Capitolo 39 - III

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Ma in realtà il loro incontro nella calca della stanzetta durò solo pochi istanti. Gaeta vi era entrato per ritirare alcune dispense che stava preparando e dovendo fronteggiare il muro di corpi assiepati innanzi a lui e che riempivano totalmente l'ambiente, si era fatto strada chiedendo permesso e spostando qualcuno giusto il minimo per poter passare, ed aveva allungato un braccio sulle loro teste ed afferrato quello che gli addetti gli avevano preparato, per poi uscire e scomparire oltre la porta chiusa, senza lasciare traccia in fondo al corridoio.
Ma un solco profondo di sangue lo aveva inciso fra le scapole di Martin e sul suo fianco, nel cuore e nella sua mente ormai dilaniata dalla sorpresa dell'emozione cieca che lo assaliva alla sua sola presenza. Pensare nuovamente le mani di Gaeta poggiate su di sé era una sensazione ingestibile oltre misura. Il rinnovarsi della vertigine non faceva altro che fargli ritornare alla mente tutto l'infinito universo di folle emozione che provava al solo ricordo della sua stretta sul mento e della sua lingua che lo aveva accarezzato così profondamente, e tutto simultaneamente ritornava a galla e si mischiava in un'unica immagine d'emozione a ricordargli quanto fosse stato eccitante quel bacio inatteso, quella mano premuta fra le scapole, la pressione del suo corpo che lo schiacciava sul sedile in piena notte e da due momenti distinti la sua mente ne aveva creato soltanto uno, fatto dalla somma del dolore che provava anche solo a ricordare la sua presenza. E la sua assenza, forse ancora di più.
Per Martin era ormai inutile negarlo, la sua mente era stata del tutto invasa da Gaeta che la abitava a suo completo piacimento. Martin iniziava a rendersi conto che sarebbe stato inutile non ammettere l'esistenza della strada che stava imboccando, perché quell'eccitazione nuova ed incontenibile non sarebbe sparita sol per il fatto di essere ignorata.
In quella stanza, schiacciato contro gli altri ed in mezzo alla rumorosa confusione che lo faceva ondeggiare ed insieme lo sorreggeva nel gruppetto accalcato contro la fotocopiatrice, Martin cominciava a fare i conti con il fatto che la vicinanza di Gaeta fosse in grado di non farlo respirare, senza dargli modo di dire niente, di fermarlo, di affermare in qualunque modo una sua volontà non coincidente con ciò che Gaeta avesse già deciso. Martin non poteva non ammettere l'esistenza di un'attrazione immotivata che stava inevitabilmente scoprendo esistere dentro di sé, e che non riusciva a giustificare in nessun modo.
Accettare di provare attrazione per un uomo gli sembrava una verità impensabile. Eppure il fiume in piena di tremore ed eccitazione che ancora lo stava percorrendo non era cosa che potesse negare oltre a se stesso.
Era ancora assorto fra sé e sé e la propria disperazione, quando si rese conto di essere rimasto solo nella stanzetta degli uscieri, perché tutti gli altri studenti erano andati via ed in terra erano rimasti solo i suoi fogli, quelli che aveva fatto cadere poco prima, lievemente calpestati e gettati in disordine sul pavimento. Aveva entrambe le mani poggiate in avanti sulla macchina rimasta accesa e che ronzava lievemente, ed aveva i capelli riversi a coprirgli il viso, e stringeva fra i denti il bordo della felpa ormai totalmente inumidito. Si sentiva come se si fosse risvegliato da un brutto sogno, un sogno che lo aveva fatto sudare, che gli aveva incollato addosso i vestiti e che lo aveva eccitato sorprendentemente, cogliendolo con un'emozione talmente forte da non poter essere gestita in mezzo alla folla della facoltà, in un luogo come la stanzetta degli uscieri. Per tornare a respirare, aveva bisogno di tornare immediatamente a casa.
Non capiva cosa gli stesse succedendo. Non faceva che ripeterselo, ma non riusciva neanche a muovere un passo per uscire dal quel buco nel muro in cui era stato chiuso allo stretto, né aveva le forze e la voglia per raccogliere le dispense di Ludovica con la scritta 'Gaeta 2012' in prima pagina, né di pensare al viso di Ludovica così avvolto in una dolcezza lontana che gli spaccava altrettanto il cuore e che lo aveva guidato verso Lecce, che lo aveva fatto innamorare veramente, ma che al contempo gli aveva messo sul cammino un mostro a cinque teste come Gaeta, che senza neanche faticare troppo e sicuramente divertendosi oltremisura, gli stava sconvolgendo la vita quasi per gioco, con un comportamento che gli sembrava procedere a casaccio come tirando a indovinare.
Così si sentiva Martin, strappato da dentro nei passaggi di un gioco che Gaeta stava facendo e che forse lui aveva sollevato. Ma davvero così tanto si era sentito umiliato quel professore corroso di megalomania ed egocentrismo d'avanti ad un ragazzo ricco e che aveva avuto la colpa di possedere un auto costosa?
Con le mani ancora poggiate sulla fotocopiatrice Martin non era certo di quanto tempo fosse passato, ed in realtà non era neanche certo di cosa fosse appena successo. Perché c'era una remota ma anche molto probabile possibilità che tutto ciò che Martin credeva stesse succedendo, in realtà non stesse succedendo affatto. Che Gaeta, seccato ed offeso da Martin, lo avesse voluto provocare in un modo forse troppo esagerato, quello era innegabile, ma che poi tutto il resto fosse frutto della sua immaginazione e che l'effetto sconvolgente che Gaeta gli stava facendo fosse solo il frutto di una sua personale maniera di incassare il suo fascino, al pari di tutti gli altri studenti in classe. Tutto sommato, Gaeta aveva fatto una lezione regolare, si era recato nella stanza delle fotocopie ed aveva lottato un poco con la calca degli studenti per ritirare delle dispense. Tutto il resto avrebbe potuto essere solo il frutto della sua immaginazione per giustificare lo stato in cui era caduto da quando lo aveva conosciuto, poco tempo prima.
Ruotò lentamente su se stesso, poggiandosi con la schiena contro il muro. Si coprì totalmente il viso con le mani. Aveva paura a completare i pensieri che lo stavano attraversando senza pietà. E la domanda era solo una, difficile, dolorosa, impensabile, corrosiva, che gli prendeva lo stomaco a pugni: cosa importava quanto di tutto l'accaduto fosse davvero voluto da Gaeta, se il punto principale della storia era affrontare lo sconvolgimento interiore che Gaeta gli aveva provocato? Per il solo fatto di esistere, di averlo conosciuto, di esserne stato toccato, di essergli stato talmente tanto accanto da sentirsene ancora addosso il respiro, rimanere stritolato dal suo peso, o sbriciolato ad una sua leggerissima carezza. Il confine fra il vero ed il falso non esisteva, perché esisteva solo Martin con le sue dolorose insicurezze, con le sue domande confuse, e con le vertigini delle sue prime risposte.
Si tirò dietro i capelli come se volesse legarli con un elastico che non aveva, ma gli sfuggirono dalle dita, erano troppo corti. Continuò così per un po', a passarsi le dita quasi a pettinarsi, a fissarsi la punta delle scarpe da ginnastica, a meditare sui fogli di Ludovica che erano ancora in terra e che nessuno aveva ancora raccolto.
Mai come in quel momento accartocciarsi all'interno della felpa, sollevarne il bordo contro il mento, coprirsi le labbra e restare in silenzio in attesa che il mondo finisse gli sembrò l'unica cosa da fare. Non gli sembrava possibile riuscire ad uscire da quella stanza, affrontare tutto il resto del mondo che ancora non si decideva a finire, a sgretolarsi come polvere soffiata controvento.
Finché alla fine accadde il peggio, ed il mondo lo accontentò fermandosi di colpo.
Gaeta aprì la porta della stanzetta degli uscieri, sovrappensiero e certo di trovarla deserta, e sobbalzò a notare la figura sottile ed oscura di Martin poggiata contro la parete e semi seduta su un carrello porta carte.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora