Capitolo 47 - II

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― Eh, cosa ci faccio io qui...
Genio fissò Marika e per un istante ebbe la tentazione di fare una follia, di dichiararle il suo amore in ginocchio, di buttarla sul teatrale, perché tanto, peggio di così? E già pensava a quanto ci avrebbero riso negli anni a seguire, lui e Martin a ricordare come si fosse gettato alle caviglie della gnocca seminuda in prima fila e che quasi aveva perso le mutande per un vecchio... Genio avrebbe voluto farlo anche solo per ridere con Martin. Ma gli aveva promesso di mantenere un certo contegno, e dunque cambiò idea per andare più sul leggero ed indolore.
― ...eh... stavo giusto dicendo che... sono con lui. Lo accompagno in giro...
Gaeta aggrottò la fronte, davvero impaziente di sentire i dettagli, mentre invece Genio, convinto di aver dato spiegazioni sufficienti, già si guardava intorno per capire come gestire l'emergenza lavagna. Ma Gaeta non sembrava voler allentare la presa.
― Ma qui, non siamo in giro. Siamo a lezione.
Genio ebbe la risposta pronta.
― Sì, ma... è da qualche giorno che non sta molto bene... ed io lo accompagno... quando esce di casa... ma anche in casa... tipo in cucina... e stamattina non ha neanche voluto fare colazione...
Martin si sentì sprofondare in un baratro di moquette turchese verso l'inferno nel sentire Genio confessare a Gaeta del suo malessere accecante, cominciato da qualche giorno e del quale sicuramente Gaeta avrebbe potuto fissarne la data, e l'ora, d'inizio. Ma per quale motivo Genio stava parlando delle sue cose, della loro vita in casa? Precipitando in libera caduta nella vergogna più dolorosa, scivolando dentro un pozzo levigato e senza appigli, Martin non riusciva a trovare la forza per rimettersi in piedi e tornare a guardare Gaeta ancora una volta divertirsi a sue spese. Ma quando Martin lo fece, gli parve però che Gaeta avesse perso dagli occhi il piacere dello scherzo. Fissava Martin essere trasparente, Martin che non riusciva a nascondergli niente e che gli faceva prendere il fegato a morsi all'idea di non poterlo aiutare in nessun modo, ma anzi, che stesse continuando a soffocarlo tenendogli la testa sott'acqua, ed affossandolo nella difficoltà emotiva di non reggere oltre.
Genio pur senza volerlo, ci era andato pesante confermando a Gaeta quanto Martin stesse male, mostrandogli gli effetti di uno stato d'animo confuso con il quale stava combattendo da giorni, e che non avrebbe mai dovuto uscire dall'intimità della sua stanza, o della sua mente, o peggio della sua anima. Genio invece, tirando un po' alla cieca aveva scoperchiato una verità che avrebbe dovuto rimanesse solo sua. Benché chiaro che Gaeta ne fosse già a conoscenza, sentire Genio sottoscriverlo, diede a Martin un dolore incontenibile che iniziò ad iniettarsi nella sua muscolatura, spezzandogli le ossa delle gambe.
Riuscì per un attimo ad alzare gli occhi verso la cattedra, ma poi si perse nel mare di confusione che gli soffiava nel cervello. Ludovica gli si era seduta accanto, e gli strinse un braccio scuotendolo leggermente. Martin sembrava assorto in altre storie, in altri luoghi, ed allo strattone che sentì, si girò verso di lei, e fu felice di vedersela accanto, con l'oro fra i capelli, il viso sereno, le labbra rosa che sapevano di ciliegia. Senza Ludovica accanto, Martin non era sicuro di poter superare quel momento. Senza Gaeta al centro di ogni suo pensiero però, Martin sapeva che ormai avrebbe solo potuto sopravvivere.
Rimasto in piedi fra di loro, Genio solo pensava alle cosce di Marika, vivendo le domande di Gaeta come un fastidioso intermezzo alla visione delle sue gambe incrociate a cavalcioni, chiuse e serrate all'ingresso dei suoi occhi indiscreti. E per come Gaeta gli sembrasse poco interessato, Genio ebbe quasi la certezza che Gaeta lo avesse piazzato là davanti per dare una lezione alla sfacciataggine di una studentessa, per farle terminare il teatrino che aveva messo in piedi, dopo averlo testato e regalato ad un altro spettatore.
Nuovamente colpito dall'aria affranta di Martin, Gaeta passò a Genio un pennarello e gli chiese senza altri troppi giri di parole di copiare sulla lavagna i titoli di alcuni testi elencati su un foglio e tornò a sedersi sulla cattedra ma dal lato opposto del suo solito, guardando Genio innanzi a sé scrivere in un silenzio rotto solo dal sibilo del feltro contro la superficie lucida della lavagna.
L'ora a disposizione di Gaeta era finita da qualche minuto, le ultime file iniziavano a scapitare, ma nessuno osava alzarsi ed aprire la porta prima che fosse come sempre Gaeta personalmente ad aprirla. Gaeta invece era rimasto a studiare la sagoma di Genio, in tutto lo splendore della sua mediocre figura vista di spalle, e quasi percepiva la loro amicizia, che li aveva uniti al punto da farli partire insieme e dividere una casa. Immaginava la loro quotidianità, gli scherzi, le colazioni all'alba, le storie di ragazze e pensando a quella seduta vicino a Martin, immaginò il suo arrivo fra di loro a modificare i termini della loro relazione. Su Genio Gaeta leggeva la vita di Martin e la dolcezza dei dettagli indescrivibilmente parte della loro età e che col suo comportamento lui stesso stava mettendo in crisi, e gli tornarono in mente per un attimo alcuni ricordi veloci di quando lui era stato studente e le follie che si potevano fare per sentirsi vivi e felici. Ma nonostante ciò, Gaeta non riusciva a trovare un freno a se stesso, e Genio era talmente pieno di Martin che Gaeta poteva quasi sentirne d'odore, mentre gli guardava le spalle ed i lievi movimenti mentre scriveva. Il ragazzo che aveva d'avanti era una pagina importante della vita di Martin e già solo per questo, ogni dettaglio della sua immagine non poteva non attrarre tutta la sua attenzione.
Sovrappensiero e perso fra i propri eccessi, ad una ragazza temeraria che si alzò per prima, Gaeta fece cenno di aprire la porta, e nel giro di pochi minuti l'aula si svuotò quasi del tutto.
Genio finì di scrivere, poggiò pennarello e foglio sulla cattedra accanto a Gaeta e, dondolando da un piede all'altro e battendo leggermente le mani fra di loro, rimase in attesa di altre indicazioni, che però tardarono a venire a tal punto, da fargli decidere di rompere il silenzio facendo un segno verso la lavagna.
― Ehm... cos'altro devo scrivere?
Gaeta sorrise divertito dandosi un colpo sulle cosce prima di alzarsi dalla cattedra.
― Mah... non so... faccia lei... in classe non c'è più nessuno... può lasciarci il vostro indirizzo di casa.
Ludovica rise, ed anche Martin lanciò un colpo di tosse che si aprì in un sorriso rivolto al pavimento, al pensiero di quando Gaeta lo aveva riaccompagnato a casa nel dormiveglia confuso al punto di non riuscire a ricordarsi il nome della via.
Ormai erano quasi tutti usciti, ma Genio, invece di raggiungere Martin, si avvicinò a Gaeta con aria costernata ed iniziò a dirgli qualcosa. Martin li guardava parlare sottovoce, o meglio guardava Genio parlare con la sua solita concitazione, anche se un po' più moderata del solito, mentre Gaeta lo ascoltava senza fiatare. Ad un certo punto Genio fece un cenno verso Martin e Ludovica, ed anche Gaeta si voltò a guardarli per un istante, che a Martin sembrò interminabile. Non riusciva ad immaginare come mai Genio avesse avuto l'impellente bisogno di fare due chiacchiere riservate con Gaeta.
L'aula continuava a svuotarsi, ed ancora seduta era rimasta Marika, fermamente convinta che Gaeta si stesse trattenendo per restare solo con lei, e dunque non si era spostata di un millimetro, attendendo con aria vittoriosa, che tutti gli altri finalmente andassero fuori.
Quando Genio finì di parlare, Gaeta sorrise leggermente scuotendo la testa.
― Non si preoccupi, stia sereno, vada in pace.
Con il viso divertito Gaeta gli strinse la mano, dandogli una pacca sulla spalla con l'altra.
― Però adesso sparisca velocemente, e si porti dietro l'allegra famigliola che la attende là in fondo.
Ed ancora sorridendo fece cenno a Martin e Ludovica di uscire quanto prima.
― Mentre lei signorina... vorrei che restasse qualche istante.
Marika guardò velocemente Ludovica con il trionfo negli occhi, seduta sulla sua poltroncina come sul trono di una favola. Col solito modo che Ludovica aveva di afferrare Martin per il lembo di una manica e tirarselo dietro, il gruppetto sfilò verso la porta, passando davanti a Gaeta che li seguì con lo sguardo, sentendo l'aria spostarsi ed investirlo al loro passaggio. Ludovica, nascosta dietro Martin che invece camminava quasi radente a Gaeta, quando fu vicino a Marika le fece qualche gesto scambiando con lei frasi fulminee gettate sottovoce. E mentre le due ragazze reciprocamente si esibivano in segni di incitamento ed urli senza voce, Martin passando accanto a Gaeta, sentiva scorrersi addosso la sua presenza radioattiva, il suo odore, il suono del suo respiro, il suo sguardo che riuscì ad incrociare per un istante nel momento in cui gli fu vicino, lo sguardo con cui Gaeta sapeva quasi toccarlo, e fu un istante brevissimo a cui seguì subito dopo la scia quasi come di una carezza fatta con gli occhi e che si trascinava sulla pelle del viso, sulla tempia, per poi passare fra i suoi capelli come dita, e scomparire nel vuoto alle sue spalle.

Tre maggiore di dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora