Capitolo 7 - I

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― Martin, ma veramente hai vent'anni?
― Sì, direi di sì. Li ho appena compiuti.
― Cavolo Martin, sei due anni più piccolo di me!
― ...non ti ho mai detto... di essere più grande.
Martin e Ludovica camminavano fianco a fianco lungo una stradina sterrata, costeggiando un ficheto ed ogni tanto si fermavano a mangiare qualche frutto.
― Ma vai ancora al liceo?
― ...e siccome non sono mai stato bocciato... l'ho finito quest'anno. Dovrei iscrivermi all'università.
― Ah.
― Il viaggio con i miei amici sarebbe stata anche un'occasione per conoscere la zona.
― Che vuoi dire?
― Lecce era una delle sedi che avevamo preso in considerazione. Ecco... l'ho detto.
Ludovica si era fermata dritta immobile sulla strada e lo guardava con un sorriso disegnato in volto, ma con l'aria incredula di chi scopre un tesoro sotto la piastrella scendiletto.
― E me lo dici così!?
― E come dovrei dirtelo, Ludo. Ci conosciamo da quattro giorni, non c'è stata altra occasione.
― Ah, non c'è stata occasione.
― E quindi, ti dicevo... ci stiamo pensando. Non è sicuro, ecco.
― Ma, ci state pensando... chi? In quanti siete? Vi spostate in gruppo?
― No, che dici. E' che ho certi amici... ma in realtà è solo uno. Da sempre, fin da bambini avevamo detto che...
― ...lo avete detto da bambini...
― Ma poi, non so come sia successo, ma veramente, siamo rimasti sempre tutti insieme, anche quando non lo avevamo programmato... sempre insieme, io e Genio...
― Genio... che nome...
Rimasero in silenzio.
― E quindi, se ho capito bene... perché interrompere un'usanza sul più bello... via!, tutti insieme fino alla morte!
Martin sorrise, sentendosi preso in giro su un argomento che non sempre affrontava con serenità. Il rapporto con i suoi amici, ed in particolare con Genio, in confronto a quello con i genitori lo faceva quasi sentire incapace di ammettere che forse la sua vera famiglia non fosse costituita in base ai legami di sangue.
― Perché pensare di crescere, farsi una vita propria... a che serve... ci sono gli amici...
Ludovica continuava a parlare quasi da sola e Martin rideva alle mille facce buffe che lei faceva simulando la normalità più assoluta ed agitando le mani davanti a loro che camminavano vicini. Ma mentre rideva guardando la terra arsa, pensava a come sarebbe stata la sua vita a Lecce senza nessuno di loro accanto a sé.
― ...anzi, sai che ti dico... cucitevi tutti in fila... hai presente le catene di carta ritagliata, con tutti gli omini che si tengono per mano?
Camminavano.
― Certe volte, dai, stare tutti insieme è stato davvero involontario.
― Per esempio?
― Non so: alle medie, finimmo in gita tutti insieme.
― Magari eravate nella stessa classe, sarebbe stato strano tenervi divisi in alberghi differenti.
Martin rise di nuovo, con sincerità. In effetti aveva ragione lei.
― Non so Ludovica, noi usciamo insieme la sera, studiamo, andiamo in palestra...
― Ma alla fine arriva un momento in cui non si può fare tutto insieme. Ma dico, non la avete una ragazza?
Martin rimase a pensare.
― Intendo... una ragazza per uno, non una... tutti insieme.
Ancora Martin rise.
― Dai, non prendermi in giro, dico solo che avevamo progettato di passare insieme gli anni dell'università. Sicuramente dopo ognuno prenderà la sua strada, ma sarebbe bello continuare ancora per qualche anno a starcene fra noi, così per divertirci.
― Martin, ma tu ce l'hai una ragazza?
― No, direi di no.
― Diresti di no, ci avrei giurato: ma perché alle domande più semplici rispondi sempre in tono... poco definitivo!
Martin non seppe cosa opporre in risposta. Non era abituato ad affrontare discorsi che mettessero in crisi la struttura dei discorsi e non i contenuti. A pelle Ludovica sembrò accorgersene e tornò bruscamente all'argomento che comunque con molta fatica era riuscita ad affrontare con Martin e che a sorpresa invece aveva messo in evidenza l'esistenza di livelli d'animo ancora più impervi da raggiungere.
― ...va bé... ma avrai avuto qualcuna in passato.
― Ludo, dai, non ho niente da dirti, cose normali, niente di importante, qualche festa in giro, qualche tipa qua e là. Cosa vuoi sentirmi dire? Che sei la prima?
Ludovica non aveva gradito la risposta di Martin che aveva improvvisamente fatto cambiare i toni del discorso. Non stavano più scherzando, stavano parlando di loro, di quello che stava succedendo e di quello che sarebbe potuto succedere se solo lo avessero voluto, e se solo avessero voluto creare le condizioni minime perché qualcosa accadesse.
― Perché non vieni a Lecce. Non si sta male.
― Ci stavamo pensando, appunto come ti ho detto.
Ludovica smise di sottolineare come ancora fosse tornato a parlare di sé al plurale: Martin gli sembrava essere abitato da decine di individui tutti racchiusi dentro un unico corpo favoloso. Davvero non riusciva a pensarsi separatamente dal gruppo di amici che si corazzava addosso, per non mostrarsi a lei, e forse al mondo, nudo e libero di poter scegliere da solo cosa fare.
― Va bé, Lecce, forse. Ma per studiare cosa? Almeno su questo qualche idea più precisa ce l'avrai, o neanche questo?
La domanda era arrivata, ed era ovvio che prima o poi sarebbe arrivata, anche se in effetti ancora sperava di poter guadagnare tempo per prendere una decisione sulla loro storia, prima di rivelare a Ludovica che avrebbero potuto essere compagni di corso, nella stessa città, e nello stesso edificio.
― Pensavo a Lettere, ma insomma, anche questo...
― Come Lettere!? Martin!! E che aspettavi a dirmelo!
― No davvero Ludo, non è certo neanche questo. E' che tutti me lo sconsigliano... anche tu lo hai fatto, quando mi hai parlato del tuo futuro e di come già immagini cosa sarà cercare lavoro con questo titolo di studi... anche se.. ma insomma... non so.
― Ma i tuoi? I tuoi che dicono?
― I miei ne sarebbero contenti, anzi quasi se lo aspettano. La mia famiglia è nel del settore editoriale... ma io non vorrei... insomma, entrare nell'azienda... avere già tutto previsto... da loro.
― Martin! Hai un culo che neanche immagini!!
Martin fece cenno di guardarsi dietro per esaminarsi e scosse le spalle.
― Lo so Ludo, non sai quante me lo dicono.
Rise.
― Sei fra i pochi, ma davvero fra i pochi esseri viventi a poter studiare quello che ti piace senza preoccuparsi di sapere se alla fine... sempre poi ad arrivarci, alla fine.
― Si, questo è vero... solo che... volevo allontanarmi da loro, fare le mie cose. Ricominciare. Non penso di poter fare l'insegnante, è una cosa che detesto, non fa per me. Quindi... le occasioni si riducono, come per tutti.
Martin sospirò e rallentò il passo. Si voltò a guardarla, ed aveva il sole negli occhi. A Ludovica parve che il mondo si fermasse e che tutta la sua attenzione si concentrasse sulle labbra di Martin rimaste semi aperte, che stentavano a parlare, a terminare le frasi, a confessare le sue paure, a raccontare cosa ci fosse ancora da spiegare. Ludovica lo guardava intensamente e notava i suoi denti bianchissimi che continuavano a mordersi il labbro inferiore, e la collana tirata contro mento a incidergli la pelle come fosse stata un taglio netto in diagonale. Ma lui non si decideva ad andare avanti su qualunque cosa stesse iniziando a raccontarle. O forse solo se lo stava immaginando lei, così rapita dalla carne rosa che era la sua bocca, disegnata solo per essere mangiata a morsi. O forse anche Ludovica stava assistendo alle parole pronunciate da Martin ad alta voce e per se stesso, perché Martin sembrava interrompersi troppo, quasi incurante che lei non lo potesse seguire.


Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora