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La mattina seguente mi svegliai al suono della sveglia alle otto

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La mattina seguente mi svegliai al suono della sveglia alle otto. Mi stropicciai gli occhi confusa per poi spegnere il suono irritante. Sbadigliai riposata. Il mio sguardo cadde su Aiden accanto a me, il quale nella notte si era sdraiato con le braccia in alto sulla schiena.

La "M" sul suo petto veniva illuminata dalla luce del sole. Scrutai il suo viso con un sorriso. Quando dormiva sembrava così sereno.

«Ti prego dimmi che non ci hai fatto svegliare alle sette di mattina di domenica», borbottò di colpo, sorprendendomi. Mantenne gli occhi chiusi mentre si passò con uno sbadiglio una mano tra i capelli.

Risi compiaciuta: «No. Sono le otto.»

Sbuffò sonoramente, facendomi ridere ancora di più. Si sdraiò su un fianco prima di aprire gli occhi e posarli su di me.

«Devo farti uscire il più presto possibile cosicché nessuno ti noti», spiegai.

Mi alzai dal letto per indossare la maglietta che aveva tirato a terra la sera prima. Sentii il suo sguardo bruciare sulle mia pelle. Non avevo mai sentito quel tipo di felicità.

«Perché ieri sera te ne sei andata dalla festa?», chiese curioso. Evidentemente non si ricordava di avermi già posto quella domanda.

Sorrisi cogliendo il suo sguardo. «Come ti ho già detto ieri... me ne sono andata perché non mi sentivo a mio agio», risposi mettendomi a sedere sul materasso. Lo guardai con un ghigno. «È vero che vedermi baciare Jason ti ha fatto arrabbiare?»

Aiden abbassò lo sguardo sul materasso sospirando. «Ho detto questo ieri?»

«Già», ridacchiai.

Lui mi guardò pensante. «Mi ha sorpreso. Lo ammetto.»

«Te l'avevo detto.» Sentii il cuore esplodermi nel petto.

Abbozzò un sorriso, ma si incupì subito dopo.
Evidentemente si ricordò di cosa successe prima che arrivò a casa mia la sera precedente.

«Cosa farai? Non puoi tornare a casa?», chiesi preoccupata.

Il suo voltò si irrigidì. Si mise in piedi un po' traballando e riprese da terra i suoi pantaloni per indossarli.

«Non lo so, ma non è nulla di cui devi preoccuparti. Cercherò di mettere a posto con mio padre», spiegò con freddezza.

«La mano fa male?», tentai di domandargli, ma lui scosse soltanto la mano. Eppure potevo vedere le nocche violacee.

Si infilò la maglietta coprendo per mio dispiacere la sua pelle nuda. Potevo sentire il disprezzo nella sua voce quando scandì le parole "mio padre." Le mie mille domande sul perché lo odiava così tanto riaffiorarono.

Non potei evitare di sentirmi dispiaciuta. Cosa aveva spinto suo padre a cacciarlo di casa?

Mi misi in piedi, stringendo una mano nell'altra con nervosismo. Mi schiarii la voce mentre lui tenne lo sguardo sui suoi pantaloni chiudendoseli.

«Ieri sera hai detto che non avevi nessun'altro da chiamare. È vero?», domandai. Colsi la sua attenzione, facendogli alzare il capo con espressione allarmata.

A quanto pare non si ricordavo neanche di quella parte. Riprese a bottinasti i pantaloni come se nulla fosse e fece spallucce. «Non stavo capendo niente ieri sera. Non prendere così sul serio tutto quello che ti si dice da fatti, Juliet.»

Abbassai annuendo il capo, ferita. Quindi non ero davvero stata l'unica a cui avevo pensato di chiedere aiuto. Oppure era soltanto un ingrato egocentrico.

Notai il modo distaccato con cui evitò il mio sguardo. Si mise in mano la giacca e uscì con un semplice: «Grazie.»

Restai sbalordita a osservare la sua figura sapere dietro la porta di camera mia. Ed ecco che scappava via, probabilmente perché si pentiva di quello che era successo tra di noi o perché non voleva mi facessi troppe illusioni.

In fondo me le ero fatte nel momento in cui mi aveva stretto a sé per dormire quella notte. Aveva bisbigliato nel sonno e anche se ad altre persone sarebbe apparso irritante io l'avevo trovata la cosa più tranquillizzante al mondo.

AnarchiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora