e già aveva mosso i piedi per alzarsi ed uscire dal locale, quando Gaeta si intromise per contenere l'entusiasmo che continuava a salire.
― Basta così, basta così... potrebbe turbarsi... e poi darmi la colpa se... se lo boccio.
Gaeta rideva con le lacrime, anche perché Martin era stato avvolto da un velo rosso sul viso e sul collo, e si sentiva parecchio accaldato. Una ragazza gli si avvicinò divertita, camminando e muovendosi verso di lui quasi al ritmo della musica, e Martin ebbe la certezza che gli si fosse avvicinata ad un cenno di Gaeta.
Era davvero minuta e leggerissima. Gli buttò le braccia al collo, si sedette a cavalcioni su di lui e cominciò a baciarlo in un modo che travolse Martin in pieno, trascinandolo in uno stato di eccitazione che era un tutt'uno con il resto di quanto stesse succedendo. La ragazza tolse dalle mani di Martin il bicchiere di birra smezzato e cominciò a berne lei un poco mentre lo baciava. Martin lasciò la presa del vetro e spostò le mani sulla sua schiena, ricambiando il bacio e reggendola da dietro per non farla scivolare in terra, visti i bruschi movimenti che faceva seduta su di lui, irrigidendo le gambe a tratti e mettendosi dritta per poi lasciarsi ritmicamente cadere.
Martin sentì tutto il suo corpo preso e rapito da quel fuscello di ragazza, sicuramente qualche anno più grande, che gli stava ripassando tutto l'interno della bocca con la lingua e con la birra che si infilava dovunque, inclusa la maglietta, che si bagnò parecchio fra di loro. Poi la ragazza iniziò a mordergli il collo e ad infilargli la mano sotto la stoffa, sul torace, accarezzando i suoi muscoli tesi. Martin non riusciva a guardare in nessuna direzione. Travolto dalla voce di Gaeta, dal corpo caldo della ragazza sconosciuta che gli stava baciando l'orecchio e leccando la zona poco dietro, Martin solo attendeva che tutto passasse per capire fin dove la corrente di quel fiume in piena lo stesse trascinando, in preda ad una eccitazione fuori controllo e che lo aveva invaso come il fumo nei polmoni. L'unica sua consolazione era il fatto che in quel momento il volume della musica fosse talmente alto da non far sentire a nessuno dei presenti i suoni che involontariamente stavano sfuggendo quasi selvaggiamente dalle sue labbra, mentre per fortuna era stato sorpreso da quell'invasione voltato dal lato opposto a Gaeta, che dalla sua posizione non poteva osservarlo in viso, totalmente nascosto dalla ragazza ancora seduta ed accasciata su tutto il corpo di Martin. Non era sicuro di essersi mai trovato in una situazione simile, così eccitante e eccitato lui ed anche così confusamente impossibilitato a reagire alla provocazione.
― E che cazzo, Romina... fermati! Basta! Adesso lo svuoti!!
La ragazza fece come se non avesse sentito il rimprovero di Gaeta, aveva ancora le mani infilate sotto la sua maglia e sembrava essersi afferrata a Martin in un modo che lo stava facendo sussultare in continuazione. Finché un braccio forte non la tirò giù da lui e se la caricò in spalla per conquistare l'uscita del locale.
― Buona notte a tutti!
La voce che emergeva da sotto il ventre di Romina salutò i presenti, mentre Romina si era totalmente avvolta attorno al corpo di chi l'aveva sollevata.
― Vai a vedere che se per questo pirla qui stasera non si scopa!!
L'uomo che portava via Romina, sorridendo aveva inveito contro Martin e salutato con un cenno Gaeta.
I due scomparvero fuori dal locale, ed a Martin fu chiaro di non essere in grado di fare nessun commento su quanto fosse appena accaduto.
― Della Gherardesca... scusi i miei amici... a volte non hanno il senso della misura...
Perché, pensava Martin... tu ne sei proprio il maestro, l'esempio vivente...
― Anche se in effetti... in questo momento anch'io...
Martin impietriva sempre di più, aveva iniziato ad avere paura persino di pensare tanto si sentiva trasparente.
― Ma che ci fai qua a Lecce?
La domanda di Gaeta cadde senza risposta, e Martin notò come con ironia Gaeta passasse con disinvoltura dal lei a dargli del tu a seconda di quanto lo volesse prendere in giro. Ma il pensiero passò velocemente dalla sua mente, perché una nuova ondata di pazzi furiosi in preda ad ogni forma di alterazione che Martin potesse ipotizzare fu nuovamente intorno a loro. Qualcuno disse qualcosa a Gaeta nell'orecchio e che lo fece scoppiare ancora, ed ancora a ridere, e battere forte le mani e tirare su con il naso passandosi le mani sul viso come per svegliarsi, lasciando intravedere la stanchezza affacciarsi per un instante negli occhi un po' arrossati. Infatti li chiuse un attimo, come lontano dalla musica che li circondava. Poi li riaprì, fissando Martin, ed a Martin parve che in quel momento lo stesse vedendo per la prima volta. Ma poi nei suoi occhi e nella sua voce tornò l'ironia sferzante ed il tono alto di poco prima.
― Devo uscire, qui fa molto caldo.
Gaeta si alzò in piedi e Martin lo osservò dirigersi verso la porta. Rimase fuori per un po' e Martin davvero non sapeva se uscire anche lui o restare al bancone seduto. Decise di restare al bancone, anche perché non era entrato in quel locale con Gaeta. Se Gaeta decideva di uscire ed andarsene, non erano cazzi suoi.
Ma Gaeta rientrò quasi subito, ma con il volto cambiato, un po' più tranquillo e lucido. Anche il colore degli occhi sembrava più limpido e consapevole di avere d'avanti a sé un suo studente.
Ritornò accanto a Martin. Martin stava cercando di bere con tranquillità superficiale quello che era rimasto della sua birra, e si accorse del ritorno di Gaeta con la coda dell'occhio. Lo sgabello girevole scivolò da un lato e Martin non poté che accettare che Gaeta si stesse nuovamente sedendo accanto a lui.
Ordinò un'altra birra. Poi pagò tutte quelle che aveva consumato, facendo cenno si contare anche quella che beveva Martin. Martin assisteva in silenzio ad ogni cosa, senza avere idea di cosa fare. Navigava a vista, e pensò che il grosso della chiacchierata fosse passato. Ormai Gaeta stava pagando, e sicuramente ben presto sarebbe andato via... chissà il giorno dopo a raccontare tutto a Ludo... anzi... forse proprio tutto... no.
A quel pensiero gli venne un colpo al cuore: ma che cazzo stava facendo! In un locale che non conosceva, a bere col professore di letteratura ed a strusciarsi una ragazza che lui gli aveva gettato addosso... e Ludovica... cazzo Ludovica... le aveva detto che sarebbe rimasto in casa... che cazzo ci faceva in un locale che sicuramente il giorno dopo non sarebbe stato in grado di ritrovare... con Gaeta ed i suoi amici... Doveva andarsene, non poteva restare un minuto di più.
― Andiamo via, qui davvero non si può stare oltre.
La frase di Gaeta interruppe i suoi pensieri, anticipandoli, e Martin lo vide alzarsi in piedi ed attendere che anche lui si alzasse. Ma Martin non sapeva se...
― Cazzo! Ti alzi o no? Ti do un passaggio.
― Professore...
A quella parola Gaeta scoppiò a ridere, anche se si vedeva che non avrebbe voluto. Martin si irrigidì di nuovo, non aveva idea di quale sarebbe stato il modo migliore per uscire dall'impiccio in cui stava continuando ad infilarsi... ma in realtà... Martin non stava facendo niente...
― Professore...
Cercò di rivolgersi a lui con un tono il più fermo possibile, per dire una cosa qualunque, e Gaeta che notava il suo sforzo, riuscì a stento a non ridergli in faccia.
― Professore... io veramente...
― Dai, niente ma, ti do un passaggio. Non mi costa niente.
Martin non ebbe il coraggio di dire che la sua auto fosse parcheggiata da qualche parte in fondo alla strada. Ed anche Gaeta, che non era abituato ad avere uno studente ricco come Martin per il quale sarebbe stato impensabile non possedere una super macchina sportiva appena avuta la patente, aveva dato per scontato che Martin fosse a piedi.
Uscirono fuori all'aria aperta, ed appena la pesante porta di vetro e legno si richiuse, il frastuono dell'interno del locale scomparve tagliato di netto e si trovarono quasi del tutto soli, lungo una strada abbastanza silenziosa e di periferia.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora