Juliet Browne. Una studentessa modello e con una passione per il dibattito e la letteratura.
Quando si trasferisce insieme alla sua famiglia a Los Angeles è convinta che la sua vita sia sempre stata perfetta; un futuro brillante e degli amici tranq...
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Notai il modo perplesso con cui mia madre li osservò. Se c'era una cosa che aveva sempre odiato mia madre erano i tatuaggi e i piercing.
«Allora ragazze. Come vi trovate finora a scuola?», ci domandò con interesse in signor Houston.
Emma borbottò qualcosa di incomprensibile. Abbozzai un sorriso, alzando lo sguardo dal piatto sotto di me sul signore: «Molto bene. Sono stati tutti subito molto amichevoli. Sto pure cercando di fare ripartire il club di dibattito.»
Fred spalancò colpito gli occhi. «Il club di dibattito? Vedo che sei una ragazza ambiziosa. Perché questo interesse?»
Si voltarono tutti sorpresi verso di me. Potevo sentire lo sguardo del ragazzo seduto di fronte a me bruciarmi sulla pelle.
Perfetto, adesso pure lui potrà prendermi in giro.
Mi schiarii la voce: «Bè, a Boston ero capo del nostro club di dibattito.»
«È vero. La nostra bambina è sempre stata brava in quel tipo di cose», si intromise mia madre con un ché di fiero. Mi sorrise in modo forzato. In realtà non aveva mai apprezzato il mio amore per quel campo.
Mio padre riprese l'attenzione del signor Houston, iniziando a parlare di altre cose. Così mi rivolsi nuovamente con lo sguardo fisso sul mio piatto.
Passai gran parte della cena in modo piacevole; Fred continuò a farmi spesso delle domanda su di me alle quali rispondevo con piacere. Mio padre sembrava davvero tranquillo come mia madre. Emma aveva parlato solo con Gabriel, anche se sapevo che tutto quello che voleva era allacciare un discorso con Aiden.
Quest'ultimo, capii, rientrava perfettamente nella categoria dei ragazzi dannati; era bello, alto, tatuato, ricco ed era evidente che avesse dei problemi con il padre... gli mancava solo suonare uno strumento e la moto, anche se la macchina si poteva contare nella lista.
Aveva passato la cena fino a quel momento parlando con i miei genitori e a contraddire con la sua opinione su certe cose che aveva da dire suo padre. Sempre con un'espressione seria se non arrabbiata.
Come ho già detto però, passai parte della serata bene, nonostante verso la fine della cena sentii qualcuno darmi una lieve spinta sul piede per attirare la mia attenzione.
Alzai immediatamente lo sguardo dal mio piatto su Aiden, guardandolo confusa. Abbozzò un ghigno e fece cenno col capo di alzarci. Sentii il respiro corto.
Perché vuole alzarsi? Neanche ci conosciamo.
Irritata gli feci un "no" in labiale, rigirandomi per non guardarlo più. Passarono due secondi e pensavo avrebbe lasciato perdere, ma mi ero sbagliata, dato che mi diede un'altra spinta.
Lo guardai arrabbiata dato che stavo ascoltando quello che stava proclamando mio padre. Aiden fece lo stesso di prima e capii che non avrebbe smesso. Il suo viso divenne ancora più serio di prima.
«Scusi signore dove posso trovare il bagno?», chiesi forzata, mentre mi alzai lentamente. Si fermarono tutti per guardarmi. Fred abbozzò un sorriso.
«Te lo mostra Aiden, non ti preoccupare», rispose cordiale, lanciando un'occhiata al figlio, il quale si alzò subito e ghignò soddisfatto. «E chiamami Fred!»
Sapete quelle faccia che sono perfetta da prendere a schiaffi? Ecco, Aiden era l'esempio perfetto. Potei notare con facilità l'espressione preoccupata di mia madre non appena lo vide alzarsi. Era chiaro che non si fidava di lui e lo trovava un poco di buono.
