Capitolo 41 - II

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Come spesso infatti faceva, Ludovica aveva alzato verso l'alto le braccia, abbandonandole contro la spalliera, e si lasciava guardare in tutta la sua lunghezza, distesa davanti a lui con indosso solo gli slip. Martin tornò in ginocchio su di lei e la ricoprì stendendosi sopra, puntellandosi sui gomiti, per seguire con la mente la sensazione della sua pelle aderire e poi staccarsi dal proprio corpo, per sentire il volume dei suoi seni compressi sotto il suo peso scivolare fuori come rigonfiamenti di crema avana fuori da un bignè.
Sollevandosi un poco da lei, con le mani li riunì verso l'alto. Si sentiva come se stesse per sbriciolarla, respirarla, entrargli dentro con la forza che in quel momento aveva nel cuore.
Ludovica poteva vedere il viso di Martin, riverso su di lei, circondato dai ciuffi di capelli oscuri che lo incorniciavano bellissimo ed affamato della sua carne. E Martin la stava guardando negli occhi e sperava che lei riuscisse a fare altrettanto, ma sapeva che Ludovica non ne era capace, e forse gli sarebbe piaciuto insegnarglielo, ma non lo avrebbe fatto, non glielo avrebbe mai chiesto, avrebbe mille volte voluto che lei lo avesse capito da sola quanto in quel momento più che mai avrebbe avuto bisogno del suo aiuto, di una sua carezza, di una sua iniziativa per farlo sentire importante. Ma Ludovica non faceva niente, non lo aiutava in niente, non coglieva niente del bisogno che Martin aveva di non essere sempre buttato al centro dell'arena. Per Martin era quasi come se l'unica e sola risposta di Ludovica ai suoi momenti di cedimento fosse quella di lasciarsi scopare al massimo delle sue capacità.
Martin inchiodò i propri occhi dentro i suoi quando con un gesto veloce le allargò le cosce e le entrò dentro completamente, senza nessun tipo di segno ad avvisarla, senza una carezza, un attimo di tempo perché Ludovica si preparasse. La sua erezione totale sparì dentro di lei, ingoiata per intero ed a Ludovica sembrò che lo stomaco si fosse riempito di farfalle che gli sbattevano in ogni direzione, e mentre Martin le affondava dentro sempre più pressante e con la forza di un amore per lei tutto nuovo come nuovo era per Martin sentirsi pervaso d'un amore in quel momento risentito, Ludovica si rese conto che, mentre tutto il suo corpo vibrava già di piacere e vampate di calore che salivano e scendevano con Martin, Martin non c'era. Eppure Martin le era addosso come fosse stato un ragno affamato che la avvolgeva tutta e che la inchiodava alla spalliera metallica, e Ludovica ormai era quasi arrampicata sulla struttura e con le mani si teneva alle traverse ad ogni spinta, e sentiva contro la testa la superficie fredda e levigata dei tubolari. Martin sembrava volersela mangiare non solo a morsi, ma anche respirandola, assaggiando tutto quello che poteva mettersi in bocca mentre la baciava, e sembrava avere perso la vista, pur rimanendo sempre fissi i suoi occhi spalancati sul mondo, sul mondo d'amore contraddittorio che Ludovica gli faceva provare ogni volta che si regalava a lui completamente, come una melagrana matura e succosa, ma priva di sapore.
Ludovica fremeva di un piacere intenso, lunghissimo, che sembrava invece che Martin non raggiungesse mai, e che lo spingeva a cercarlo più all'interno, con più forza, con più disperazione. Ma la carne di Ludovica conteneva solo quello, solo tutto l'amore, immenso, che lui già aveva trovato. Martin le strinse il viso fra le mani e lo tenne fisso innanzi a sé, vicinissimo, sfiorandole le labbra che si aprivano per cercare un suo bacio, ma che lui rimandava, per osservare cosa accadesse sul suo volto, dentro la sua bocca, sotto le palpebre serrate a nascondergli l'unica cosa che avrebbe voluto vedere veramente, e per scoprire cosa ancora più in fondo potesse esserci, oltre tutto quello che già aveva visto. Perché Martin era sicuro che in fondo al tunnel qualcosa lo stesse attendendo. Vedeva le pupille di Ludovica muoversi spasmodiche, ma sotterrate dalle palpebre, incorniciate dalle ciglia chiare, lontane da lui che le scavava dentro con lo sguardo e non solo. Ad ogni colpo cercava di svegliarla, di aprirle gli occhi e le viscere, ma lei non c'era, irrimediabilmente persa nell'abisso di piacere sconvolgente che stava vivendo sotto di lui, ma anche senza di lui.
― Ti prego Ludo, guardami adesso.
Ludovica rise, passandogli un braccio intorno al collo e premendoselo contro. Iniziava ad irrigidire tutto il corpo, ormai quasi al limite della sopportazione di un piacere che quasi non la stava facendo più respirare, soffocata dal battito del cuore, del suo e di quello di Martin. Così strinse di più gli occhi, quando il fremito che la percorreva le arrivò in viso investendola in pieno.
Ma nonostante avesse deciso di non chiederlo, Martin cedette alla tentazione ed al bisogno di ricevere da lei il gesto d'amore più grande.
― Ludo, perché non mi guardi?
Ma più Ludovica si sottraeva sorridendo ai suoi occhi, più Martin cercava di fissarla dritta in faccia e di entrare maggiormente dentro di lei quasi per chiamarla ad alta voce. Ma Ludovica sapeva che Martin era fatto così e non le sembrò strano il fatto che Martin continuasse a parlare. Per Ludovica era la sua solita stravaganza nei momenti più forti e quasi brutali.
La gamba di Ludovica urtava contro il petto di Martin, che ormai l'aveva stretta in alto, e teneva le mani annodate alle sue, e fra sue dita Martin poteva sentire quelle di lei, prendere energia e poi perderla ed allentare la stretta. Finché Martin iniziò quasi a gemere sempre più forte ed alla fine venne con una furia che stordì anche Ludovica.
Le rimase esanime steso sopra, come incapace di capire cosa fosse successo, in bilico fra lo svenimento e la visione di un sonno velenoso. Era rimasto con il viso incassato e nascosto nell'incavo della spalla di Ludovica, e con una mano, abbandonata quasi casualmente, si copriva gli occhi, infastidito dalla luce del primo pomeriggio, ansimando, tremando, e maledicendo il mondo di emozioni fuori sincrono, fuori tempo, e fuori luogo che lo stavano assalendo in pieno.
Anche Ludovica era spossata ed annullata di ogni briciola di forza. La quiete che di colpo li aveva colti le permise di lasciare la presa alle sue spalle ed abbassare su di lui, sulla sua schiena, le sue mani, per abbracciarlo forte ed ospitarlo ancora sopra di sé. Gli passò una mano fra i capelli in disordine, e soffiando nel suo orecchio le parve in quel momento di sentirlo sospirare con un cenno di voce rotta. Come se la furia del sesso che avevano fatto, lo stava facendo piangere invece di farlo tornare a respirare normalmente. Cercò di scostarsi da lui per vedere nei suoi occhi cosa stesse succedendo, ma Martin non glielo permise, ormai era tardi.
Martin si prese un attimo durante il quale si strofinò forte una mano sul viso, e poi quando fu pronto a sorridere, si voltò lui a guardala, con uno sguardo intenso e verdissimo, come se la forza del sesso fosse stata una pennellata di smeraldo passata di fresco nei suoi occhi.
Ancora però non si muoveva da sopra di lei, quasi non volesse mettere il punto finale al momento appena vissuto. Avrebbe voluto rimanere ad accarezzarle la pelle nuda ed accaldata per un tempo infinito, e tutto il resto del mondo sarebbe andato avanti intorno a loro, nella loro assenza, nel suo bisogno di non aver bisogno di niente altro in tutto l'universo se non dell'idea di essere felice, perché di quello Martin era certo, del suo amore per Ludovica nonostante il fatto che non fosse perfetto, e che lui avrebbe protetto conto tutti, anche contro quella parte di se stesso che invece avrebbe preferito la perfezione.
La abbracciò forte. Le diede un bacio dolce e Ludovica sentì la carne delle labbra di Martin, calda conto le sue, che lei strinse in un piccolo morso, delicato come una firma sul suo cuore.
― Stai bene Martin?
― Ti amo tanto Ludovica, per questo sto bene.
E mentre Martin le dichiarava il suo amore, già pensava a come aveva fatto a convincersene.
Ludovica rise felice ed infilò un dito nella collana di Martin, facendola scorrere un po', fino a farsi arrivare sul palmo della mano il ciondolo rosso a forma di cuore, in cui il grosso rubino era incastonato nel mezzo. Martin sorrise.
― Hai il mio cuore in mano, in questo momento.
E Martin più che dirlo a lei lo stava chiedendo a se stesso senza trovarne risposta.
Ludovica osservò bene il ciondolo, come mai aveva fatto prima, spesso intimorita anche solo a toccarlo. Chiuse un occhio e ci guardò dentro, contro luce. La stanza, pienamente illuminata si trasformò in un caleidoscopio rosso fuoco e tutti gli oggetti sembrarono spostarsi come sfaccettati sulle pareti del rubino che li distorceva in ogni direzione. Ma, nonostante il filtro rosso della pietra, che trasformava tutto e tutto faceva vedere con altra luce, ancora lei poteva riconosce l'interno della stanza di Martin, l'interno di Martin, confuso in schegge quadrate ed affascinante come davvero Ludovica pensava fosse il cuore di Martin, con tutte le sue contraddizioni, la sua passione infuocata, il suo bisogno spasmodico di possedere tutto e plasmare ogni cosa a proprio piacimento.
― Perché porti il tuo cuore al collo? Perché ne hai fatto un ciondolo?
Martin la guardò silenzioso.
― Ma è un ciondolo che non mostro quasi mai.
In effetti Ludovica sapeva che era sempre sotto la maglietta o... oppure infilato nella sua bocca.
Il pensiero della sua lingua che ci giocava delicatamente, come fosse stato un piercing dell'anima, la eccitò molto e le fece avere voglia di assaggiarlo, ma ebbe paura a farlo. Gli sembrò che a Martin potesse sembrare un gesto troppo intimo, e la cosa la fece ridere, vista la violenta esperienza fisica senza ritegno che avevano appena avuto insieme e che li aveva lasciati esanimi l'uno sopra l'altra.
― Perché ridi?
― No, niente.
― Davvero Ludo, perché stai ridendo?
― Non so cosa ti sia capitato stamattina in facoltà... ma qualunque cosa sia stata... spero ti accada spesso in futuro.
Ludovica scoppiò a ridere ancora più forte, mentre guardava il soffitto e cercava di raccogliersi i capelli con la mano che non stava accarezzando Martin sulla schiena, Martin che invece sentì il dolore di un chiodo che gli trapassava il cervello e gli bloccava il respiro in avvitamento all'indietro e che lo aveva riportato al punto di partenza.
Non aveva la lucidità per capire in quel momento cosa di preciso lo avesse ferito a sangue, frantumando il senso di piacere che stava ancora assaporando sopra di lei, ma gli sembrò, vividamente, come se qualcuno avesse strappato una pagina della sua recente felicità e l'avesse buttata nel cesso.
Il suo respiro perse il ritmo, la sua mente ebbe una spallata d'arresto, il suo cuore si fermò un istante e tutta la carne di quel cuore palpitante, che nel suo petto si apriva e chiudeva in diastole e sistole ormai fuori controllo, quasi con inchino e riverenza passò la parola all'altro, quello fatto di pietra dura e lucente, trasparente e fermo su se stesso a non contenere sangue, né anima, né alcun cenno di vita se non quella fatta di luce. E la nota nera ed opaca che in un attimo di dolore aveva attraversato Martin per tutta la profondità dei suoi pensieri, nel cuore rosso rubino sarebbe stata solo una piccola sfaccettatura fra le decine e decine che gli davano forma.

 E la nota nera ed opaca che in un attimo di dolore aveva attraversato Martin per tutta la profondità dei suoi pensieri, nel cuore rosso rubino sarebbe stata solo una piccola sfaccettatura fra le decine e decine che gli davano forma

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