Capitolo 44 - II

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Ma Martin non era riuscito a prendere sonno, e mentre Ludovica già dormiva pesantemente, si rendeva conto che non aveva nessuna possibilità di riuscirci. Pensò a Genio, che sicuramente era riuscito a trovare una sistemazione di fortuna da qualche parte, sicuramente non con Marika, ne era certo. L'immagine di Marika che mostrava alla Zorba come le cadesse addosso la mini che avevano scelto per l'assalto a Gaeta, un po' lo fece preoccupare. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi da tutta quella storia. Non riusciva a valutare l'entità dello scherzo, se fosse uno scherzo, fino a quanto si sarebbe spinto, se Gaeta avrebbe mai potuto considerarlo parte delle menti organizzatrici, in nome di una qualche forma di rivalsa. Totalmente sveglio nel letto di Ludovica, cercava di muoversi il meno possibile per paura di svegliarla, e trovarsi a chiacchierare in un momento in cui tutta la sua mente chiedeva solo di essere lasciata in pace, ed a riflettere sulle mille cose che stavano accadendo nella sua vita senza che Martin riuscisse a dedicarvi il tempo necessario per capirle.
Gaeta era ormai una presenza troppo ingombrante per poter essere ignorata. E Martin sentiva che da quando Gaeta gli aveva promesso che ogni cosa si sarebbe fermata, l'ingombro della sua figura nei suoi pensieri, le sensazioni rotte e impalpabili che lo assalivano e gli rimanevano sospese nel cuore e nello stomaco, cresceva a dismisura, proprio per il fatto di essere definitivamente assente.
Un senso d'oppressione lo assalì senza scampo, al punto da fargli sentire soffocante il peso della trapunta che lo ricopriva, così con una bracciata Martin si scoprì del tutto e lentamente scivolò fuori dal letto, per valutare il da farsi, se tornare a casa a quell'ora o rimandare la fuga a più tardi.
Nell'indecisione sul da fare, Martin era sgattaiolato fuori dalla stanza di Ludovica quando fu certo che in cucina non ci fosse più alcun rumore.
La casa di Ludovica sembrava abitata da un essere solamente, fatto dai mille corpi ed umori e voci dei suoi abitanti, che sembravano muoversi come gli sfilacci di un'unica medusa di stanza in stanza, rincorrendosi ed annodandosi l'un l'altro, e che difficilmente riuscivano a rimanere in silenzio, se non dormendo.
Era riuscito a richiudere la porta della camera di Ludovica senza che la ragazza si svegliasse. In corridoio faceva un po' freddo, quindi Martin si allungò le maniche della felpa fin oltre il polso, si portò alle labbra il suo ciondolo rosso, incassò la testa fra le scapole ed entrò in cucina, pensando di trovarla vuota. Ma accendendo la luce, a Martin venne un colpo, perché al centro della stanza, che ricordava un po' più ampia, c'era una ragazza seduta al tavolo, che sembrava cenare con tranquillità ed al buio, incurante che la luce si fosse accesa all'improvviso. Aveva i capelli rosso pastello a spirito, corti ed in disordine, e quel colore così vivo e vicino agli occhi senza preavviso contribuì a farlo sussultare maggiormente. La ragazza invece solo si voltò a guardare Martin e, riconoscendo chi fosse, scosse la testa.
― Accidenti che infarto! Scusami, non volevo disturbarti.
― No figurati, non disturbi, almeno fino ad ora.
L'espressione interrogativa di Martin sulla sua ultima affermazione gli fece dubitare se poter entrare o meno in cucina, o peggio, se fosse stato il caso di fermarsi.
La ragazza aveva davanti un barattolo di nutella che sembrava aver fatto le guerre puniche.
― Cerco giusto un po' d'acqua... posso?
Martin accennò ad aprire il frigo, che, dopo l'avventura con il tavolo da ribaltare ed ormai tornato al proprio posto, era rimasto posizionato insolitamente a coprire quasi del tutto una finestra.
― Fai come fossi a casa tua, perché sai, io invece... sono già a casa mia.
Martin era abbastanza sorpreso del tono insolito che quella sconosciuta stesse usando in piena notte per quella chiacchiera veloce e del tutto fortuita, e decise di sbrigarsi e di scomparire da dove era venuto, ma pensò comunque di presentarsi mentre apriva il frigo.
― Scusami, sono Martin, ...sono con Ludovica...
La ragazza lo guardò per un istante, e gli fece cenno di sedersi.
― So chi sei, sei più popolare della xylella.
Martin sorrise versandosi da bere.
― ...di cosa?
― Della malattia degli ulivi... guarda lascia perdere, storie lunghe.
A sorpresa la ragazza gli aveva chiesto di restare e quindi Martin si mise a sedere. Non aveva sonno, erano oltre le quattro e mezzo del mattino e dentro qualcosa di indistinto continuava ad agitarlo senza sosta. Non aveva senso ostinarsi a tornare in camera e rinfilarsi nel letto, nel letto di Ludovica.
― E... come mai mi conosci?
― Sei l'Automunito, no?
― Cosa? Ma che dici?
Martin scuoteva le spalle, ed era sempre più sicuro che della discussione con la sconosciuta che viveva al buio nella cucina di Ludovica gli stesse sfuggendo qualche cosa.
― Ehi bello! O che tu credi  che siano molti i giovanotti che a Lecce girano in Maserati?
Martin non sapeva se ridere o iniziare ad impensierirsi, era stato anche scimmiottato per il suo accento fiorentino, in un crescendo di ironia che non sembrava essere finito.
― Con quell'accento... mi sembri il presidente del consiglio.
― Originale come battuta, veramente. E comunque, è un amico di famiglia, gioca spesso a tennis con mio padre... almeno prima.
― Ah! Adesso dai possedimenti siamo passati al pedigree?
Martin si chiese cosa ci stesse facendo a quell'ora a dire scemenze con una sconosciuta che continuava a prenderlo in giro senza conoscerlo e che era evidentemente attraversata da manie di micrograndezza. Ma poi la ragazza scoppiò a ridere.
― Sei il ragazzo di Ludovica, quello che ha mandato in avanscoperta il Carcassa a sondare il terreno.
Anche a Martin venne da ridere, perché in tutto l'incomprensibile che la ragazza stava esponendogli, l'unica cosa chiara era che avesse conosciuto Genio, che era stato soprannominato il Carcassa.
― Mi dispiace se pensi questo... io non ho mandato nessuno qui da voi... solo è capitato... scusami, ma tu sei...
― Io sono Ele la Lupo, tanto piacere.
La ragazza gli allungò una fetta biscottata ricoperta perfettamente di nutella e gli sorrise. Martin la accettò, era un gesto decisamente di pace e quasi materno, nonostante il tono che avesse usato per parlare.
― Ah ah, sei la Priscilla Malcontenta della casa? Mi hanno detto di te!
La Lupo lo fissò di sottecchi con aria quasi di commiserazione.
― Al limite... Mirtilla... ti do un consiglio, non fare citazioni se non sei preparato.
Martin rise di cuore mantenendo basso il tono della voce, e si ricordò che qualcosa del genere gli era stata detta solo pochi giorni prima da Gaeta, quando aveva sbagliato il nome dell''Isola di Arturo', ed il pensiero di Gaeta in quel momento più che angosciarlo come al solito lo fece ridere di più.
― Abbassa la voce, non voglio si svegli nessuno... comunque, che ti hanno detto di me?
― Che sei un animale mitologico, che emergi di notte e che credi nei licantropi.
La ragazza lo guardò dritto in faccia.
― Chi te lo ha detto?
― Tutti. Ed a te chi ti ha detto che giro in Maserati?
La ragazza sorrise divertita.
― ...probabilmente le stesse persone.
Martin diede un morso rumoroso e sorrise alla strana conversazione che lo aveva colto di sorpresa nel pieno cuore della notte.
― In questa casa c'è la strana abitudine di dare soprannomi a tutti, persino agli oggetti, e certe volte i soprannomi si accorciano, o si allungano, ed alla fine rimane una parola che non sai più da dove arrivi... qui è tutto un casino.
― Così il mio amico è il Carcassa?
― Sì, ed anche a te ne hanno dato uno.
― ...ma che stai dicendo... neanche mi conoscono...
― Meglio, tu sei Munit... sai, Automunito era troppo lungo.
― Mai sentita una cosa simile, certo che in questa città...
― Anche la tua ragazza ne ha uno.
― Ah sì, e quale?
― Vergine Santissima.
Martin rise ancora, ma con un aria un po' perplessa.
― Bè, insomma...
― Infatti, da quest'anno è rimasto solo la Santissima.
Ancora risate di incredulità alla stravaganza dei fatti che stava scoprendo casualmente.
― Wow che notizia, domani la sfotto a sangue.
La ragazza annuiva in silenzio.
― Ha fatto notizia che la Santissima avesse rimorchiato uno come te, infatti sei stato battezzato l'Automunito quando lei ha cominciato a sminuire il fatto che ormai andasse normalmente in giro in Maserati.
― ... e, perché io non ne so niente?
― Perché la Santissima era contraria, non voleva che ti coinvolgessero in queste cose, si è arrabbiata molto.
La Lupo gli passò un'altra fetta con la nutella.
― Grazie, sei gentile.
― Di nulla, devo comunque ingannare il tempo.
― Perché, soffri d'insonnia?
― No, mi piace godermi il silenzio della notte, questa casa è un casino.
Martin la guardava esterrefatto, mentre lei un po' tirava su col naso e si aggiustava gli occhiali. Lo sbriciolamento infinito che ricopriva il tavolo e di cui era circondata sembrava riflettere il filo del discorso inesistente del loro incontro casuale.
― Vuoi del latte?
― Sì.
― Bravo, allora alzati e prendilo anche per me, ho smesso da tempo di servire qualcuno.
Ancora Martin rideva, e seguendo il gesto distratto con cui la Lupo gli indicò il frigo le obbedì senza fiatare oltre.
― ...non so, lo vuoi caldo? Penso di farcela.
― Davvero?
― Sì, ho le conoscenze adeguate per scaldarlo.
― Bene, allora procedi.
Con un sorriso di sorpresa stampato in faccia e scuotendo la testa, Martin prese un boiler dallo scolapiatti, lo riempì ed accese la fiamma, attendendo in piedi, poggiato contro la cucina che il latte iniziasse a fumare.
Tornò a sedersi con due tazzoni fa le mani, e quando lo passò ad Ele lei lo ripagò con un'altra fetta biscottata.
― Eh, hai capito, la Ludo. Bella e brava, timorata di dio e poi le amiche... le lascia secche e tutte con un palmo di naso portandosi a casa il carico da novanta.
Martin la fissò divertito, raramente in passato avrebbe lasciato correre una simile affermazione senza commentare.
― Tu non sai che cosa le hanno combinato quando si è sparsa la voce che tu esistessi veramente!
― Sì, un po' me lo ha raccontato.
― Senti, io non ti conosco, ma ti dico una cosa.
― Spara.
― Vacci piano con la Santissima.
― ...che vuoi dire?
― Non è un mistero qui in casa il fatto che, io e lei insomma... non siamo proprio amiche, siamo diverse... per esempio lei non crede nei licantropi... tu credi nei licantropi?
― Certo, sono sicuro che presto conquisteranno il mondo, emaneranno leggi e concordati, e scenderanno a patti con noi babbani.
― ...ricco e... smodatamente ignorante. Giuro che ti prenderei a schiaffi...
Martin rise a lei che sembrava averlo messo all'ingrasso, per come continuava a preparargli fetta dopo fetta. Passato lo spiazzamento iniziale, Martin non era infastidito dal suo tono sarcastico, e la ringraziò con un cenno.
― Dicevo, vacci piano. E' una brava ragazza, con un certo passato, non usarla per divertirti.
― ...perché me lo dici? Neanche mi conosci.
La voce di Martin ebbe un cedimento, che subito si confuse con l'incertezza di tutta quella discussione.
― Infatti. Ed appunto mi chiedo... perché sei qui a riscaldarmi il latte?
Martin rimase senza risposta, guardando le tazze e subito dopo l'orologio, erano quasi le sei del mattino.
― ...tu mi hai ricoperto di biscotti...
― Senti questo! Biscotti? Sono fette biscottate e senti me... se non ne capisci la differenza... dentro di te qualcosa non quadra.
Martin rimase a guardarla, e precisamente in quel momento, all'improvviso la ragazza aveva deciso di avvitare velocemente il vasetto di Nutella, alzarsi, conservarlo quasi nascondendolo in un ripostiglio dietro una scatola di sapone per i piatti ed uscire dalla stanza.
― Notte Munit, domani la Lupo lavora.
― Che lavoro fai?
― Ma che simpatico... e che vuoi che faccia?
La Lupo uscì dalla cucina continuando a parlare sottovoce, ma Martin non riuscì a capire cosa gli stesse rispondendo.
Rimase al tavolo seduto da solo, con le mani impiastricciate, le briciole sparpagliate davanti agli occhi, con in bocca il sapore del latte misto alla nutella ed il pensiero di Gaeta che gli scoppiava nel cuore, e pensò che in quel momento avrebbe voluto solo essere nel suo appartamento, nel suo letto, e non in quella casa. E forse la Lupo nel distinguere fra biscotti e fette gli aveva fatto notare che una cosa è credere, e vedere, che qualcosa esista, ed un'altra è farne parte veramente.
Martin in quella casa era un ospite, la sua mente era altrove. Qualcosa si era rotto fra il suo corpo e tutto il resto del mondo, e nonostante l'allegria, la follia, la voglia di mischiarsi a loro ed a quello che avrebbe voluto che la sua vita fosse, Martin aveva creato un doppio fondo di verità che inevitabilmente lo stava allontanando dalla luce che illuminava tutti gli altri.

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