Capitolo 48 - II

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― Genio, niente di importante...
― Sì, come no.
― E' l'insieme delle cose, e poi Ludovica...
― Non dirmi stronzate, non inventarti storie strane. Qui Ludovica non c'entra un cazzo a merenda, ti conosco Martin, so che stravedi per lei.
― No, no, che hai capito... lei è tutto.
Martin si sentì spezzare dentro all'idea di pronunciare una frase vera, ma che anche non lo era abbastanza.
― ...è che forse, non so...questa città...
― Martin, io sono l'ultima persona a cui dovresti fare questo discorso.
― Infatti non te lo stavo facendo, ma è che...
― Vuoi completare almeno una frase quando mi parli?!
― ...non so...
― Smettila di dire scemenze. Dimmi cosa ti è successo in questa città che ti ha fatto uscire fuori di testa.
Martin iniziava ad avere difficoltà a continuare il discorso. E la difficoltà non era nascondere l'infinito mondo di confusione che avesse dentro, ma sentire le parole con cui Genio stesse descrivendo il suo stato. Era davvero uscito fuori di testa? Ed era così evidente? E dove erano finiti i buoni propositi, pensati sinceramente, di rimettere tutto a posto, di ripartire da zero, di riavviare il sistema? Non aveva forse sperato, ed ottenuto, che Gaeta si autocancellasse dalla sua vita? Dalle sue giornate in ateneo, dalle sue lezioni, dai suoi pensieri che attendevano davvero poco per ricominciare a pensarlo, ed a logorarsi su cosa stesse facendo, ed ancora mentre parlava con Genio e cercava di elencare anche a se stesso come tutto fosse tornato al proprio posto, era tornato a cercare Gaeta nei suoi ricordi, in quelli della mente, ed in quelli che gli correvano addosso ad ogni istante passato a ricordarlo. Ma Martin aveva Genio davanti a sé, che lo guardava con l'aria irremovibile di chi vuole capire, e Martin doveva solo tirare un bel sospiro, sorridere, indossare in viso il vestito della festa e sperare che Genio si fermasse e che avesse pietà delle sue vertigini.
E Martin non poteva non chiedersi se fosse solo Genio ad essersene accorto. E Ludovica? E se anche Ludovica avesse covato dentro di sé gli stessi dubbi, ma un po' per pudore, un po' per paura, non gliene avesse fatto cenno?
― Ehi, ma mi senti o no? Stiamo parlando... ma dove cazzo finisci con la testa???
Martin chiuse gli occhi per non fargli scorgere tutta la sua ansia, e finse una sonnolenza insistente che lo fece sbadigliare.
― Pensi che stando zitto, ignorando le cose, le cose si risolvano?
Martin lo guardò come smarrito dell'affondo che Genio gli stava assestando senza neanche rendersene conto. Il punto era esattamente quello, Martin non aveva deciso quale parte del suo cuore seguire, senza lasciare sanguinare l'altra.
― Sbagliato Martin, non si fa così. In questo modo solo tutto peggiora, ed arriva ad un punto di non ritorno, in cui perdi anche quella minima speranza di avere un ruolo per come poi si evolveranno le cose. Perché... le cose vanno avanti Martin, anche se ti chiudi qua dentro e non esci all'aria aperta.
Martin non riuscì ad evitare che gli occhi gli divenissero un po' rossi, sconcertato dalle sue parole, che vagavano nel buio della sua mente sbattendo contro ogni spuntone di paura, ed i rimbalzi della voce di Genio che sembravano ripetergli all'infinito le stesse parole era come se lo dilaniassero in profondità. Martin si coprì il viso con le mani, e con un gesto meccanico con cui oramai si accarezzava il mento, si infilò in bocca il suo ciondolo rosso fuoco, quasi iniziando a masticarlo.
― Alza quel cazzo di telefono Martin, e chiamala.
Martin trattenne il respiro immobile, e scostò le dita dagli occhi per guardarlo. La frase di Genio lo aveva lasciato interdetto e gli aveva fatto perdere il filo del discorso. Cercava di coglierne il senso, ma Genio che non gli veniva incontro, solo attendeva una sua risposta.
― Chiama tua madre Martin, parla con lei, vai a trovarla, falla venire qui, fai che cazzo vuoi. Hai sbagliato a partire senza esserti chiarito con lei.
La confusione dentro Martin più che diminuire salì vertiginosamente. Non sapeva quanto ancora avesse potuto reggere quel carico di pressione. L'idea che Genio avesse collegato il suo malessere agli ultimi episodi con la madre lo infastidì per il senso di disordine che provava ed in cui tutta la sua vita si stava annodando terribilmente sotto i suoi occhi. Ed alla fine Martin non sapeva più quale dei tanti tipi di dolore che provava fosse collegato ad un fatto e non ad un altro. Come era possibile che tutto intorno gli stesse crollando senza speranza di resistere alle ondate della vita e della piega che stava prendendo? Sotto il velo di serenità malcelata sul viso e sul suo corpo, Martin aveva sotterrato le macerie di tutto quello che gli altri credevano essere la sua esistenza. In quel momento entrò Ludovica, con fra le mani la maglietta di Genio, un po' bagnata nel mezzo, ma tornata di un unico colore.
― I miei due amori...
Il commento di Ludovica mentre infilava a Genio la maglia con dolcezza come se fosse stato loro figlio, aggredì Martin nel momento più sbagliato. Ma quell'ansia fu presto riassorbita dalla sua dolcezza ed a Martin parve una boccata di ossigeno. Anche per troncare la discussione con Genio, Martin la afferrò per un braccio e la tirò a sé. Se la mise a sedere sulle gambe e la stinse forte. Affondò tutto il viso fra i suoi seni e respirò profondamente. A Genio sembrò che Martin stesse usando il corpo di Ludovica come un cassino che sulla lavagna della cucina portava via il gesso della loro discussione riservata. Martin stava usando Ludovica per cambiare tono ai suoi pensieri, alle sue angosce, alla paura di affrontare la realtà e alla sua incapacità di tenere fede alle promesse fatte a se stesso. Genio scosse la testa, facendogli un segno d'approvazione con il pollice alzato per la scelta di non continuare la loro discussione.
― Bene, ed adesso che siamo tornati tutti belli e puliti... che facciamo oggi?
― Ludo, non siamo tutti e tre belli e sposati, ognuno di noi può fare che vuole.
Ludovica rimase gelata al tono acido con cui Martin l'aveva azzittita, scollegando la sua giornata da loro, da lei e da qualunque cosa che avrebbero potuto fare insieme.
― No, Ludo, Martin ha ragione, è colpa mia che vi sto troppo addosso, anzi, sai adesso che faccio, me ne vado in palestra. Poi stasera ho una cosa da fare...sai com'è.
Mentre Genio cercava di porre i ripari ebbe la prova che qualcosa nell'amico non andasse bene. Genio saltò in piedi e sparì nella sua stanza, mentre Ludovica guardava contrariata Martin per la sua reazione che aveva fatto fuggire Genio in pochi secondi dalla loro compagnia.
― Ma cosa ti aveva fatto di male? Certo, forse qualche volta esagera con le battute, ma ti vuole un bene da morire. Se prima ci è andato pesante lo ha fatto per te, per darti una mossa!
Martin non poteva credere alla sua voce, Ludovica gli stava illustrando quanto Genio fosse parte di lui e lui di Genio e da sempre. A tanto si era spinta la gravità delle cose sotto gli occhi di tutti, tranne che dei suoi?
― Pensi che abbia bisogno di una mossa?
― No, se tu dici che non ti serve non sarò io a convincerti del contrario, solo che...
― Cosa, che cosa? Mi state tutti e due addosso con la storia che non mi riconoscete... forse non mi conoscete!
Martin uscì dalla cucina e si chiuse in camera, profondamente turbato dal significato di quello che aveva appena detto. Aprì la finestra e rimase ipnotizzato a guardare le auto passare in strada. Si poggiò sul parapetto con gli avambracci e si accasciò sulle sue stesse braccia, in attesa di tornare a respirare meglio.
C'era dentro di sé una qualche possibilità che realmente fosse successo ciò che lo stava dilaniando?
Come era mai potuto succedere che tutto se stesso, tutta la parte che conosceva di se stesso, ed anche quella che non conosceva, avesse talmente tanto bisogno di Gaeta al punto da rinunciare a tutto il resto? Perché Gaeta era un uomo, e non aveva altre parole per dirsi una realtà tanto ovvia ma anche così immensamente indicibile.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora