Capitolo 33 - III

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Gaeta spense l'auto e Martin iniziò ad agitarsi e contorcersi sul sedile. Infilò le mani in tasca come per cercare le chiavi di casa, ma i pantaloni gli aderivano addosso e da seduto non stava riuscendo ad afferrarle. Si arcuò in avanti col bacino finché con la punta delle dita non riuscì a stringerne l'anello, mentre Gaeta attendeva, ed osservava e studiava i movimenti di Martin come fossero stati i movimenti di una danza decisamente inopportuna.
Ma quando Martin estrasse il mazzo di chiavi, si rese conto di aver messo sotto gli occhi di Gaeta quello sbagliato. Erano le chiavi dell'auto, con ben in vista sul portachiavi il marchio del tridente color mercurio del logo Maserati che luccicò al buio della sera sotto i fari dell'illuminazione stradale.
Martin non fu sicuro che Gaeta le avesse notate, ma Gaeta sgranò gli occhi mentre Martin senza fare commenti cercava di rinfilarle in tasca, afferrando le altre e lanciando un occhiata noncurante su Gaeta.
Martin capì in un istante che Gaeta lo stesse schiacciando con uno sguardo di furia infuocata. Una vena gli pulsava sulla tempia sottolineando di verde la sua ira che nel verde di Martin si rifletteva a pelo dell'acqua. In aggiunta ai fiumi di birra, l'essere stato umiliato due volte nella stessa sera e sullo stesso argomento aveva portato Gaeta ad uno stadio di alterazione accecante. Il mondo d'avanti a lui si era cancellato chiudendosi su se stesso e sull'espressione di Martin e sui suoi soldi, ostentati perché nascosti sul fondo di una tasca, e sbandierati per sbaglio e con disinvoltura come una manciata di ceci gettata in un'utilitaria. Martin nel frangente di un istante stava assistendo allo strabordare di un'energia che durante tutto lo scorrere della serata aveva solo intravisto. La rabbia alcolica fuori controllo di Gaeta a vista d'occhio si stava orientando verso Martin come fosse stata una linea di forza che partiva da ogni fibra del suo corpo, senza che Gaeta avesse ormai alcuna intenzione di contenerla.
Martin si sentì attraversare da un brivido di paura, tremò un istante, ebbe voglia di piangere, di scendere e vomitare, ma riuscì solo con entrambe le mani a stringere la presa sull'imbottitura del sedile ai suoi lati, quasi per strapparla via da sotto di sé. Ed inspiegabilmente cercò di fissare la sagoma tagliente di Gaeta, ma non ci riuscì, perché Gaeta gli si avventò addosso e lo baciò con un bacio che in realtà era un morso gigantesco che avrebbe potuto strappargli la faccia dal cranio.
Martin fu schiacciato all'indietro in una spinta pesante che lo aveva colto a sorpresa e privo di difese. Non riuscì a reagire, solo si sentiva folgorato da un traliccio ad alta tensione che scaricava lungo le sue innervature l'energia oscura di un universo che non sapeva poter esistere.
Gaeta lo teneva premuto contro il sedile con la forza di un uomo che non voleva contenersi. Gli premeva indietro una spalla, e sembrava che tutto il corpo di Martin sotto la sua spinta fosse stato fatto di ovatta.
Accecato, Martin sentiva l'intensità del bacio di Gaeta farsi strada nella sua mente, oltre che dentro di lui e nella sua carne. La sua lingua era calda e gli accarezzava l'arcata dei denti, che Martin socchiuse e Gaeta aiutò ad aprire di più. Martin si era abbandonato alla sua autorità, e gli sembrava di sprofondare dentro Gaeta, e che Gaeta sprofondasse dentro i suoi pensieri con una potenza di emozione che Martin non aveva mai conosciuto. Martin sentì tutto il suo corpo irrigidirsi quando Gaeta gli prese il mento fra le dita e lo strinse e lo voltò un poco da un lato. E mentre Martin tirava un respiro profondo ma vuoto d'ossigeno, Gaeta quasi sistemò il viso di Martin in una posizione differente per baciarlo meglio, e continuava a muoverlo con sicurezza tanto più quanto Martin si lasciava manovrare e gli sollevava il mento verso l'alto perché aveva sentito i brividi di Martin quando con la lingua gli accarezzava il palato fin in fondo, e poi lo piegava per farlo soffrire di più e gli strappava le labbra a morsi per lasciarlo respirare, sottolineando con i suoi gesti ed i suoi tempi il ritmo con cui lo stava rivoltando dentro fuori, con un tipo di delicatezza che poteva essere solo sua e fino ad arrivare ad una profondità di Martin talmente intima da non trovarci nulla, se non il vuoto che gli stava creando nell'anima frantumando tutto e riducendo tutto in polvere, e la polvere di Martin volteggiando dentro Martin si poggiava sui gomitoli sfilacciosi dei suoi pensieri annodati, e che stavano sbattendo contro i denti del pettine.
I denti di Gaeta che urtavano contro i suoi svegliarono Martin dal torpore morbido e travolgente in cui era caduto. La forza di Gaeta non gli aveva lasciato scampo. Martin iniziava ad essere consapevole della sua vicinanza, del corpo di Gaeta schiacciato contro il suo e del suo bacio interminabile e profondo, e solo in quel momento si rese conto che le immagini vivide che lo stavano percorrendo come un treno in corsa le stava solo sentendo attraverso il corpo, col calore di Gaeta che si sentiva schiacciato addosso, col suo solo contatto ma senza poterlo guardare, perché non riusciva ad aprire gli occhi su di lui, terrorizzato all'idea del trovarselo così vicino, così invadente e caldo come non avrebbe mai potuto prevedere.
Un'ondata di orrore e sconcerto prese possesso di tutta la sua muscolatura, che si irrigidì di nuovo e rimase tesa come scolpita nel marmo, immobile e confuso e totalmente nelle mani serrate di Gaeta su di sé e sotto tutto il suo peso, il peso di Gaeta come un fiume in piena che aveva rotto gli argini delle buone maniere e che più lo sentiva agitarsi, e più rincarava la dose.
Senza rendersene conto, si fece forza e socchiuse gli occhi su di lui, su Gaeta che gli respirava addosso, che nella sua bocca raggiungeva punti che Martin non sapeva neanche esistere mentre rabbrividiva alle morbide carezze di Gaeta contro il suo palato, e che Gaeta ripeteva, e ripeteva, e ripeteva per sentire come Martin si contorcesse senza fiato avvolto dalle sue braccia, Martin che veniva assalito da ogni cosa, al rumore che ogni tanto sentiva all'urto dei loro denti e che Gaeta provocava appositamente mentre sorrideva e lo guardava morire al sapore nuovo, e prepotente, del bacio di un uomo.
Gaeta lo sentiva tremare sotto le sue dita poggiate sul viso di Martin e sul suo mento, e sorrise ancora quando Martin aprì gli occhi dentro ai suoi, in quelli di Gaeta che lo guardava fisso da molto vicino, fin dentro il fondo dei suoi pensieri. E Gaeta quei pensieri li vide tutti, li passò in rassegna, e non li giudicò degni di nota, o di pietà.
Gaeta nello sguardo di Martin colse l'attimo in cui Martin tornò presente e si fermò un istante ad un millimetro da lui per godersi lo scorrere delle emozioni forti che Martin stava vivendo, e che trasparivano dagli occhi sgranati contro quelli di Gaeta. Attraverso quell'espressione di sgomento, Gaeta sembrava nutrirsi e riprendersi qualcosa, come il saldo di un debito d'onore che per tutta la sera era andato crescendo fra di loro, e rimaneva fermo a gustarsi il doloroso imbarazzo di Martin, sorridendogli a bruciapelo e continuando a fissarlo dritto negli occhi senza concedergli nessuno sconto sulla pena da pagare.
E gli occhi di Martin erano diventati quasi neri, le sue iridi verdissime si erano contratte fino quasi a sparire, e le pupille erano dilatate e cieche. Gaeta lo stava attraversando con gli occhi, e Martin si stava lasciando attraversare in silenzio e senza opporre resistenza, senza riuscire ad avere nessun tipo di reazione.
Nell'attimo che rimase sospeso fra di loro e chiuso fra i loro occhi che si osservavano, Gaeta perse la sua rabbia, per ritrovare l'evidente divertimento per la situazione inattesa, e per far riemergere Martin dallo stato di lucida paralisi in cui era caduto, decise ovviamente di usare il modo più dirompente possibile. Poggiò una mano sul ventre di Martin, e lo sentì sussultare come se gli avesse afferrato le viscere per tirargliele fuori, e mentre ancora Martin a bocca aperta cercava un qualche equilibrio, scese con una carezza più in basso, per afferrargli e stringergli il pacco in una presa totale, e che gli rivelò che Martin fosse inequivocabilmente in piena erezione.
Gaeta non poteva non sorridergli addosso, non farlo sarebbe stato contro ogni sua regola personale; non poteva perdonare a Martin un cedimento simile, e continuò a gustarsi il viso di Martin e sotto la presa forte della sua mano la sua erezione che combatteva col tessuto dei jeans, e la cosa lo fece ancora più sorridere, e quasi ridere divertito. E giusto per esagerare ancora, cominciò a variare la stretta su di lui continuando a fissarlo dritto negli occhi per cogliere le espressioni di Martin che cambiavano e gli lasciavano capire come Martin stesse trattenendo il respiro per non emettere nessun suono.
Martin aveva totalmente perso il controllo del proprio corpo, circondato da Gaeta in ogni direzione, dalle sue braccia, dalle sue mani, dal suo sorriso vicinissimo ed accecante e per la prima volta in tutta la sua vita si rese conto di cosa si potesse provare a capitare nelle mani di chi conduce il gioco, perché Martin in quel momento era un giocattolo saporito fra le mani di Gaeta.
Ad una stretta un po' più intensa di Gaeta, Martin tornò in sé, certo che Gaeta l'avesse fatto a posta, affannosamente confuso sotto il suo peso, e con un colpo degli avambracci incrociati, bruscamente allontanò la mano di Gaeta dai suoi jeans, balbettando qualcosa che neanche lui capì cosa volesse dire. Poi affondò entrambe le mani contro il petto di Gaeta è cercò di allontanarselo da così vicino, ma Gaeta era pesante e si spostò di poco, e gli rimase comunque fermo a pochi millimetri dal viso ancora ad osservarlo, sorridendo di un veleno gentile e divertito.
― Che cosa c'è che non va?
Gli parlò da talmente vicino che Martin poteva sentire le labbra di Gaeta muoversi urtando le sue.
― Raccontami tutto.
Gaeta lo fissava quasi così potesse sentire meglio quello che Martin cercava di farfugliare sottovoce.
― Della Gherardesca, cosa è successo? La serata ha avuto un finale a sorpresa?
Martin con una mano riuscì ad afferrare la maniglia dello sportello, ma non riusciva ad applicare l'energia sufficiente per aprirlo.
― Cosa c'è, eh? Non mi dirai che nessun uomo ti ha mai strizzato il pacco?
L'ironia di Gaeta riusciva ad essere più feroce della sua ira. Il suo sorriso lo sbeffeggiava, il soffio del suo alito così vicino lo atterriva, il suono del suo respiro così caldo lo inchiodava a non deconcentrarsi, ma non riusciva a contenere in suo malessere, ed a capire fino in fondo le domande di Gaeta, che non sembrava arrabbiato, ma sinceramente interessato ed incredibilmente in attesa delle sue risposte.
― Eppure... mi è sembrato che la cosa... non le dispiacesse.
Martin si lasciò sfuggire un fiatone rotto contro il viso di Gaeta, che ovviamente sorrise sempre più divertito.
― Oppure...
Gaeta fece una pausa silenziosa, che non fu un segno di pace, perché Martin si rese conto a pelle di come Gaeta stesse per infliggergli l'ennesimo colpo di grazia. Se lo sentì arrivare solo a guardarlo negli occhi, in quegli occhi in cui aveva imparato così velocemente a riconoscere i repentini cambi di rotta verso direzioni imprevedibili, con la stessa feroce gentilezza con cui senza difficoltà continuava a tenerlo stretto in un pugno.
― Oppure vuoi sapere quanto può essermi venuto duro a baciarti?
Con un gesto veloce Gaeta afferrò la mano di Martin e se la premette contro, allargandola ed intrecciando le dita alle sue, e facendo sentire a Martin la potenza dell'erezione che gli stava dedicando per il sol gusto di inorridirlo maggiormente.
Martin sentì che contro il palmo della sua mano il pene di Gaeta prese forma quasi a comando, mentre Gaeta ancora cercava nel fondo dei suoi occhi quell'ultima briciola di pudore che ancora non aveva mandato in frantumi.
Per un lunghissimo istante Gaeta guidò la mano di Martin sul suo pene, sorridendogli in faccia e mostrandogli un'espressione di leggero piacere volutamente messo in scena in suo onore.
Martin non resse oltre. Tolse la mano dall'incavo delle gambe di Gaeta e riafferrò la maniglia per uscire. Spalancò lo sportello e riuscì a scendere. Fece qualche passo ma riuscì solo a guadagnare una vomitata nella base quadrata di una quercia, alla quale si poggiò con la fronte e con entrambe le mani per riprendersi.
Gaeta lo guardava da dentro l'auto, ormai non aveva più niente da chiedergli. Lo aveva voluto completamente distruggere ed inseminare di un malessere che stava affondando le sue radici nella carne viva di Martin e dei suoi pensieri sconnessi.
Lo lasciò tramortito ed accasciato contro l'albero sotto casa, e Martin si sentì come se fosse stato oltraggiato e gettato fuori dall'auto sul ciglio di una strada, e mentre l'auto si allontanava e scompariva, si affrettò a mettersi al riparo oltre il portone e chiuderlo con forza dietro di sé.
Era rimasto solo ed al buio, in piedi poggiato contro la fila delle cassette della posta, con il viso schiarito dal led dell'ascensore. Aveva appena vomitato. Aveva addosso l'odore dei luoghi in cui era stato durante la serata con Gaeta. Ed aveva addosso l'odore di Gaeta, ed il suo sapore. Si sentiva sudato, violato ed offeso in un modo che lo stava spingendo sull'orlo di un esplosione, fino a che quell'orlo fu oltrepassato, e Martin conobbe spazi nuovi, e che solo in quel momento scopriva, e che sopra ogni altra cosa si rendeva conto che non essere più vuoti, ma una volta creati si erano all'istante riempiti di Gaeta, come ogni angolo della sua mente.
Nel sali e scendi altalenante del gioco da cui era stato travolto per tutta la serata, tremando all'idea che Gaeta potesse cambiare idea e tornare, era fermo ed al buio, e non si decideva ad accendere la luce delle scale. Nonostante ancora l'alcol non gli permettesse di sentire in pieno il dolore e lo sconvolgimento per la serata trascorsa, già si rendeva conto che la rabbia e la vertigine che provava erano fuori dalla sua natura.
Nonostante in quel momento fosse assente, ancora una volta Gaeta era riuscito a togliergli la parola, lo aveva attraversato con i suoi modi ed i suoi desideri, il desiderio di baciarlo, di mangiarselo con un solo bacio, senza chiedersi se Martin avesse voluto diventare l'unico vero pasto di quella serata fatta di alcol e panini gettati quasi interi nell'immondizia.
Si rendeva conto di quanto, e come, e fino a che punto Gaeta lo avesse dominato già da quando si erano incontrati al Camelot. Gaeta aveva deciso cosa fare, dove mangiare, cosa bere, persino quale mezzo usare, tutto, senza che lui avesse trovato il modo di intromettersi, o di esprimere un qualunque dissenso. Il suo silenzio aveva avuto il sapore di un burocratico consenso a fargli fare qualunque cosa. Il suo silenzio era stato la forza di Gaeta, di tutta la sua personalità, del suo carisma anche nelle piccole cose, come il suo muoversi fra i tavoli alla ricerca di una ciotola di arachidi, come il gettargli addosso una ragazza a caso per provocarlo, come quando era stato in grado di scegliere la posizione in cui baciarlo, come fosse stato Martin un dolce in cui affondare i denti, un giocattolo di lusso che doveva essere usato nell'incuranza della sua probabile rottura. Come aveva potuto lasciarsi fare ogni cosa? Quale pazzo non avrebbe reagito immediatamente spaccandogli la faccia quattro volte? Martin era rimasto immobile come un verme paralizzato dal ragno che lo divora, ipnotizzato dalla sua sicurezza, dalla sua ironia.
Martin gli aveva permesso di giocare con il suo corpo, con la sua bocca, la sua lingua, con le sue viscere. Gli aveva permesso tutto, a Gaeta che gli aveva provocato l'erezione più massiccia e travolgente che si ricordasse di avere avuto mai, e che poi lo aveva sbeffeggiato per il fatto d'averla avuta. Martin era stato afferrato da ogni parte dalle mani esperte di un uomo perfettamente consapevole della propria forza e dell'effetto dei propri gesti. Un gioco, era stato tutto un gioco, un gioco nelle mani di Gaeta che si era divertito a provarne il funzionamento, a studiarne gli scricchiolii nello spingerlo ai limiti delle sue estensioni fisiche ed emotive portate al massimo e fino al punto di rottura, esattamente come tante volte aveva fatto lui con le decine di ragazze delle quali poi non ricordava neanche il nome.
Martin stava vivendo il feroce contrappasso secondo cui stava restituendo al mondo tutto quello che aveva preso in precedenza. E il non aver avuto la possibilità di replicare, di difendersi, di giocare almeno alla pari, lo stava riempiendo di rabbia ed il tremore incessante che si sentiva crescer dentro non lo lasciava ragionare sul da farsi.
Ormai non era in grado di stabilire da quanto tempo fosse seduto sui primi gradini della rampa al piano terra. Aveva voglia di tornare a casa e dormire, e levarsi di dosso il ricordo di Gaeta così pressante e del quale sentiva ancora l'odore.
Quando mise le mani in tasca per cercare le chiavi di casa, trovò anche quelle dell'auto, dannata auto che aveva scatenato la reazione di Gaeta, o forse no. Forse sarebbe successo tutto comunque, non poteva essere certo di niente, soprattutto in quel momento, ed a quell'ora, e con l'acido del vomito ancora in bocca.
― Cazzo! L'auto!
L'auto era rimasta parcheggiata chissà dove. Non era in grado di capire se fosse meglio recuperarla subito o attendere domani. Non stava connettendo più. Aveva poggiato la fronte sull'inferriata fredda delle scale e iniziava a premerci contro sempre più forte. Le sbarre fredde sulle tempie lo riportarono con la mente a quando aveva mangiato il panino seduto sul muretto. Stringeva fra le mani le chiavi dell'auto, con il logo Maserati così evidente che ancora un moto di rabbia lo assalì facendolo rabbrividire.
Ma cosa aveva fatto di male per meritarsi la follia di quella notte?
Come avrebbe potuto tornare a guardare Ludovica?
Come avrebbe potuto tornare a seguire le lezioni di Gaeta?
Come avrebbe saputo riessere se stesso nel mondo, dopo aver assaggiato l'inferno nel cuore di Gaeta?

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Il Contrappasso è la corrispondenza della pena alla colpa, nell'infliggere all'aggressore la stessa lesione provocata alla vittima. Nella Divina Commedia è la legge che determina la pena dei dannati, in amplificazione o in contrasto.
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Nhurene: Amici, per questo capitolo in particolare mi piacerebbe, e servirebbe, avere i vostri pareri e commenti. Grazie del vostro affetto. Non era scontato.
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