Mi allontani dal tavolo, mentre Aiden fece lo stesso sempre con gli occhi puntati nei miei. Poggiò la mano sul mio fianco per mostrarmi la via, questo glielo lasciai fare però solo finché fummo sul campo visivo degli altri. Non appena svoltammo l'angolo lo scansai via.
Il moro mi guardò dritto negli occhi come se cercasse qualcosa in essi. Distolsi però lo sguardo in imbarazzo quando prese a ridere piano. Si avviò senza aspettarmi verso il piano superiore con un ghigno stampato in faccia.
«Cosa c'è di così divertente?», chiesi irritata, mentre arrivammo sopra alle scale, al secondo piano. Che diavolo mi aveva portato lì a fare? Incrociai le braccia innervosita.
«Niente. Perché continui a evitarmi?», chiese tranquillo, rimpiazzando il ghigno con un'espressione irritata. Spalancai la bocca e rimasi con lo sguardo fisso nel suo. Allora notai il colore verde smeraldo dei suoi occhi.
«Non ti sto evitando.»
«E invece si», ribadì lui.
«Bè anche se fosse? Fino a dieci minuti fa neanche sapevo come ti chiami.»
Io neanche lo conoscevo quel ragazzo eppure trovava l'audacia per parlarmi con tale semplicità. Cosa dovevo rispondergli?
Aiden incrociò le braccia e si poggiò con una spalla al muro, serrandomi la strada.
«Non ti sto evitando. Solo che non capisco perché prima mi insulti e poi dici di volermi parlare», borbottai sincera.
«Cosa non capisci?», mi domandò. Il moro restò con lo sguardo basso su di me. Potevo sentire con facilità il profumo che indossava, mentre rimase con le labbra socchiuse.
Sbuffai. «Te, Aiden. Anche se sinceramente posso farne a meno.»
Abbassò lo sguardo sulle mie labbra per poi rialzarlo. «Sei sempre così complicata?»
«Va bene torno di là», dissi irritata, facendo per tornare da dove eravamo arrivati.
«Dai sto scherzando», rise il riccio però, prendendomi per un fianchi e girandomi.
Era troppo vicino quando mi voltai. Sentii il suo respiro caldo sul mio viso e i suoi occhi sembravano ormai un buco nero. Trattenni il respiro per quanto mi strinse con tanta fermezza a sé.
Indietreggiai, fulminandolo col lo sguardo. Le mie mani strette in pugni, non sapendo cosa fare. Aiden abbassò lo sguardo sulle mie labbra umide: «Vedi che non ti insulto?»
«Per il momento», lo corressi.
Gli diedi una spinta sul petto per allontanarlo. Ansimai per riprendere fiato. Questo ragazzo doveva farsi curare.
Mi sentii arrossire per la rabbia e lui riprese a ghignare soddisfatto per poi voltarsi e aprire una porta.
«Preferisci quando ti faccio dei complimenti, vero?», chiese.
«Preferisco quando non mi rivolgi la parola», contraddissi. «Posso tornare al tavolo?»
«No.» Si voltò per scrutarmi divertito.
«Facciamo che non ci tocchiamo, ok?», enunciai allarmata, mentre sparì dietro alla porta.
Mi sporsi per notare che si trattava di una camera da letto, riconoscendo un letto a baldacchino. Aiden si avvicinò alla finestra per poi spalancarla.
«Che idee ti fai? Non ti ho mica portata qui per scoparti», rispose con tono sconvolto.
Rimasi scettica dal suo modo volgare di parlare. «Non usare quel tipo ti parole quando parli con me», gli ordinai. «Non mi fanno impazzire.»
Mi lanciò uno sguardo, ancora dandomi le spalle. Rimasi immobile sulla soglia della porta. Non avevo idea se entrare o andarmene.
«Che fottuto linguaggio? Ah intendi che non dovrei dire parola come "scopare" o "orgasmo"?», chiese con espressione innocente. Il respiro mi si bloccò in gola, mentre strinsi i denti irritata.
Si stava davvero divertendo. Cosa voleva da me? Un ragazzo sbagliato come lui. Si mise una mano nei pantaloni da cui prese un pacchetto di sigarette.