Capitolo 34 - III

1.1K 84 90
                                    

Una volta chiusa la porta, Martin si era lasciato cadere sul letto, vestito come era entrato in casa. Ogni proposito di mangiare, di farsi una doccia o anche di solo respirare, era scomparso. Crollato in avanti, era rimasto steso a braccia aperte e pancia sotto, a guardare la finestra da un lato, come fosse stato un grande occhio accecato sul mondo, serrato della tapparella abbassata.
Il cuore gli batteva all'impazzata, ma già sapeva, e sentiva arrivare ad ondate, la marea nera delle scorie tossiche di ciò che rimaneva di quell'incredibile serata. Non poteva evitarlo perché non poteva cancellare niente di quello che gli era successo, inciso ormai nella sua carne; non gli era più possibile. Il solo ricordo del corpo di Gaeta schiacciato contro il suo, la rabbia folle che provava al pensiero di non essere stato in grado di reagire, di difendersi, di mettere un punto a tutto, prima che la situazione fosse andata precipitando all'infinito, perché forse... avrebbe dovuto capirlo prima... fermarlo prima... o forse no? Non avere avuto la prontezza d'animo per fronteggiarlo... eppure sapeva che Gaeta, nella sua arroganza, ed autorità, e forza indescrivibile, e prepotenza divertita, non era mai stato violento. Martin non poteva mentire con se stesso e non riconoscere che Gaeta non avesse mai usato la forza che va oltre il consenso, e lui ben lo sapeva, perché ne conosceva chiaramente la differenza, perché nella sua esperienza dall'altro lato della barricata, ben sapeva quale fosse il limite affinché il proprio desiderio non diventasse abuso. Lo aveva misurato con se stesso tante volte, ma tante e tante, tutte quelle volte in cui aveva fatto sesso ed in cui si era spinto sempre più avanti con le ragazze di razza un po' sì e un po' no, e che solo hanno bisogno di sapere quanto possa essere piacevole abbandonarsi al flusso di un ordine delle cose che Martin aveva sempre deciso, con le sue mani esperte, capaci di vincere i momenti di imbarazzo ed indecisione anche solo con un gesto, quel gesto che cambia le carte in tavola e fa sì che tutto si sciolga ed ogni cosa diventi possibile. Il gesto delicato ed impulsivo, il gesto sorprendente e che conquista, che fa in modo che chi è con te non possa andarsene senza che un pezzo di te non gli resti per sempre incollato addosso. E' la carezza di quell'ultima fibra della mente, che gli aveva sempre aperto tutte le porte, e che non è fatta con le mani, ma con l'anima, col respiro, col calore della pelle, con la lingua su di lui ed i suoi morsi, quei morsi voraci in pieno viso che Martin non riusciva ad oltrepassare, Martin che ad occhi chiusi più se li ricordava e più affondava forte il viso nel cuscino ancora accecato dal respiro di Gaeta che non aveva smesso un attimo di sentirsi addosso, e dal suono morbido di un bacio infinito e che ancora stava continuando e che stava provocando dentro di lui come una piega della mente, un battito cardiaco che gli veniva meno, una carezza sul palato, un morso, il mento sollevato verso l'alto... le sue chiavi... ogni porta ha la sua chiave, e certe chiavi... aprono porte importanti.
Rigirandosi nel letto, a Martin mancava il fiato dinanzi al dolore che sentiva quando si abbandonava a vivere e rivivere sempre uguale il gesto di Gaeta che gli stringeva il mento per orientarlo a meglio accogliere il suo bacio in profondità, nella sua bocca impastata dal veleno di Gaeta che gli accarezzava il palato fino a leccargli i pensieri in auto come in quel momento nella sua stanza al buio, seppur assente, lontano e forse ancora al Camelot a ridere e scherzare. Per Martin, Gaeta non si era spostato di un millimetro e lo teneva stretto in pugno, in un pugno che aveva stretto tutto se stesso, tutti i suoi desideri, le sue paure, la sua mancanza di risposte che erano arrivate nell'auto di Gaeta da profondità incalcolabili, come se Gaeta gli avesse pettinato con i denti tutta la sua vita di uomo giovane, ed indicibilmente solo.
Aveva la pelle d'oca sulle braccia ed un crampo allo stomaco, e dovette accartocciarsi su un fianco per poter respirare, e per potersi iniziare a chiedere come gli fosse mai potuto succedere di accusare tanto intensamente un colpo simile. Un bacio, era stato solo un bacio, che però era diventato un terremoto, un nervo scoperto, un incisione lenta e senza anestesia. Un bacio che lui aveva acconsentito accadesse, e che stava consentendo si ripetesse di continuo ed a occhi chiusi, e con la stessa dirompenza e capacità d'impatto.
Ormai le prime luci dell'alba entravano nella sua camera attraverso i fori della tapparella e ancora non trovava la forza di alzarsi e gettarsi sotto l'acqua, perché ancora aveva le gambe spezzate.
Rimaneva tramortito sul letto, con i pugni uniti, incrociati e puntati sotto il mento, con il ciondolo a cuore rosso sangue quasi masticato sotto al taglio dei denti, quei denti che urtavano la superficie d'oro e la pietra incastonata ed emettevano quasi lo stesso suono dell'urto con quelli di Gaeta, e con il sonno sempre sul punto di esplodergli nelle ossa, ma sempre fermo ad un attimo prima, perché continuava a rimanere dolorosamente sveglio.
Una luce improvvisa gli riportò l'attenzione nella stanza, squarciando la penombra. Sulla scrivania era poggiato il cellulare, che all'improvviso si accese, senza emettere alcun suono. Sicuramente era Ludovica che aveva continuato a chiamarlo per ore, oppure sua madre, allertata da Genio sulla sua scomparsa. Ma decise di non alzarsi, di non controllare chi fosse.
Sentiva i primi rumori deboli iniziare ad arrivargli dalla strada, il camion della spazzatura sotto casa, lo sciacquone dei vicini al piano di sopra, voci lontanissime. La nuova giornata stava prendendo l'avvio intorno a lui, intorno alla sua stanza. Ma Martin aveva deciso di chiuderla fuori, nella speranza che il nuovo giorno non lo raggiungesse, e che non lo costringesse prima o poi a continuare a fare i conti con l'accaduto, e con le sue naturali conseguenze. Ancora non poteva.
Ma mentre i suoi pensieri vagavano in ogni direzione, ma solo sorvolando il cuore del problema, un altra luce, ben più intensa lo investì in pieno. Una lama luminosa e verticale che proveniva dalla porta della stanza che lentamente si apriva, continuava ad allargarsi tagliando il suo letto in due metà. Era voltato da quel lato, e gli bastò alzare leggermente lo sguardo per notare nitidamente la sagoma di Ludovica che si stava formando nel mezzo della fascia di luce che si apriva con sullo sfondo la parete del corridoio. La ragazza era rimasta immobile, senza entrare, anche perché non riusciva bene a distinguere l'interno della stanza. La luce che aveva colpito il letto le fece riconoscere la sagoma di Martin disteso fra le lenzuola sfatte ed i cuscini in disordine.
Martin era fermo ed in silenzio, mentre gli occhi di Ludovica si abituavano alla penombra. Entrò chiudendo la porta, fuori ormai era giorno inoltrato e non le prime luci dell'alba come invece Martin pensava, e Ludovica si poteva muovere e distinguere i contorni degli oggetti senza sbatterci contro.
Martin era rimasto sorpreso di vedersela comparire d'avanti, quando solo pochi minuti prima era rimasto ipnotizzato a guardare il cellulare illuminarsi in lontananza e ad immaginarla chissà dove pensierosa e preoccupata per lui.
― E tu che ci fai qui?
Fu l'unica frase che riuscì a formulare, alzando leggermente la testa, e lasciando cadere fuori dalla bocca il ciondolo rosso che gli aveva fatto compagnia per tutto il tempo in cui era rimasto solo.
― Ti cerco da ieri, ero preoccupata. Poi stanotte Genio mi ha detto che eri tornato.
Ludovica non aveva il coraggio di avvicinarsi al letto, perché Martin non la stava invitando a farlo. In quei momenti si rendeva conto di quanto poco si conoscessero e che forse non era stata una buona idea entrare in camera di Martin quando lui aveva continuato a non risponderle al telefono. In fondo Genio l'aveva rassicurata che Martin fosse sano e salvo a casa. Qualunque cosa fosse successa, forse avrebbe potuto aspettare che fosse stato Martin a decidere di chiamarla e raccontarle ciò che avesse ritenuto giusto raccontare. Ma invece era là dritta in piedi davanti a lui, che non le chiedeva di avvicinarsi, o di sedersi, ma solo la guardava starsene immobile e senza sapere che fare.
― ...poco fa ti ho chiamato da sotto casa, e niente. Poi ho di nuovo chiamato Genio, che mi ha fatta entrare.
― Ah.
Martin tornò ad abbassare la testa e chiuse gli occhi. Ludovica ancora ferma accanto alla porta decise di muovere qualche passo verso il letto, ed arrivata a poggiare gli stinchi contro al materasso, si sedette, cercando di generare il meno impatto possibile. La testa di Martin era abbandonata alla sua sinistra, il viso era quasi del tutto nascosto dai capelli in disordine. Martin quasi non fiatava, e Ludovica neanche lo sentiva respirare. Gli toccò la fronte e Martin non ebbe nessuna reazione, le parve che avesse la febbre. Gli passò le dita fra i capelli, cercando di sentire la sua temperatura senza darglielo a vedere, ma non gli sembrò essere particolarmente accaldato. Continuò ad accarezzarlo con delicatezza, grattandolo fra i capelli con la punta delle dita e con un tocco quasi impercettibile, e continuò a farlo quando si accorse che a Martin non stesse dando fastidio, anzi, gli sembrò quasi che il suo collo si rilassasse ad ogni passaggio ed un po' si premesse alle sue dita quasi per accarezzarsi da solo contro di lei. Rimasero così per molto tempo, e Martin quasi si assopì, nella tranquillità della dolcezza di Ludovica, che gli spostava i ciuffi dagli occhi e glieli sistemava un po' sulle tempie, un po' dietro le orecchie. E si abbassò su di lui per dargli un bacio sulla guancia con una dolcezza infinita come se Martin fosse stato fatto di vetro fine, e perché in quel momento sentiva quanto Martin avesse bisogno di essere amato, e di sentirsi amato, che era cosa differente.
― Tesoro mio.
Ludovica pronunciò solo due parole nel silenzio della stanza, ma che bastarono a farlo svegliare. Martin la guardò intensamente. I suoi occhi parvero a Ludovica di un verde disperato e sul punto di disintegrarsi. L'amore che stava provando per Martin d'avanti a Martin, distrutto d'avanti a lei chissà per quale cataclisma, la portava a pensare che avrebbe fatto qualunque cosa per alleggerirgli l'anima dal carico che lo stava schiacciando, anche a costo di prenderselo lei quel carico che l'avrebbe uccisa, pur di toglierlo dalle spalle e dal cuore di Martin, che contro il cuscino non riusciva più a nasconderle lo sguardo carico di lacrime e livida sonnolenza.
Martin allungò una mano verso di lei e le strinse il braccio con cui lei lo stava accarezzando. La tirò un poco, facendole capire che aveva bisogno che lei gli si stendesse accanto. E fu una questione di attimi, perché il suo gesto di invito doloroso fece capire a Ludovica che Martin non volesse allontanarla, ma solo che lei lo abbracciasse forte e lo cullasse in un attimo di sonno e confusione, che Ludovica continuava a non capire, a non spiegarsi, ma che poteva solo ipotizzare essere il frutto di un qualche scontro familiare. Gli tornarono improvvisi alla mente i racconti di Genio sulla relazione della madre con un ragazzino grande quanto Martin e che Martin aveva sorpreso insieme il giorno prima della partenza per l'università. Magari avevano avuto un chiarimento telefonico, o suo padre gli aveva chiesto spiegazioni su qualcosa, perché Martin, certo, non era uscito con loro per delle questioni familiari da risolvere... gli sembrava avesse detto questo mentre si salutavano nell'atrio dell'ateneo il pomeriggio del giorno prima.
Ludovica si stese alle sue spalle e lo strinse forte, e Martin rimase come chiuso dentro il suo abbraccio delicato. Il suo profumo lo invadeva, i suoi capelli biondi gli ricadevano addosso e li vedeva muoversi leggermente mentre lei non smetteva di accarezzargli le braccia che Martin teneva ancora raccolte avanti a sé. Gli sfiorava la schiena, le spalle e gli passava le dita fra i capelli pettinandolo piano, con la paura di fargli comunque male. Martin lanciò un respiro profondissimo.
― Ludo... io...
― Martin, non devi dirmi niente, Martin. Stai fermo così come stai, non abbiamo fretta. Oggi Gaeta ha cancellato la lezione.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora