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«Lo vedo che hai qualcosa», ribadì sicuro Aiden

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«Lo vedo che hai qualcosa», ribadì sicuro Aiden. Si avvicinò a me per poggiare le sue dita sotto il mio mento e farmi incontrare il suo sguardo. Sentii di potermi fidare e allo steso tempo non fidare di quel ragazzo.

«Non ho niente», ribadii.

«E allora perché sei scazzata?»

«Perché continui a usare queste parolacce», mi inventai in imbarazzo.

Mi divincolai dal suo tocco e mi avvicinai alla porta d'ingresso per aprirla. Mi fermai con la mano sulla maniglia per voltarmi e incontrare il suo sguardo. Notai il modo in cui i lineamenti dei suo viso erano tesi. Era chiaro che nessuna ragazza si era mai pentita di essersi fatta toccare da lui.

Sospirai: «Tu... ecco... lo fai spesso?»

Aggrottò le sopracciglia. «Fare cosa?»

«Questo... quello che abbiamo fatto.» Diventai paonazza per l'imbarazzo. Però se non glielo avessi chiesto quel dubbio sarebbe rimasto.

Strizzò ila chiave della macchina. «Bè, se devo essere sincero... sono loro a farlo a me.»

«Ah.» Sprofondai il viso nelle mani, delusa. Era chiaro che facesse certe cose pure con altre ragazze, ma sentirglielo dire era fin troppo brutto.

Mi posò una mano sul dorso della mia. «Ma non è una cosa grave. Perché te ne importa tanto?»

«Perché... perché sono cresciuta odiando ragazzi e uomini come te. Li odio- vi odio.» Ero sincera. Odiavo i ragazzi che si sentivano intitolati a fare i loro comodi quando e con chi volevano. Aiden non dava l'impressione di essere un ragazzo fedele.

Vidi il suo volto incupirsi e di colpo sentii il suo distacco.

«Ci odi?» Serrò la mascella per poi dirigersi in silenzio verso la sua automobile. Ho sbagliato a dire qualcosa? D'altronde ero stata solo sincera.

«Bè... circa...no», balbettai ma lui entrò di fretta in macchina e io feci lo stesso per paura che potesse partire senza di me.

«Non ti seguo, Ju...»

«Allora lascia stare.»

Non appena mi chiusi la portiera mise in moto la macchina, sempre con un'espressione seria. «No invece adesso mi interesse.» Come non detto... «Sentiamo. Che tipo di persone siamo noi?»

Dannazione. Sarei dovuta stare zitta. «Lascia stare. Non lo so neanche io», mentii.

«No adesso mi dici.»

«Non c'è niente da dire, Aiden», insisti, mentre strinse il volante tra le sue dita. Si zittì per guardare in silenzio davanti a sé.

Sentendo che non aveva intenzione di parlare tentai di distrarmi ascoltando la musica tenue, ma la spense poco dopo. Mi voltai verso di lui, vedendolo con lo sguardo fisso sulla strada. Stava guidando decisamente pi veloce di prima.

«Non sono come pensi tu», proferì di colpo. Lo sguardo sempre fisso sulla strada, mentre strinse forte il voltante tra le sue dita, «Che pensi? Che perché ho questi tatuaggi e non parlo come un fottuto maggiordomo sono uno stronzo?»

Mi sentii in colpa perché era esattamente quello che pensavo. Mi stava dicendo che era diverso? Gli importava davvero di cosa si pensasse di lui? Abbassai lo sguardo in imbarazzo. «Non lo sei?»

Mi lanciò finalmente uno sguardo, anche se furioso. Si morse con forza il labbro per poi negare col capo: «Ti credevo diversa.»

Sentii una pugnalata al cuore. Era chiaro che era deluso di me. Forse si era aspettato fossi una ragazza senza pregiudizi, ma come poteva pensare davvero una cosa del genere di me? E poi perché gli importava di cosa pensassi? Avrei voluto aggiungere qualcosa, ma ero fin troppo ferita per rispondere.

Restammo in silenzio per tutto in tragitto. Durò di meno perché Aiden andò almeno il doppio più veloce. Non appena parcheggiamo nel parcheggio della scuola aprì la portiera e scese dall'auto senza fiatare.

«Andiamo», ordinò.

Decisi di seguirlo per non rischiare di farlo infuriare ancora di più. Era difficile stargli dietro dato che si stava ormai dirigendo con passo più svelto verso il campo. Faceva muovere le sue braccia sui suoi fianchi con più forza, mentre le sue spalle si mossero di conseguenza di più.

Mi stavo sentendo in colpa per quello che avevo appena detto. Stupida, stupida, stupida...

Raggiunsi la mia rete che avevo lasciato dall'altra parte del campo e presi a trascinarla verso lo spogliatoio dove si trovava lo sgabuzzino. Aiden era ormai quasi arrivato allo spogliatoio, mentre teneva lo sguardo freddo davanti a sé.

Sentii il telefono squillare così mi fermai per vedere chi mi stesse chiamando. Rimasi sorpresa dal vedere chi era.

«Jacob?», chiesi un po' scettica, vidi Aiden voltarsi sentendo quel nome.

«Ei Ju, ho sentito che avevi castigo fino ad ora

Mi voltai verso il ragazzo che ormai si stava avvicinando a me lentamente. Che diavolo vuole fare adesso? Prendermi in giro per avermi fatto... venire? Fui sorpresa dalle parole sconce nella mia testa. Stavo perdendo il mio contegno.

«Sì», risposi solo. Non riuscivo a capire bene quello che stava dicendo dato che ero indaffarata a capire perché Aiden mi stesse venendo incontro.

«Guarda, io sto ancora a scuola se vuoi ti do un passaggio a casa-»

«Sì ti prego!», esclamai con la voce stranamente alta. Non avevo alcuna intenzione di chiedere a Aiden di darmi un passaggio, anche se era sulla strada per casa sua. E poi ero sicura che non me l'avrebbe dato.

«Va bene arrivo.»

Fu la notizia più bella che sentii quella giornata; i miei avevano detto che se avessi voluto continuare ad uscire sarei dovuta tornare a piedi dopo le punizioni. Sopratutto mamma si era imposta per farmelo fare, dato che a mio padre non importava molto.

Sembrava quasi contento che avessi fatto qualcosa di minimamente... ribelle.

«Mi vieni incontro sul campo di football?», aggiunsi, riprendendo la direzione di prima.

Aiden mi raggiunse serio, ma vedendo che stavo ancora al telefono restò in silenzio aspettando che attaccassi. Si guardò con un ché di imbarazzato intorno, mentre si passò una mano per i capelli e affondo l'altra nella tasca dei pantaloni. Sospirò.

«Arrivo», mi rispose Jacob solo, poi attaccò. 

Rimisi il telefono in tasca dove stava prima e mi rivolsi al ragazzo che rimase davanti a me, serrandomi la strada. Mi aspettai che aggiunse qualcosa per insultarmi, ma per quanto potesse sembrare impossibile lo vidi allungare il braccio con cui non stava tenendo la rete e afferrò la mia.

«Chi era?», mi domandò con modo forzato.

Mi sfiorò la mano facendomi rabbrividire. Non si spiegò neanche. Tenne lo sguardo basso, come se si vergognasse di quel gesto altruista.

AnarchiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora