Ormai l'ora di pranzo era passata da un pezzo quando Ludovica uscì dalla stanza di Martin in cerca di cibo. Si diresse al frigo, aprì il congelatore e trovò ogni cosa possibilmente immaginabile in un mondo abitato da single senza famiglia e poco avvezzi a cucinare. Aveva ancora i capelli bagnati dopo la doccia, e la condensa fumosa che uscì dallo sportello le fece sentire un brivido piacevole, visto il caldo che comunque c'era nell'aria.
Tirò fuori dei sacchetti colorati pieni di fagottini di varie forme e li gettò nel forno alla rinfusa. Trovò anche delle olive ascolane in grande quantità, delle mozzarelle ed altra varia roba da friggere, ma la cosa le sembrò particolarmente complicata, e le rimise a posto. Impilate da un lato come fossero state libri, c'erano delle scatole di pizzette farcite in varie maniere. Ne prese qualcuna, aprì di nuovo il forno e le buttò dentro sopra alle altre cose che già si stavano scaldando. Sembrava molto concentrata nel preparare il pranzo. In quel momento in cucina entrò Martin e la vide accosciata d'avanti allo sportello del forno illuminato, come per rendersi conto di come poter utilizzare al meglio tutte le manopole presenti. Piegata su se stessa Ludovica nascondeva sotto di sé e sotto l'orlo di una camicia di Martin che stava indossando, tutta la lunghezza delle sue gambe, e Martin poteva solo vederne le ginocchia emergere dall'altro lato. La scena gli sembrò particolarmente buffa poiché l'impegno che Ludovica stava mettendo nel preparargli il pranzo non era per niente proporzionato al grado di difficoltà richiesto. In una teglia dal bordo troppo alto stava scongelato un miscuglio non bene identificato di rosticceria assortita, disposto male e senza nessuna attenzione ai differenti tempi di cottura ben specificati in rosso sulle confezioni. Però il fascino delle manopole l'aveva totalmente conquistata, quasi convincendola che fosse quello il vero segreto per un buon pranzetto.
Martin rise e la abbracciò, abbassandosi sul pavimento accanto a lei.
― Caspita! Roba raffinata!
Lei si tenne in equilibrio allacciandosi alle sue braccia.
― Mi dispiace Martin, non conosco il tuo forno... il mio è tutto diverso...
La risata di Martin, troppo vicina all'orecchio, quasi la assordò ed il colpo di voce le spostò i capelli.
― Perché, a casa tua saresti stata capace di cose più elaborate?
Ludovica fece finta di offendersi spingendolo da parte e rimasero zitti, a guardare nel forno come fosse stato lo schermo del televisore. Martin le aveva poggiato il mento su una spalla, e la abbracciava tutta quanta, comprese le ginocchia, e si sentiva felice, col viso accaldato dalla cottura in corso. Il silenzio irreale era solo rotto dal sibilo della ventola.
Fino a quando la porta di casa si aprì con un colpo e Genio irruppe trascinando con sé rumore vario di oggetti caduti, parolacce, mazzo di chiavi incastrate, tonfi sordi e fischi di scarpe da ginnastica sul il pavimento. Genio lasciò cadere in terra lo zaino per poi assestargli un calcio e scaraventarlo contro il porta ombrelli in ferro battuto. Un boato era come entrato insieme a lui nell'appartamento, e continuava seguirlo mentre si muoveva per tutta la casa.
Una volta in cucina Genio pensò di essere solo, ma poi si accorse di Ludovica e Martin seduti in terra a guardare dentro al forno e si bloccò pensieroso e irrequieto.
― Cos'è? Avete scovato una stanza in cui non avete ancora scopato?
Martin scoppiò a ridere, allungandogli un braccio e facendogli cenno di avvicinarsi. Genio si avvicinò piano un po' indeciso, ma quando vide cosa ci fosse nel forno si stravaccò accanto a loro, poggiando la schiena contro una sedia.
― Cazzo Martin, Carlo Cracco è fra noi...
Martin ridendo per salutarlo lo abbracciò chiudendogli il collo a schiaccianoci e nel gesto, con l'altro braccio tirò troppo indietro Ludovica che cadde loro addosso.
― Genio!! Ma dove cazzo sei stato?
― Io, Martin?! Io a casa come un coglione, e tu?
Un odore di mozzarella calda stava invadendo la cucina e Martin era indeciso chi dei due volesse stringersi addosso con più forza e respirò felice il profumo di casa.
― Martin! Ho i capelli bagnati, si stanno annodando alla tua collana!! Stai fermo!
Genio riuscì a intravedere con chiarezza cosa ci fosse nella teglia a cuocere.
― Ma qui... vedo che la bomba della Findus ci ha colpito in pieno... ma cazzo Martin, non potevate disporre i sofficini sopra alle pizzette, e non sotto?! Usciranno straformati!
Martin li baciò tutti e due e se li strinse contro come se non li vedesse da una vita.
― Ma la vuoi smettere di fare lo sdolcinato, ma che cazzo fai! ...se vuoi scopare ancora... girati da quella parte!
Martin scoppiò a ridere di nuovo, senza poter aggiungere altro al sigillo verbale con cui Genio riusciva sempre a riassumere ogni cosa. Ludovica cercava di osservare il loro modo di salutarsi mai uguale a quello precedente, e guardava Genio allontanare Martin ridendo e spingendolo con un braccio, ma poi finendo per lasciarsi abbracciare forte con l'accondiscendenza in viso di un martire sull'orlo del precipizio. Ma Genio improvvisamente si scostò da Martin per guardarlo dritto in faccia.
― Martin... è successo niente?
Martin si voltò verso di lui, con gli occhi sereni e verdissimi, e lo guardò da vicino, sperando che Genio non insistesse oltre con domande difficili.
― No, niente... stiamo guardando come si cuoce il pranzo, resti con noi... no?
― E certo che resto, dove cazzo vuoi che vada, sono appena rientrato a casa... e con certe madonne!
Erano tutti e tre seduti in terra fra il tavolo ed il forno come fossero stati una cosa sola intorno a Martin, e Martin si chiedeva se quella potesse essere considerata una famiglia.
Genio sospirò stanchissimo.
― E poi... il pranzo?! Ma sapete che ore sono???
― Il pranzo Genio, per noi è il pranzo. Tu, hai fame?
Martin si alzò in piedi tirando su anche Ludovica e tenendo Genio in terra piantandoli un ginocchio nel petto, e Genio solo in quel momento notò che i due erano vestiti con indumenti infilati a caso, e si sentì in imbarazzo.
― ...oh, no, no, prendo giusto qualcosa e vado in camera, anche se per me è una merenda...
― Che ovviamente non si rifiuta mai... Genio, resta qui con noi e non rompere.
Martin rise, gli afferrò forte una mano incrociando con lui l'avambraccio e con un colpo secco lo tirò in piedi.
― Fantastico, visti così sembriamo le Charlie's Angels.
Ancora risate.
― Tu adesso ti siedi con noi... e mi racconti i dettagli.
Genio passò a ristravaccarsi, ma su una sedia e con un rumore di rigata sulle piastrelle che fece rabbrividire tutto il palazzo.
― Scusa...dettagli di cosa...
― Non so Genio... hai una faccia stravolta...
― Ah, io avrei una faccia stravolta, e tu? Sembri uscito dalla lavastoviglie.
Genio guardò Ludovica, poi tornò a guardare Martin.
― Ludo, non me lo strapazzare troppo, so che avete difficoltà...
― ...quali difficoltà?
Ludovica in quei momenti preferiva non mettersi in mezzo, solo li guardava, tagliata fuori dal loro mondo di sciocchezze.
― Amico bello... so tutto di voi due, Ludovica l'altro giorno me lo ha detto che...
― Ludo, ma di che parla?
― No Martin, non tiratemi in mezzo, cose vostre, io non ne so niente.
― Genio guarda, passiamo ad altro, non voglio neanche sapere che cazzo stai dicendo.
Ludovica diede loro le spalle per aprire il forno e sfilare la teglia, e nel farlo scoprì completamente le cosce sotto gli occhi di Genio, che un po' arrossì guardando Martin che si mise a ridere facendo finta di tirargli un pugno mentre Genio cercava in silenzio di discolparsi raggomitolandosi all'indietro, e Ludovica li osservava riflessi sulle rifiniture cromate della cucina e si chiedeva come facessero ad essere così complementari.
Poggiò sul tavolo la teglia rovente e Genio immediatamente si bruciò, come se assolutamente non avesse visto da dove fosse stata estratta un secondo prima. Martin gli si sedette accanto, con le braccia sul tavolo, pronto a sentirsi raccontare ogni cosa, qualunque cosa fosse stata, purché portasse la follia della sua firma inconfondibile. Martin finalmente respirava un'aria che conosceva, e che gli arrivava direttamente nell'anima.
― Spara, sono pronto.
― In effetti... una serie di casini...che vuoi sapere prima?
― Fai tu.
Martin addentò una pizzetta rovente fuori e quasi gelida dentro, tutta bruciacchiata sui bordi e decisamente senza sale, ma almeno sull'ultimo punto, non era stata colpa di Ludovica.
― Notizia veloce che ti riguarda.
Genio fece cenno a Ludovica che si era appena seduta accanto a Martin.
― A casa tua avete un nuovo ospite.
― Non ci sono stanze vuote, impossibile.
― Non penso che gli assegnerete una stanza tutta sua.
― Genio, o parli, o passa all'altro punto dell'elenco.
Genio sovrappensiero con la punta di un dito stava svuotando un sofficino dalla farcitura congelata che sembrava una biglia che fuoriusciva da un fodero di pastella ben croccante.
― In casa tua è arrivato un gattino di merda, nero, un asociale devastatore sociopatico, imprendibile sotto i mobili, graffiamaroni come mai visto in natura.
― Come un gattino! Veramente?
― No, scherzo. Ho combattuto tutto il giorno con un topo senza coda.
Martin rise forte alla faccia avvilita di Genio che raccontava come per quasi tutto il giorno avesse cercato di prendere la bestia nera infrattata sotto a letti, credenze e persino dietro la serpentina del frigo.
― E chi lo ha portato?
― Orazio, che lo ha gettato nel corridoio ed ha annunciato che tornava a casa per una settimana. E ci ha salutato tutti. Ma non vi metto al corrente di altri dettagli, vi lascio il piacere di scoprirli di persona più tardi.
― E' impossibile, Orazio è allergico ai gatti.
― Infatti, è per questo che è andato via.
― Cioè?
― Cioè questo Ludo. Che vi ha sganciato il malloppo peloso in casa ed ha detto che finché non gli trovate una sistemazione... lui non può tornare.
Martin li vedeva chiacchierare di gente che ancora non aveva conosciuto, perché a casa di Ludovica non ci era mai stato, a partire da quella serata in cui era finito casualmente al Camelot... il Camelot, un onda nera di emozione passò veloce nei suoi pensieri.
― E quindi?
― E quindi Ludo, ne parliamo più tardi.
― Ma la smetti di ripetere quello che dico?
Martin rise guardandoli bisticciare intorno a niente, ed ebbe la risposta alla domanda che si era fatto poco prima: pranzava facendo colazione con loro all'ora della merenda, e non aveva bisogno di altro per essere felice.
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Tre maggiore di due
RomanceRomanzo New Adult LGBT Intreccio di storie di tre ragazzi che nei primi anni universitari scoprono sulla propria pelle cosa voglia dire crescere, misurare i propri desideri, conoscere i propri limiti, superarli e pagarne il prezzo. Il racconto parte...