47

32.2K 831 91
                                    

Di chi stava parlando? Di suo padre? Gli aveva mentito? Volevo più di qualsiasi cosa chiedergli di cosa stesse parlando e provare ad allievare il suo dolore, ce lo aveva stampato sul viso

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Di chi stava parlando? Di suo padre? Gli aveva mentito? Volevo più di qualsiasi cosa chiedergli di cosa stesse parlando e provare ad allievare il suo dolore, ce lo aveva stampato sul viso. Ma Aiden se avessi fatto domande sul suo passato non mi avrebbe risposto.

Parcheggiò in silenzio in un parcheggio dal quel si poteva intravedere il mare e un sorriso si espanse largo su tutto il mio viso. I miei genitori non mi avevano portato spesso in spiaggia: a mia madre dava fastidio la sabbia tra le dita e mio padre semplicemente non era interessato.

Scendemmo dalla sua macchina. Aveva ancora addosso gli occhiali da sole e la maglietta nera metteva in risalto i tatuaggi. Ammirai a bocca spalancata la spiaggia e i passanti in costume.

«Sembri una bambina. Non mi dire che non hai mai visto una spiaggia», sbuffò irritato. Poco dopo capì riconobbe il tono freddo con cui disse quelle cose e si avvicinò per darmi un bacio sulla fronte.

Fui confusa da quel gesto. Era un gesto d'affetto e non di passione. Affetto?

«Sì che sono stata al mare», ribadii, «Solo non spesso e non in una spiaggia così bella.»

Mi fece cenno con la testa di seguirlo e ci avviammo verso la strada di Venice Beach colma di gente. Stavo davvero saltando un girono di scuola con Aiden Houston. E la cosa che mi spaventava era che mi piaceva.

«La cosa bella di questa strada è che per quanto tu possa essere strano qui trovi sempre qualcuno che lo è più di te», mi disse voltandosi verso di me.

«Che cattivo che sei.»

«Dio, Ju. Scherzavo.»

«Anche io», ridacchiai e lui rimase sorpreso. Stavo usando le sue carte.

Feci poi scorrere lo sguardo sulla strada e vidi un uomo in mutande e dipinto come la bandiera americana. Forse un po' ha ragione.

Ero ancora vestita come un senza tetto, con i suoi vestiti, ma nessuno pareva farci caso. Non appena mi diede le spalle afferrai il colletto della maglietta per inspirare il suo profumo. Era al quanto perversa come cosa ma non avevo mai conosciuto un odore così buono.

Si bloccò di colpo e per poco non gli andai addosso. Mi guardò divertito.

«Tieni su gli occhi, piccola», enunciò malizioso. Aveva capito che ero distratta da qualcosa e che quel qualcosa era lui.

«Ti ho detto di non chiamarmi piccola», lo rimproverai.

In ritorno però mi prese il mento con le dita fredde e mi avvicinò a sé per posare le sue labbra sulle mie. Ero sorpresa da quel gesto inaspettato ma non mi allontanai. Risposi al bacio e la sua lingua sfiorò la mia. Le sue labbra erano morbide e calde.

Rimase con le dita sul mio mento e io posai le mani sul suo petto in un miagolio. Si staccò e alzò lo sguardo oltre il mio viso. «Guarda lì cosa c'è», mi sussurrò all'orecchio piano.

Mi posò le mani sulle spalle per voltarmi e indicare su un negozio a qualche metro da me. Era chiaro che si trattasse di un negozio di musica. Sorrisi lieta. Ormai lo facevo così spesso che quasi mi facevano male le guance.

Mi voltai sorridente per poi prendere la sua mano fredda e indizzarmi verso il negozio. Lo trascinai dietro di me senza che ponesse resistenza. Era bello avere la sua mano nella mia. Combaciavano perfettamente.

«Vediamo se riusciamo a trovare qualcosa da aggiungere alla tua raccolta», esultai entusiasta. Dubitavo ci fosse davvero qualcosa che gli mancava in quegli scaffali, ma mi piaceva l'idea di aiutarlo in qualcosa.

«Davvero?», chiese Aiden alle mie spalle.

«Cosa?»

«Ti interessa? Aggiungere... bè, hai capito.»

Mi fermai per voltarmi e incontrare le sue iridi chiare. Sembrava quasi commosso. Si vedeva che non gli succedeva spesso che gli si dava quelle attenzioni.

Annuii con le sopracciglia aggrottate. «Le ragazze con cui uscivi non ti hanno mai aiutato a fare la spesa?», scherzai. Non volevo formulare la frase in quel modo, perché implicava che io ero una delle ragazze con cui usciva.

Mi aspettavo che diventasse serio e mi dicesse che non ero nessuno, ma lo vidi ghignare. Presi di nuovo a respirare tranquilla. Stavolta fu lui a tirarmi con la mano stretta nella mia verso il negozio. Si passò una mano tra i capelli mossi.

«Eccome. Mi stavano sempre attaccate al culo per tutto il tempo ma non hanno mai voluto fare qualcosa che interessasse pure a me», rispose franco.

«E perché ci uscivi allora?»

Fece spallucce. «Gran bella domanda, Juliet.»

Raggiungemmo il negozio e si divincolò dalla mia presa per osservare gli album negli scaffali con interesse. Mi piaceva essere la prima ad avere fatto qualcosa per lui che gli piaceva. Senza averlo toccato sessualmente lui stava lì con me. Per un momento pensai di potere essere davvero diversa.

A fine di quella giornata avrei cambiato idea. Restammo un attimo in silenzio mentre passò le sue dita sui vinili disposti. Il negozio non era troppo grande, ma abbastanza perché ci potesse entrare il pianoforte bianco nell'angolo.

Provai a concentrarmi sugli album, ma il mio sguardo continuava a passare sulle sue labbra socchiuse e il modo con cui mormorava i titoli delle canzoni sulle etichette. Sapevo che stavo iniziando a provare più di quanto avrei dovuto per quel ragazzo. Era la prima volta che stava in pubblico sereno.

Lo vidi guardarsi intorno confuso per poi puntarsi su di me. Mi fece cenno con la mano di raggiungerlo. Lo feci con le mani strette l'una nell'altra.

«Mia madre l'ha conosciuta», sbottò. Indicò col dito sul nome di Doris Day.

Spalancai la bocca sbalordita: «Sei serio? Io la amo!»

Rise e abbassò lo sguardo. Sembrava quasi imbarazzato. Imbarazzato? Non era possibile. Alzò lo sguardo sul mare alle mie spalle.

«Andiamo a sdraiarci?», domandò prima di prendermi la mano e tirarmi con sé.

Intrecciai le mie dita alle sue e non potei che sentire il mio petto scoppiare di felicità. «Rallenta! Non tutti sono alti due metri come te!», scherzai non appena si mise a correre.

«Ah no?»

Lanciai un grido divertito non appena mi prese la mano per farmela poggiare sulle sua spalle e mi prese in braccio a mo' di sposa. Mi strinse con forza a sé e continuò a camminare.

Col viso così vicino al suo collo potevo sentire il suo profumo invadermi le narici. «Sei pazzo, Aiden.»

«Può darsi», rispose divertito.

Stavo saltando scuola e ridevo come se fossi una bambina. Quel ragazzo mi stava facendo diventare un'altra persona.

«Aiden! Non correre, che sennò inciampi!», gridai sempre ridendo non appena fece un salto.

Sussultai e lui rise. «Non lo farò.»

«Sei davvero pieno di te», sbottai. Mi fulminò con lo sguardo e mi mise a terra.

AnarchiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora