Andai in cucina per andare a prendermi un bicchiere d'acqua, potevo sentire mia sorella cantare a squarciagola in camera sua. Non potevo neanche ricordarmi l'ultima volta che avevamo parlato e mi dovevo chiedere se sapesse di Aiden e me.
Aprii il rubinetto per riempirmi il bicchiere d'acqua e mi sedetti al tavolo per scrutare le luci della città in lontananza. Le luci ballavano. Presi un sorso quando sentii la porta d'ingresso aprirsi e subito la voce squittente di mia madre travolse le stanze.
«Non ti credo, George. Sono settimane che-»
«Che cosa? Cosa, Marta?», la interruppe mio padre e sentii la porta chiudersi alle loro spalle.
Mi alzai in piedi per andare a salutargli, non volevo stare a sentire i loro litigi. Forse, dopo quei due giorni, lei si era calmata e avrebbe ragionato a proposito dell'università. Anche se andrai alla UCL?
«Sei paranoica», continuò mio padre.
«Io paranoica? Cos-»
«Ciao mamma. Papà», li salutai timidamente non appena scorsi l'angolo. I due neanche si erano accorti di me, ma ora si zittirono per guardarmi perplessi. L'espressione di mia madre divenne di colpo più seria.
Lanciò uno sguardo omicida a mio padre prima di farmi cenno di seguirla di sopra. Stavo già iniziando a sudare ma la seguii in silenzio. Cosa era adesso? Aveva deciso di vendicarsi e chiudermi nella mia stanza a vita? Bè, di certo non è più tranquilla di due giorni fa...
Lo capivo dal modo in cui muoveva i fianchi in modo eccessivo. La seguii per arrivare in camera dei miei genitori e io mi fermai sotto la cornice della porta mentre lei prese un foglio del cassetto.
«Cosa-»
Si schiarì la voce per iniziare a leggere, ignorandomi. «Cara mamma, non vedo l'ora di domani. Katy mi ha detto che la Columbia è l'università più bella al mondo e che solo le principesse vengono ammesse. Tu ieri hai detto che io sono una principessa, questo vuole dire che ci andrò? Spero proprio di sì, perché è sempre stato il nostro sogno mamma! Mi accompagnerai tu a scuola ogni giorno, ver- sai che cosa è questo?», sbraitò, interrompendosi di colpo nella lettura.
Io ero rimasta a bocca aperta ad ascoltare quelle parole che avevo scritto a dieci anni, dopo una gita che avevamo fatto a New York. «Sì- sì che lo so», balbettai confusa.
Mi ricordavo di aver scritto quella lettera a mia madre perché sapevo quando le piaceva quando scrivevo lettere, e sentii la nostalgia a quelle lettere. Nostalgia del rapporto che avevamo sempre avuto.
Mia madre ripiegò il pezzo di carta con rudezza e lo rimise nel cassetto. «Il signor Houston ci ha detto che ti ha procurato un colloquio col rettore della UCL domani sera, è vero?», mi chiese irritata.
Mi bloccai: non ero pronta a parlare della cena con mia madre, nonostante avevo sempre saputo che presto le avrei dovuto dire la verità.
«S- sì è vero, mamma», mormorai dispiaciuta.
Vidi gli occhi di mia madre velarsi e d'istinto sentii pure i miei farlo, non sopportavo vederla piangere. Era successo solo due volte e ogni volta mi sentivo il mondo cadere a addosso. Ma lei tirò su col naso per controllarsi.
«Non vuoi andare alla Columbia?», mi chiese seria e incrociò le braccia. «Non mentirmi, Juliet, perché lo capirei. Preferisco che tu sia sincera con me.»
Non capivo il suo comportamento: non mi aveva detto che non avrebbe pagato per la Columbia ad ogni modo? Questo voleva significare che non era seria quando l'aveva detto?
Non voglio andare alla Columbia? Sapevo benissimo la risposta, ma la paura di ammetterlo ad alta voce mi bloccava le parole in gola. Eppure mia madre me lo lesse in faccia, incupendosi.
«Mi dispiace, mamma. So quanto è importante per te, ma-»
«Ma cosa? Hai deciso di ascoltare quel-quel ragazzo? È stato lui a convincerti vero?», esclamò, di colpo di nuovo infuriata. Abbassai intimidita lo sguardo sulle punte dei miei piedi.
«No, mamma», ribadii piano. «È stata una decisione mia. Vorrei poterti dare due motivi chiedi, ma... non te lo saprei dare.»
Aiden non c'entrava nulla o per lo meno con il mio cambiamento d'idea riguardo alla Columbia. E almeno credevo. Come potevo rispondere? Ultimamente non capivo nulla, tanto meno perché pensassi quel che pensavo o provavo quel che provavo.
Ero solo certa che andare alla Columbia non mi avrebbe reso felice come lo avrebbe fatto andare in Inghilterra. Mi aspettai che mia madre continuasse a provare a farmi sentire in colpa urlando, ma invece abbassò il capo e si fece cadere sul letto con un sospiro.
«Vai a dormire, che domani hai scuola», sussurrò a mezza voce.
«Non-non vuoi parlarne?»
«No. Non stasera. Buonanotte.»
Io non sappi se preoccuparmi o essere sollevata. Per non rischiare le diedi la buonanotte per poi uscire.
Cosa doveva significare? Che mi avrebbe permesso di andare alla UCL? E pure pagato gli studi? Sinceramente non aveva detto nulla di tutto quello, ma la conoscevo abbastanza per sapere che mia madre non era una donna irrazionale.
Percorsi il mio corridoio per dirigermi verso la mia stanza, volevo solo chiamare Aiden per raccontargli di quello che era appena successo. Quindi lo sto davvero facendo? Andrò a studiare in Inghilterra con il mio ragazzo?
Arrivata in camera mi chiusi la porta alle spalle per buttarmi di pancia sul letto. Sapevo che non avrei dovuto perché mia madre avrebbe avuto difficoltà ad accettarlo, ma mi sentivo stranamente sollevata.
Non sapevo cosa fosse: forse l'idea di poter incominciare da capo in un altro paese o la consapevolezza di avere qualcuno da poter chiamare per raccontare tutto.
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Anarchia
FanfictionJuliet Browne. Una studentessa modello e con una passione per il dibattito e la letteratura. Quando si trasferisce insieme alla sua famiglia a Los Angeles è convinta che la sua vita sia sempre stata perfetta; un futuro brillante e degli amici tranq...