Capitolo 39 - IV

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― Della Gherardesca!
Anche Martin saltò all'indietro, urtando testa e schiena alla parete.
― Oggi ha deciso di farmi morire! Che ci fa ancora in Facoltà?
L'attimo di sorpresa di Gaeta era stato immediatamente riassorbito dai suoi modi disinvolti, mentre Martin era rimasto gelato con le braccia in alto, con ancora le dita fra i capelli.
Da sulla porta, Gaeta gli sorrise semplicemente, come avrebbe fatto a qualunque studente incontrato per caso, spostò lo sguardo sulla scrivania che era là accanto, entrò nella stanza e richiuse la porta.
Martin lo guardava, abbandonato senza forze contro il muro, consapevole di non essere pronto in quel momento a sostenere nessun tipo di chiarimento, solo soffriva, e rimaneva seduto, in attesa di qualunque sua altra messa in scena a suo danno. Ma non se la sentì per l'ennesima volta di rimanere in silenzio, anche perché Gaeta sembrava essere distratto da ciò che stava cercando sulla scrivania.
― ...sì, aspetto...
Gaeta gli fece un cenno con la testa, voltato un poco di lato mentre controllava fra dei libri alcune pagine con delle graffette metalliche. Mentre Martin continuava ad osservarlo, Gaeta ne contò le facciate interessate, dispose i libri in ordine differente, lesse l'inizio di un paragrafo e fece qualche segno con la matita, come se Martin non ci fosse, come se fosse trasparente, inesistente, inconsistente, insignificante, al punto che Martin non poté che iniziare a pensare di essere vittima solo delle proprie fantasie, inconfessabilmente però riguardanti Gaeta.
Da quando Gaeta era entrato nella stanza, Martin aveva talmente tanto trattenuto il respiro che quando decise di riprendere fiato, emise un suono sottile che distrasse Gaeta dalle sue letture e gli fece alzare gli occhi su di lui.
Si guardarono negli occhi e Martin si sentì risprofondare in fondo a quel pozzo di cui finalmente pensava di aver raggiunto il bordo per prender aria. Guardando Gaeta, Martin cercava in lui ogni piccolo dettaglio per darsi delle prove alla spiegazione che si stava costruendo intorno ai fatti degli ultimi giorni, e Martin notò lo sguardo sereno, ed il suo sorriso sfuggente e quasi interrogativo con cui per un istante Gaeta lo aveva investito prima di continuare a leggere sui suoi libri. A Martin sembrava essere rimasto accigliato ed onestamente divertito per averlo trovato quasi assopito ancora accanto alla fotocopiatrice, e non aveva niente di tutta la furia che si sarebbe aspetto di trovare nei suoi modi, e che animava i suoi pensieri ogni volta che nella sua mente scorrevano le immagini dei fatti accaduti in auto. Probabilmente l'alcol aveva contribuito a far deragliare il suo comportamento, e magari veramente Gaeta non se ne ricordava più, tanto erano stati entrambi ubriachi ed alterati sotto ogni punto di vista. E mentre i suoi pensieri continuavano a scorrere, Martin era rimasto imbambolato ad osservare Gaeta che ancora, ed ancora, ed ancora leggeva e sfogliava le sue cose. Finché quei secondi divennero minuti, ed a Gaeta sembrarono troppi di più di quanti ne avrebbe potuti abbonare, anche a Martin.
Gaeta chiuse di colpo il libro che stava esaminando e fissò su Martin il suo sguardo e tutta la sua attenzione.
― Cosa c'è?
Martin non si aspettava che Gaeta parlasse, ed una semplice domanda divenne la domanda del secolo, a cui non aveva, ovviamente, nessuna risposta sensata.
Gaeta poggiò sulla scrivania tutto quello che aveva in mano, spinse un po' in dietro altri oggetti disposti a caso e vi si sedette sopra, come solitamente faceva anche a lezione. Suo malgrado Martin era finito al centro delle sue attenzioni, esattamente di fronte a lui, ancora seduto sul carrello porta carte, con le gambe lunghe distese fin quasi a raggiungere Gaeta, che in quel momento lo stava radiografando come fosse stato uno scanner ad alta definizione. Con le mani strette al bordo del ripiano su cui era seduto, Gaeta passava in rassegna Martin per tutta la sua lunghezza con uno sguardo che a Martin sembrò spudoratamente esplicito. Ma Martin non riusciva ad esserne certo, e la cosa lo gettava in una sensazione di panico cieco e paura del non sapere ancora, ed ancora, come comportarsi. Gaeta lo stava fissando, e gli stava sorridendo, in attesa di una sua reazione, e Martin poteva sentire come Gaeta in quel momento avrebbe potuto mangiarselo vivo, se solo avesse voluto, ma non riusciva ad esserne certo, e certamente sentiva anche quanto Gaeta in quel momento stesse giocando con quella sua incertezza, perché il suo sorriso silenzioso e sereno era solo il suo modo, gentile, di mandarlo in confusione senza commettere nessuna scorrettezza.
Martin sentiva di essere al limite, di non poter reggere oltre la sua fermezza silenziosa, e si sorprese che proprio una frazione d'attimo prima in cui pensava di esplodere, Gaeta interruppe la sua crocifissione allungando una mano in avanti per raccogliere da terra alcuni fogli, quei fogli fotocopiati su cui sopra c'era scritto a penna a vari ripassi di ricalco 'Gaeta 2012'.
Esaminò il primo, poi diede uno sguardo al secondo e tornò a guardare Martin con quel sorriso che Gaeta non si era tolto di dosso fin dal suo arrivo.
― Ma come avete fatto ad averli? Io nel 2012 ero a Catania.
― Sì, lo so... cioè, volevo dire... la mia ragazza... una sua amica... li hanno trovati in rete, qualcuno li ha caricati da lì.
Gaeta esclamò un sospiro di sorpresa che gli illuminò maggiormente lo sguardo.
― E perché qualcuno avrebbe dovuto farlo?
― ...non saprei. Ma la mia ragazza dice che sono ben fatti... forse gli ha letti.
― E certo che li avrà letti.
Martin lo fissò.
― ...se dice che sono ben fatti...
Gaeta si strinse fra le spalle discolpandosi.
― ...ringrazi la sua ragazza da parte mia.
Rise, scuotendo leggermente la testa e chiudendo i fogli per poggiarli affianco.
― Non si riferiva a lei, ma a chi ha preso gli appunti.
Silenzio.
― E lei, li ha già letti?
― No, ho solo fatto in tempo a farli cadere a terra.
Gaeta rise di nuovo, sembrava davvero divertirsi a parlare di niente.
― Sì ho visto, ho dovuto raccoglierglieli io.
― La ringrazio... la mia ragazza ci tiene molto ad averli.
Ogni frase rotta di Martin sembrava portare Gaeta ad un nuovo livello di divertimento, tanto che a Gaeta non sembrava possibile non ridere, e Martin fu certo che Gaeta avesse colto nella sua ultima affermazione un'allusione al fatto che tutte le studentesse perdessero la testa per lui con molta facilità, allusione a cui Martin non aveva assolutamente pensato. Il fatto che Gaeta ridesse di Ludovica gli diede particolarmente fastidio.
― La mia ragazza è una persona eccezionale, ed è anche una brava studentessa.
Gaeta smise di ridere, totalmente estasiato dalla sua aria stizzita ed ombreggiata, sospesa sulla totale confusione di un discorso che continuava a girare intorno a niente.
― La sua ragazza... è proprio dichiarata così all'anagrafe, o abbiamo un nome più definito per qualificarla?

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora