Capitolo 38 - I

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Il rumore viscido e solitario della zip con cui Gaeta aprì la sua borsa diede un brivido a Martin e lo fece tornare presente a lezione, distraendolo dai suoi pensieri faticosi. Gaeta stava sistemando delle cose all'interno, totalmente concentrato su cosa cercare. Finalmente la lezione sembrava prendere inizio, e Martin pensò che per fortuna stesse iniziando quando già cominciava a sentirsi meglio. Ormai il ghiaccio del primo incontro era rotto, e Martin capiva di esservi sopravvissuto.
Nell'osservare Gaeta frugare fra le sue cose e provare il tratto di alcuni pennarelli, Martin non poté fare a meno di chiedersi se tutto quanto non fosse stato frutto della sua immaginazione. Avrebbe giurato di incontrare un uomo feroce e pronto a farlo a pezzi e per tutta la giornata appena trascorsa ne era stato certo, come certo era stato del fatto che qualunque atteggiamento avesse scelto di sostenere Gaeta, lui ne sarebbe stato la vittima indiscussa.
Ed invece Gaeta, con un fare abbastanza indifferente aveva atteso che tutti si sedessero al proprio posto per dare inizio alla sua lezione, all'insegna della normalità più assoluta.
Anche Martin prese fra le dita una penna, pronto come tutti gli altri studenti che continuavano ad osservare il professore che, sfogliando un libro di versi, sembrava indeciso su quale pagina soffermarsi, e niente di più. E fu a quel punto che a Martin venne il dubbio che qualcosa non tornasse, che i suoi conti non stessero tornando come avrebbero dovuto, e come però lui non avrebbe voluto mai tornassero.
E se tutto fosse stato il frutto di un enorme malinteso?
La lezione iniziò mente Martin rimase sorpreso da quel pensiero spiazzante. C'era la seria possibilità che Martin stesso fosse incappato sulla via di Gaeta in una serata no. Forse l'episodio nell'auto di Gaeta, il bacio che neanche con le giuste precauzioni mentali riusciva a ricordare senza rinnovare la vertigine, quel bacio era totalmente da ascrivere ad una indicibile quantità di alcol che entrambi avevano bevuto senza ritegno, piovuta a fiumi su un'indole come quella di Gaeta, che forse non aveva tollerato di scoprire di aver dato un passaggio ad uno studente per accorgersi poi che quel giovane possedesse un'auto sportiva costosissima parcheggiata fuori dal locale.
L'atteggiamento di Martin, accondiscendente fin dall'inizio della serata, le battute sui cognomi, potevano averlo talmente umiliato, anche socialmente, al punto da provocare una simile reazione? Non era del tutto improbabile. Da un soggetto talmente egocentrico e forte della propria forza, ogni reazione spropositata e fuori dalla logica comune sarebbe potuta essere possibile.
Probabilmente anche l'aver cancellato la lezione del giorno dopo all'episodio che gli stava sconvolgendo i pensieri poteva aggiungersi come ulteriore combinazione, anche questo... perché no? Magari poi tanto combinazione non era, visto l'alcol passato sotto i ponti magari ne era stata una causa e poi... non sarebbe stato possibile che neanche Gaeta ricordasse bene cosa fosse successo... Magari era stato solo Martin ad aver memorizzato i fatti con tanta precisione sulla propria carne, ad avergli dato tutto quel peso, e quella gravità... magari era stato un momento di delirio fra tanti, come quando aveva visto Gaeta sprofondare fra i suoi amici al Camelot in preda alle esagerazioni di ogni tipo e ad ogni tipo di palpeggiamento, in fondo al locale. Forse quella era la normalità di Gaeta, esagerare, e quella volta, c'era accidentalmente capitato lui di mezzo.
Infatti tutto a lezione iniziava a procedere nell'assoluta normalità, e Martin continuava ad essere immerso nei suoi pensieri per cercare di rimettere insieme i fatti, che finalmente, dopo quasi due giorni di sofferenza, d'avanti a Gaeta che con calma estrema si rivolgeva ai suoi studenti, gli sembravano avere più senso se montati in quell'ordine e significato.
Martin guardava Gaeta che fra le mani reggeva un libro, alquanto sottile ed aveva iniziato a scorrerne qualche riga in silenzio, accosciandosi in terra con la schiena contro il muro giusto sotto l'affaccio del grande finestrone spalancato e che Martin vedeva al lato destro della cattedra.
Come ogni volta in cui Gaeta faceva qualcosa di particolarmente anticonvenzione, i brusii avevano iniziato ad animare l'aula, quasi tutti stavano commentando l'insolita postura del docente, che al posto di rimanere seduto in cattedra, trovata ormai quasi superato anche sedercisi sopra.
Martin iniziò a pensare che la tranquillità con cui Gaeta stesse affrontando la lezione fin dal suo arrivo con Ludovica fosse la netta ed evidente prova che tutto il viaggio infernale che aveva conosciuto negli ultimi due giorni fosse frutto della sua immaginazione. Un bacio, c'era stato un bacio... un bacio sconvolge, ma forse era stato solo una provocazione, come ogni cosa che avesse a che fare con Gaeta.
― Ragazzi... chi se la sente di leggere?
Gaeta si era alzato di colpo in piedi e stava procedendo verso la prima fila porgendo il libro in avanti.
Già qualcuno si era proposto, e stava tendendo la mano per afferrare il testo. Martin finalmente si stava rilassando, perché pensò che se Gaeta avesse voluto davvero ucciderlo in quel momento avrebbe potuto chiedere a lui di leggere senza troppi complimenti, e quasi iniziava a ridere di se stesso e dell'esagerazione emozionale che aveva messo in piedi.
D'altro canto poi... quante volte gli era successo di strizzare l'uccello a Genio? Un infinità di volte, e per milioni di motivi, ed anche Genio ci aveva dato spesso dentro su di lui. Una volta aveva persino tentato di fargli una sega, mentre era ubriaco, nel giardino di casa sua, quando alcune ragazze non gli si scollavano di dosso e Genio pur di non essere isolato gli si era buttato contro nel tentativo di sfilargli i boxer. Per quanto tempo ci avevano riso? Per mesi e mesi incontrando quelle stesse ragazze in giro Genio gli si era gettato addosso rinvigorendo l'amore che avrebbe potuto esserci fra loro...e che invece non fu. Ogni volta Martin se l'era tirato via a colpi di parolacce e spintoni mentre se la ridevano felici nell'osservare le facce seccate delle tipe per la loro demenza infantile. Poteva dire di conoscere il pisello di Genio come sicuramente Genio avrebbe potuto dire del suo. Martin sorrise apertamente coprendosi il viso con una mano, e più ricordava l'amico sventrato a terra nel guardino di casa e coperto di patatine sbriciolate e più si rese conto che tutta quella situazione con Gaeta si era spinta un po' oltre.
Ludovica notò che stesse sorridendo, e si piegò a guardarlo meglio. Martin le fece un cenno che tutto fosse a posto.
Non era il caso di farne un caso grave, mentre Gaeta procedeva nella sua normalità a svolgere una lezione, fra le prime dell'anno.
Martin tornò serenamente a prestare attenzione alla voce di qualcuno della prima fila che leggeva il libro che Gaeta aveva passato, mentre altri prendevano appunti, ed altri ancora controllavano i messaggi del cellulare.
Ludovica allungò una mano di lato e strinse quella di Martin, e Martin al suo contatto sobbalzò tornando improvvisamente presente accanto a lei. La guardò sorridere, felice di rivederlo star bene, mentre si raccoglieva i capelli dietro un orecchio e con l'altra mano scarabocchiava qualche appunto. Martin si sporse in avanti avvicinandosi, per parlarle in un orecchio.
― Sei così seria, sei bellissima.
Ludovica sorrise di più, continuando a scrivere senza alzare gli occhi dal foglio.
Martin la vedeva leggermente in controluce, ed il biondo dei suoi capelli sembrava inscurito dalla vetrata in piena luce. Era sicuro di amarla veramente, per la tranquillità che gli trasmetteva, per i suoi modi dolci, e per la sua bellezza, certamente anche per quello, ma non solo. Perché delle tante ragazze che aveva avuto, con cui si era divertito, con cui aveva imparato ogni cosa provando e riprovando, senza avere mai scrupoli o ripensamenti, solo Ludovica gli aveva trasmesso la voglia di averne solo una.
Per un attimo ripensò alle storie più folli che gli erano capitate e forse, quella della ragazza che gli faceva una sega mentre inseguivano il pullman della gita scolastica, si piazzava bene.
― A cosa pensi?
Ancora tornò di soprassalto con la mente accanto a lei. Le sorrise senza risponderle, non poteva risponderle, e la cosa lo fece sorridere di più.
In quel momento, chi leggeva smise di farlo, ed un lungo silenzio avvolse tutti i presenti in aula. La mano di Martin stringeva saldamente quella di Ludovica, ciondoloni fra le loro sedie.
― Allora. Chi se la sente di commentare?
Gaeta chiedeva agli studenti di intervenire sui versi appena letti. Dalle ultime file si alzò una voce femminile, che quasi sbeffeggiando la domanda appena posta, prese la parola, ma senza alzarsi in piedi.
― Ma perché ci chiede sempre se ce la sentiamo di fare questo, o quest'altro? Non siamo qui per caso, certo che ce la sentiamo, sia di leggere che commentare, che qualunque altra cosa lei voglia.
La battuta gelò la sala. Qualcuno ridacchiò, qualcun altro voltandosi all'indietro cercò di capire chi fosse stato a sfidare apertamente Gaeta sul suo terreno, mente Gaeta, tranquillamente andò a sedersi sulla cattedra guardando dritto innanzi a sé la distesa di visi silenziosi.
― Chi ha parlato?
Nessuno si mosse, né tanto meno alzò la mano.
― Bé, se qualcuno ha avuto le palle per dire una cosa simile... dovrebbe almeno dimostrarmi che 'se la sente' di metterci la faccia.
Ancora nessuno, mentre tutti si dimostravano alquanto nervosi, quasi pronti ad incassare una rappresaglia che avrebbe colpito tutti.
Gaeta passava in rassegna un po' tutti i visi, ma a Martin parve di essere stato saltato, probabilmente perché Gaeta cercava il viso di una donna, ed in fondo. Non il suo.
― Nessuno 'se la sente' di rispondere?
Nessuno.
― Ragazzi, non sempre il silenzio è la risposta giusta.
Inavvertitamente Martin tremò, il tono che Gaeta aveva usato gli procurò ansia, e fu costretto a lasciare la presa sulla mano di Ludovica, per non farle sentire il brivido che lo stava attraversando. Bastò l'allusione all'idea che il silenzio fosse una cattiva tattica difensiva per riaprire dentro Martin la piaga che aveva nel cuore, e che pensava di non avere più.
Il ricordo del suo rimanere in silenzio accanto a Gaeta, in balia di ogni suo gesto, già solo bastò a risvegliargli dentro il dolore che pensava di aver cancellato con il ragionamento di poco prima, un movimento delle viscere che decisamente non si aspettava. La sua anima accusò un colpo talmente forte che non riuscì a mantenere lo sguardo in avanti. E mentre ancora non riusciva a riconquistare un ritmo tranquillo nel respiro, nel silenzio in cui era piombata l'aula, Martin si accorse di come gli occhi di Gaeta fossero fissi su di lui ad assistere al nuovo terremoto cerebrale di cui, Martin in quel momento se ne rese conto, Gaeta era certamente consapevole di avergli scatenato dentro. E più Martin cercava di sfuggire al suo sguardo insistente, più Gaeta quella volta non allentava la presa, e lo inchiodava forte contro la poltroncina su cui era in quel momento seduto Martin esattamente come aveva fatto in auto contro il sedile. Con la potenza del suo sguardo di fuoco, sembrava spingerlo all'indietro e tenerlo immobilizzato, senza che quasi Martin riuscisse a respirare. Finché a Martin quasi mancò il fiato e fu costretto a guardare in basso, e si rese conto che quella era stata la sua salvezza a differenza della sera in auto, perché Gaeta con la sua sola forza dello sguardo, non avrebbe potuto mai costringerlo ad alzare il viso afferrandolo per il mento, con quella presa decisa che ancora si sentiva addosso come fosse stata stretta su di lui in quel momento, là d'avanti a tutti, d'avanti a Ludovica, in piena classe. Un morso quasi di fame lo prese e non lo fece ragionare, mentre ancora Gaeta non si decideva a guardare altrove.
Ma dove erano finite le splendide teorie di poco prima? Erano durate giusto il tempo della lettura di qualche terzina, che già Gaeta era rientrato nella sua carne. Martin non sapeva che pensare, e come fare a continuare a respirare, perché aveva esaurito ogni risposta accettabile che potesse darsi.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora