Capitolo 37 - I

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Si era seduto al proprio posto insolitamente arrivando in anticipo in classe. Aveva aperto un libro, ma non ne stava leggendo neanche una parola, solo contemplava l'aula vuota ed in piena luce. Sentiva in lontananza passi veloci, colpi pesanti di tacchi che martellavano la scalinata che portava all'aula Ferrari, porte che si chiudevano sbattendo, tutto insieme fare eco e raggiungerlo nel grande spazio moquettato d'azzurro al centro del quale era seduto in perfetta solitudine.
Gaeta attendeva l'arrivo dei suoi studenti, e nel farlo si abbandonava all'ascolto dei rumori di fondo. Finché le chiacchiere non si fecero più vicine, i passi più pressanti giusto fuori le porte, e qualcuno, parlando a voce alta, non fece irruzione nell'aula già adocchiando la poltroncina su cui lasciarsi cadere. Scoprire a sorpresa che il docente fosse già in classe, a turno sorprendeva tutti ad uno ad uno, bloccandoli in un silenzio surreale che li lasciava ammutoliti d'avanti all'altare maggiore.
Gaeta puntellato contro la scrivania, reggendosi come suo solito con entrambe le mani al taglio del ripiano, si godeva la scena, insolita anche per lui.
Gli studenti entrando e fissandolo, spiazzati per un attimo, sobbalzavano nel trovarselo già davanti, e sembravano nettamente dividersi in due bande, chi si gettava aggressivamente sulle prime file, chi defilatamente alle ultime. Quelle centrali sembravano essere da tutti ignorate. Gaeta studiandoli disporsi secondo regole ben evidenti, sorrise, pensando che i suoi studenti potessero solo amarlo, oppure odiarlo, ma non restare indifferenti.
Finché sulla porta comparvero Ludovica e Martin, che con un salto si materializzarono dentro, rimanendo anche loro bloccati nel notare che Gaeta fosse già al centro dell'arena.
Gaeta lì notò come notò tutti quelli prima di loro, e quelli che seguirono, ma si rese conto immediatamente di come, con il loro arrivo, il ragionamento che aveva fatto sui due flussi che biforcavano nella scelta delle poltroncine, fosse giunto ad un ingorgo. E Ludovica e Martin con i loro stessi corpi ingombravano l'ingresso creando confusione ed accavallamento. Il loro non decidersi su quale direzione pendere stava creando una certa calca sulla porta, perché chi era dietro si trovava nelle condizioni di girare attorno alla pallottola di piume e foglie secche che continuava a vorticare su se stessa senza prendere il volo.
Gaeta guardava tutti raggiungere il proprio posto, e sorrise per un attimo alla scena, mentre Martin si rendeva conto, incassando una vertigine, che la prova che aveva d'avanti sarebbe stata più dura del previsto.
Eppure Martin, immaginando ed immaginando ancora il momento in cui avrebbe rincontrato Gaeta in aula, avrebbe giurato che il docente sarebbe arrivato come una furia, con gli occhi bruciati dall'ira ed avrebbe aggredito tutti con la sua superiorità fisica e mentale.
Ed invece Gaeta era fermo seduto sulla cattedra con atteggiamento tranquillo, quasi ironico, un po' dondolandosi in attesa di iniziare, decisamente consapevole del fatto che centinaia di occhi lo stessero osservando di sottecchi.
Martin era sicuro di percepire la vena ironica che animava ogni suo respiro, il suo divertimento nel tenere tutti in pugno con un carisma ed una potenza espressiva che gli veniva naturale. La dittatura di Gaeta era disinvolta, perché Gaeta non perdeva mai tempo ad ostentare la sua supremazia. Riusciva a lasciarla sottintesa, e con questo potere inespresso, intimidiva tutti, e la cosa pareva come sempre divertirlo in profondità. Come un felino che non estrae gli artigli, ma che li lascia immaginare. Martin, guardando il viso degli altri studenti, compreso quello di Ludovica, su cui, non poteva negarlo, notava anche l'effetto dell'attrazione erotica che provocava, capiva il vero senso del potere di Gaeta. E gli fissò per un attimo le dita che afferravano il taglio del ripiano della scrivania, e ne notò le nocche bianche e pensò a come era stato sentirsele strette addosso, ed ancora si sentì percorrere da un malessere che non riusciva a cancellare.
Ludovica scosse Martin, mentre lo tirava verso le prime file, ma Martin sembrava non volersi spostare di un millimetro, ancora spiazzato dal trovare Gaeta già presente e che stava assistendo alla scena.
― Martin!! Ti vuoi muovere?
― Ludo... io veramente...
Gaeta non guardava dalla loro parte, ma le loro voci gli arrivavano ben distinte su tutte le altre.
Martin aveva un nodo alla gola che non pensava sarebbe stato così grosso da ingoiare. Si sentiva talmente in difficoltà che il problema non era quale posto scegliere, ma se restare o meno nell'aula.
Guardando il vespaio di studenti che continuavano ad occupare i primi posti, Ludovica aveva perso la pazienza e non lasciava la presa sulla manica del giubbotto di Martin, nel tentativo di convincerlo a schiodarsi dalla soglia e dirigersi avanti.
― Cazzo Martin!! Hai detto che volevi arrivare più presto!!
― Ludo, ti prego... non gridare...
Martin aveva avuto l'idea di arrivare prima del solito, per sedersi con calma, in fondo, per avere il tempo di ambientarsi all'idea di rincontrare Gaeta. Voleva avere il tempo per sistemare le sue cose, aprire un quaderno, accasarsi su una poltroncina in fondo all'aula ed attendere solo che la lezione finisse. E voleva raggiungere quel se pur precario stato di equilibrio prima dell'arrivo di Gaeta. Voleva attendere che la calma gli giungesse nelle vene e nei polmoni a farlo sentire a proprio agio infrattato in ultima fila, prima di affrontare di nuovo il suo sguardo, la sua presenza, la sua essenza che ancora lo percorreva, nonostante i suoi tentativi di lasciarselo fuori dalla mente. Non aveva però dato la sufficiente rilevanza al fatto che Ludovica volesse assolutamente sedersi ai primi posti. La trovava inaspettatamente più tenace di quanto avesse previsto, e quindi si trovò nella condizione di non riuscire a contenere facilmente i suoi commenti ad alta voce. Non si aspettava che Ludovica si impuntasse in quella maniera, e per giunta in presenza di Gaeta. La cosa lo mandò totalmente in confusione, se ancora non lo fosse per il sol fatto che Gaeta fosse là davanti.
Il piccolo piano che Martin aveva escogitato dopo ore di riflessione per affrontare la prima lezione di Gaeta stava dannosamente crollandogli contro, perché Ludovica contropresa nel frangente di prendere una decisione in pochi istanti, aveva iniziato ad alzare la voce, e ad insistere ed a tirarlo dalla sua parte, verso le prime file, che velocemente si stavano riempiendo sotto i suoi occhi, e più Martin indugiava in preda ad una cecità bruciante, più Ludovica si agitava e calcava la dose.
― Martin!! Non farmi perdere la pazienza! Ma che ti prende stamattina! Prima dici che vuoi venire presto, poi che vuoi sederti dietro!!
Martin si liberò dalla sua presa con uno strattone e le afferrò il braccio altrettanto velocemente, e stringendoglielo più di quanto Ludovica si aspettasse, le si avvicinò immergendo completamente il viso fra i suoi capelli per nascondersi e per parlarle nell'orecchio.
― Cazzo Ludo! Non gridare!!
Gaeta intanto si era spostato alla finestra. Con le mani in tasca, fermo guardava fuori, dando le spalle a tutta la sala.
Martin le sibilava nell'orecchio frasi confuse, continuando a nascondersi dietro di lei ed eclissare al di là del suo profilo la sagoma di Gaeta, che era nera controluce e che a Martin parve incredibilmente magra ed allungata.
― Perché ti vuoi sedere dietro?!
― Ludo! Quando vuoi, sai essere davvero una rompicoglioni!
Martin si liberò dalla sua presa che nuovamente lo aveva serrato inchiodandolo ad una spiegazione che Martin non voleva dare. Per farla stare zitta, Martin dovette cedere, dirigendosi senza fiato verso i loro soliti posti, in seconda fila, dal lato del finestrone, e ad ogni passo che faceva, sentiva avvicinarsi l'orlo della fine del suo mondo.
Gaeta sentì che Martin si stava sedendo alle sue spalle, gettando in terra lo zaino, spazientito e in preda ad una confusione che era carica di ogni tipo di difficoltà e che gli era chiaramente percepibile anche senza voltarsi.
Se ne stava in piedi vicino alla grande vetrata, attendendo che i rumori in aula finissero. Respirava l'aria luminosa osservando le auto vorticare intorno all'isola dell'obelisco giusto di fronte alla finestra.
Ludovica aveva raggiunto Martin, gli si era seduta accanto e lo fissava senza parole, mentre tirava fuori il suo quaderno degli appunti ed una matita tutta masticata. Martin non la degnò di uno sguardo, mentre fino a qualche minuto prima salendo le scale, l'aveva baciata con delicatezza sul collo, poggiandole le mani sui fianchi e camminandole alle spalle.
Finché tutti arrivarono, e Gaeta si voltò. E Martin si sentì crocifisso contro i braccioli.
Gaeta guardò in viso i suoi studenti quasi li stesse contando come fossero una sua cucciolata, fissandoli un po' a caso. Ma quando arrivò all'altezza del posto prima di quello di Martin, si rese conto di quanto Martin non fosse in grado di reggere i suoi occhi, ed attese un attimo di più su Ludovica prima di guardarlo dritto dentro l'anima. Quella sua indecisione tolse a Martin ancora più il respiro, perché Martin l'aveva notata, e gli era sembrato un gesto ancor più sadico del sentirsi scandagliato a fondo, se pur per l'istante così breve di quella carezza d'occhi, ma talmente profonda e nera da farlo sentire male.
Gaeta lo aveva fissato per un frangente interminabile, e gli aveva sorriso con un sorriso che non sorrideva perché era rivolto a tutti, ma che a Martin era sembrata una smorfia di sberleffo. Martin si sentì bruciare dentro quando per la durata di quell'istante si sorprese nell'impossibilità di evitare di osservare i suoi denti nella frazione di secondo in cui Gaeta aveva sospirato, certamente misurando la vertigine che Martin non gli poteva nascondere.
Col fiato rotto, involontariamente Martin si mise una mano in tasca e ne estrasse il cellulare, lo controllò, lo rimise in tasca nuovamente, poi lo prese ancora, e ricevette da Ludovica un sonoro calcione sulla scarpa.
― ...se non la smetti subito... guada io...
Martin vide distintamente che lo sguardo di Gaeta era andato sui loro piedi, e si sentì svergognato ed ancora una volta chiuso in una situazione ingestibile. Non trovò di meglio da fare che spoltronarsi il più possibile, nascondendosi il viso con la mano aperta, facendo finta di schermarsi dalla luce per scrivere meglio. Sentiva sulla pelle la figura misera che stava facendo, al punto da non essere in grado neanche di stare in aula davanti a Gaeta senza sentirsi male, al punto da non riuscire neanche a guardarlo, al punto da doversi coprire il viso da tutto, e da lui, che in quel momento stava semplicemente respirando.

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