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Scostai lo sguardo in vergogna

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Scostai lo sguardo in vergogna. Ero già abbastanza delusa da me stessa per come mi ero fatta trattare da Ken, non avevo bisogno pure dei suoi commenti. Aiden non doveva stare dentro con quella bionda insopportabile?

«Che cazzo ci facevi qui con Ken?», chiese irritato. Aggrottò le sopracciglia e puntò verso un punto nella casa. Davvero se la stava prendendo con me? Per cosa poi? Non gli appartenevo.

Incrociai le braccia e feci una smorfia arrabbiata. «Perché mi hai difesa? Puoi pure tornare dentro da Miss universo», balbettai con la voce spezzata per le lacrime. Ero solo delusa da me stessa.

Non mi ero mai sentita così umiliata come sulle gambe di Ken. Odiavo le feste per quello perché finiva sempre in quel modo.

«Non voglio tornare dentro. Ti ho fatto una domanda, Juliet», mi impose.

Rimasi sorpresa quando vidi le rughe sulla fronte di Aiden affievolirsi e il suo braccio abbassarsi piano. Invece della rabbia vidi... pena?

«No, prima rispondi te alla mia di domanda.»

«Ti ho difesa perché non ti doveva toccare in quel modo senza il tuo consenso. Se vuoi possiamo tornare dentro e versargli qualcosa addosso», propose sicuro. Fece passare lo sguardo dalla casa a me con le labbra socchiuse.

Sapevo che era serio e questo mi fece ridere stranamente. Mi coprii con una mano il viso umido dalle lacrime, ma ormai le labbra erano distese in un sorriso.

Come faceva a farmi ridere così facilmente? E farmi piangere con la stessa facilità? Aiden parve confuso all'inizio, ma poi scorsi un lieve sorriso pure sul suo viso. Sembrava sollevato.

«Perché te ne sei andato da casa mia stamattina?», gli domandai.

«In che senso?»

«Te ne sei andato in modo ambiguo», ammisi e lui si passò una mano tra i capelli con forza.

Sospirò. «È vero, scusami. Dovevo prendermi cura di una cosa... quindi? Vogliamo versare dell'acqua addosso a Ken?», cambiò nuovamente argomento.

«Non voglio tornare dentro, Aiden. Voglio solo andarmene da questo posto», spiegai. Mi asciugai le lacrime sotto agli occhi. La vergogna e la tristezza erano svanite.

Annuì e si avvicinò a me. Passò il pollice sulla mia guancia per asciugarla e rimasi col fiato sospeso.

«Ti porto io», mi impose.

«E Casy?», domandai con un filo di gelosia nella voce.

Aggrottò la fronte. «Cosa c'entra Casy?»

«Non so. Non vedo come tu potresti piantare in asso una ragazza come lei per portarmi a casa.» Sapevo cosa era pronta a fare lei, dopo ciò che mi avevano raccontato.

Vidi una strana scintilla negli occhi di Aiden. Riprese il suo dito dalla mia guancia per allontanarsi di qualche passo. «Ci sono molte come Casy, Juliet. Poche come te. D'accordo?»

Sentii il mio cuore fare salti di gioia.

«Se lo dici tu...», mormorai.

Si mise la mano in tasca e tirò fuori la chiave della macchina. Premette un tasto e la sua auto parcheggiata accanto al marciapiede lampeggiò.

«Non hai bevuto vero?», mi assicurai. Lo seguii non appena si avvicinò all'auto. Mi lanciò un'occhiata come per dirmi: me lo stai davvero chiedendo?

«No. Non avevo voglia stasera. Ti pare?»

«Scusa, scusa era giusto per essere sicuri.»

La verità era che mi fidavo di Aiden, ma era pur sempre il ragazzo più imprevedibile che avessi mai conosciuto. Questo mi affascinava e terrorizzava allo stesso tempo.

Osservai sollevata come i ricci gli cadevano delicatamente sul viso. Mi sentivo al settimo cielo. Era sempre così quando mi degnava del suo tempo. Ma di conseguenza era un inferno quando faceva il contrario.

Aprì la portiera e io feci lo stesso. Si poggiò con l'avambraccio al tetto dell'auto. «Dove vuoi che ti porti, quindi?»

Non mi importava dove. Bastava non fosse lì e che lui fosse come me.

Feci spallucce. «Non importava dove... andiamo a casa tua? A casa mia ci sono i miei e se mia madre ti vede ti ammazza», scherzai.

Mi guardò con un ghigno malizioso. «Così mi piaci, piccola.»

Mi piaceva quando mi chiamava in quel modo, ma era un nomignolo fin troppo comune e non volevo mi chiamasse come aveva chiamato oltre altre ragazze. «Non chiamarmi piccola», sbottai.

«Come mai?»

Distolsi lo sguardo dalle sue iridi verdi. «Chissà quante altre ragazza hai chiamato piccolina», ammisi.

Lo sentii sospirare. «E allora ti chiamerò, Juliet. Tanto mi piace di più.»

Non riuscivo davvero a capire come potesse perdere del tempo a con me quando avrebbe potuto scoparsi Casy. Era evidente che lei gli avrebbe... permesso... più di me. Abbassai lo sguardo sentendomi arrossire e salii in macchina.

Imitò i miei movimenti. Chiudemmo in contemporanea le portiere il ché mi fece sorridere senza un motivo. La sua auto aveva il suo profumo. Si voltò verso di me per passarmi il pollice sul labbro inferiore, si morse il labbro come se fosse affamato.

«Perdonami se mi comporto male con te. Non mi meriterei neanche di sfiorare le tue labbra così fottutamente perfette», mormorò. Tenne lo sguardo fisso sulle mie labbra. Sentii un calore nel basso ventre solo sentendo quelle parole. «Quando mi comporto così non pensare che sia colpa tua, chiaro?»

Annuii piano. «Chiaro. Tanto labbro già capito, eh.»

«Tanto meglio.»

Si compose sul suo sedile per mettere in moto l'auto. Osservai la casa affollata mentre ci allontanammo velocemente. Sentii una sensazione di libertà e spostai lo sguardo sul profilo di Aiden.

«Certo che devi ammettere di essere davvero bipolare però», scherzai.

Lui stranamente rise. «Che dire... è un dono e una croce allo stesso tempo.»

«Esattamente come fa a essere un dono?», domandai confusa.

Lui fece spallucce. «Almeno sono un po' diverso dagli altri.» Essendo bipolare? Certo che era davvero speciale quel ragazzo.

«Essendo bipolare?»

«Sì. Essendo bipolare, e tu essendo una maestrina», ribadì per prendermi in giro. Lo guardai a bocca aperta, ma poi dovetti ridere.

«Ci sarai... deficiente», controbattei crudele. Aiden mi guardò perplesso ma sempre divertito.

«Juliet Browne. È una parolaccia quella che hai detto?», mi canzonò ma lo fulminai con lo sguardo. «Certo, una parolaccia per i tuoi livelli... per la gente normale è una semplice parola.»

Inizia davvero a farmi perdere l'autocontrollo.
«Vuoi continuare a provocarmi per vedere a che livello posso arrivare, Aiden?», lo minacciai, ma lui scoppiò a ridere.

«Wow. Così però mi ecciti, Ju», borbottò per provocarmi. Infatti arrossii e lui sghignazzò.

Si rivolse nuovamente alla strada, dopo avermi lanciato uno sguardo impressionato.

Per la prima volta non lo vidi né arrabbiato e né sereno. Osservava solo con concentrazione la strada davanti a sé. Amavo come la punta del suo naso e le sue labbra erano perfettamente allineati.

AnarchiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora