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«Juliet ho fatto un casino

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«Juliet ho fatto un casino... cazzo», lo sentii ansimare. La preoccupazione tramutò in paura.

Mi alzai dal mio letto, stringendo il telefono tra le mie dita. «Cosa hai fatto? Stai bene? Dove sei?»

«Mio padre mi ha fottutamente cacciato di casa. Non sapevo chi altro chiamare.»

Non sapeva chi chiamare? Ignorai la sensazione di lusinga che provai quando capii che aveva deciso di chiamare me.

«Stai bene?», ribadii preoccupata, facendo due passi.

«Sì- cioè, no. Sto sanguinando, cazzo...»

«Stai sanguinando?»

«Sì, la mano.»

Mi chiesi cosa potessi fare. La soluzione mi parve solo una, ma era folle. Ero tentata dal far venire Aiden a casa mia, ma mia madre non l'avrebbe mai accolto. Allora fallo intrufolare.

La me di qualche mese prima si sarebbe riposta con un no secco senza esitare, ma sentire il respiro spezzato di Aiden dall'altra parte del telefono mi fece cambiare idea.

«Aiden. Vieni a casa mia», gli proposi. Era più un'ordine che una proposta.

«Sono già sotto casa tua, Juliet», borbottò serio.

Mi irrigidii. «C- cosa? Perché stai sotto casa mia?»

Sbuffò. «Sinceramente... non ne ho idea.»

Gli dissi di aspettare, e chiusi la chiamata. Aprii in modo più silenzioso possibile la mia porta per poi scendere le scale in punta di piedi. Non avrei mai pensato lontanamente a Boston di fare intrufolare un ragazzo in camera mia, ma ormai tutto era diverso.

Raggiunsi l'ingresso di casa per poi aprirlo e trovarmi Aiden davanti. Teneva il suo telefono in una mano, mentre il suo zigomo era spaccato. Potei intravedere della rabbia, ma non appena mi vide apparire sulla soglia della porta vidi i suoi tratti facciali ammorbidirsi.

Fece passare lo sguardo sulla maglietta grigia che indossavo e poi sulle mie gambe nude. Riconobbi dai suoi occhi persi che era fatto.

Stavo rifugiando un ragazzo che probabilmente aveva appena fatto a botte. Se mia madre lo fosse venuta a sapere mi avrebbe cacciata di casa.

«Aiden. Cosa è successo?», domandai a mezza voce sconvolta. Mi avvicinai a lui per mettermi in punta di piedi e analizzare la sua ferita. Lui restò in silenzio, evidentemente non voleva parlarne.

Decisi di non insistere.

«Seguimi.» Lo afferrai per la sua giacca e gli feci strada in punta di piedi verso la mia stanza. Fu un miracolo che nessuno si accorse della presenza di quel ragazzo in casa, dato che non riusciva a camminare bene dritto e quindi andava a sbattere contro il muro di tanto in tanto.

«Sono felice di averti chiamata», borbottò a mezza voce, poco prima che raggiungessimo la luce della mia stanza. Gli tappai la bocca con una mano, il che lo fece sghignazzare divertito.

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