Juliet Browne. Una studentessa modello e con una passione per il dibattito e la letteratura.
Quando si trasferisce insieme alla sua famiglia a Los Angeles è convinta che la sua vita sia sempre stata perfetta; un futuro brillante e degli amici tranq...
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Passò una settimana in un attimo, ormai eravamo arrivati a marzo e tutti erano impazienti per il ballo di fine anno. Le cose fino a quel momento si erano sviluppate bene; il gruppo di Sophia ed io avevamo legato più di quanto avessi previsto.
Avevo iniziato ad andare quasi sempre a correre il fine settimana con Olivia e Jacob nei dintorni dell'Osservatorio Griffith. Era faticoso, ma la loro presenza rendeva tutto un po' più bello (sopratutto quando Jacob ci prendeva singolarmente in spalla per aumentarsi la difficoltà).
Con lui non era successo niente di simile come alla festa e una parte di me, nonostante fosse un bel ragazzo, ne era sollevata. Volevo convincermi che non centrava nulla, ma non potevo levarmi dalla testa quella dannata sera a casa di Aiden.
Lo odiavo davvero. E finalmente, non vedendolo per qualche giorno, pareva avessi ripreso un minimo il controllo dei miei pensieri.
Emma aveva continuato a cercare ad entrare nel circolo delle galline e parlare con Aiden Houston; riguardo al primo punto c'era "riuscita". Infatti uscivo sempre non appena sentivo la voce di una delle galline quando le inviata a casa nostra. Mentre con Aiden non era stata così fortunata.
Era lunedì mattina. Stavo morendo dalla noia alla lezione di storia dell'arte in quarta ora. Cercavo di restare sveglia, ma la voce monotona del professor Sam e un ragazzo accanto a me che stava sul punto di russare non aiutavano affatto.
Dopo cinque minuti mi arresi, così chiesi al professore il permesso di andare al bagno e uscii dall'aula. Almeno fare due passi mi avrebbero tenuta sveglia.
I corridoi erano vuoti dato che era nel mezzo delle lezioni e gli unici rumori che si sentivano di conseguenza erano i miei passi svelti che si dirigevano verso il piano di sopra. Arrivai alla fine del corridoio dove si trovavano le scale per salire, quando intravidi una sfumatura di fumo fuori dall'uscita di emergenza. Sta prendendo fuoco qualcosa?
In fretta l'aprii spingendo contro la maniglia. Rimasi senza parole quando vidi Aiden appoggiato con la schiena al muro e una sigaretta tra le labbra.
«Cazzo! Mi hai spaventato a morte!», esclamò balzando in aria e cercando di nascondere la sigaretta che teneva tra le dita dietro alla sua schiena, «Cazzo, Juliet.»
«Ma sei impazzito a fumare qui?», esclamai a mia volta arrabbiata.
Neanche pensai all'imbarazzo che dovevo provare per via di quello che era successo a casa sua.
Gli presi dalla mano la sigaretta, la buttai a terra e la spensi con la scarpa. In tutto questo non aveva fatto in tempo a dire niente in contrario, di risposta però mi parve infuriato pure lui.
Puntò verso la sigaretta mezza fumante davanti ai nostro piedi. «Cazzo fai?! Ti pare che me la butti? L'avevo appena accesa!», manifestò a denti stretti. Mi scrutò furioso.
«Stiamo sul territorio scolastico-»
«Non me ne frega un cazzo, non dovevi spegnerla!»
Rimasi a bocca aperta dal suo comportamento aggressivo e dal fatto che stavamo su un territorio scolastico. Ammisi che avrei fatto meglio ad ignorarlo e basta.
«Non puoi urlarmi così», borbottai irritata.
Lo vidi mettersi un'altra sigaretta tra le labbra e accendersela. Quindi riprovai a levargliela comandandogli: «Spegnala subito! Non lo sai che ti possono beccare?»
Ma non riuscii a prendergliela data la sua altezza e i suoi stupidi riflessi. Sentii le guance bruciare per il nervosismo nel mio petto.
Davvero per le persone è così facile fare finta di niente dopo essersi toccate in quel modo?
«Oo stai calma che qui non passa mai nessuno!», ribatté già più calmo. Si poggiò nuovamente al muro con lo sguardo puntato davanti a sé.
«Certo che passano», ribadii e lui serrò la mascella.
«Invece no.»
«E invece sì!»
Volse il capo per potermi guardare attentamente. Aggrottò le sopracciglia. «Non dovresti stare a lezione?»
«Non dovresti starci pure tu?»
L'odore del fumo iniziava a darmi la nausea. Non realizzavo perché stessi ancora là se potevo andarmene.
Si girò verso di me per poi sogghignare: «Ti importa davvero tanto di me, eh?» Inspirò senza scostare lo sguardo dal mio. «Ti è piaciuto baciarmi a casa mia-»
Gli diedi un pugno sul petto ma lui sghignazzò. Gli puntai un dito contro. «Primo: ti piacerebbe. E secondo: non succederà mai più.»
«Come no... Dicono tutte così.»
Piccolo, irritante furetto...
Abbassai lo sguardo, sentendo quella strana sensazione nel petto che mi ero imposta di non avere più. «Comunque non sono preoccupata. Solo che potresti dare fuoco a qualcosa. E poi è vietato e lo sai», mi giustificai in difficoltà.
Lui mi interruppe alzando una mano e manifestando con serietà: «Potresti anche andartene sai?»
Annuii col capo chino, offesa, per poi voltarmi per rientrare. Non sopportavo più i suoi sbalzi di umore. Adesso era nuovamente passato a insultarmi e cacciarmi via.
«Juliet...», aggiunse stranamente con tono pentito, non appena mi voltai. «Stavo scherzando.»
Afferrai la maniglia della porta intenta ad entrare, mentre mi misi apposto la giacca.
«No, hai ragione. Ti lascio solo a fuma-», squittii.
A metà frase, nel momento in cui aprii la porta, rimasi a cinque centimetri dal viso del Signor Bord, il preside.
Mi fulminò con lo sguardo prima a me e poi a Aiden, il quale aveva realizzato troppo tardi la sua presenza e quindi non aveva nascosto la sigaretta. Anzi, ce l'aveva ancora tra i denti. Volli solo strozzarlo in quel momento.
«Nel mio ufficio, subito!», ordinò l'uomo con tono secco e puntando verso il corridoio.
Senza ribattere seguii i suoi ordini. Stavo morendo dalla vergogna e dalla paura in quel momento. Se mi avesse messo in punizione i miei mi avrebbero ammazzata.
Non ero mai finita in alcun tipo di guai a scuola e sapevo che fumare sul territorio scolastico era grave. In più avevo ancora intenzione di iniziare il club di dibattito e se mi avesse messo in castigo avrebbe pure potuto decidere di non farmelo iniziare.
Vedi cosa succede se non stai lontana dai ragazzi come Aiden.
Sentii che il preside dovette quasi trascinare Aiden al mio fianco per farlo venire con noi.
«Non mi tocchi», ringhiò il ragazzo tatuato, con un'espressione furiosa, ma anche da strafottente allo stesso tempo. Io stavo morendo. Stavo ancora più sull'orlo delle lacrime di prima.
Arrivati nell'ufficio del preside ci fece sedere sulle due sedie disposte di fronte alla scrivania, mentre lui si accomodò sulla sua dietro alla scrivania di legno.
Io mi sedetti immediatamente per paura che avrebbe potuto arrabbiarsi ancora di più, mentre Aiden si adagiò piano e sbuffando.