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Chi ama troppo, odia con la stessa forza

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Chi ama troppo, odia con la stessa forza.
(Omero)

Prima di lui? Non so come mi sarei definita prima di conoscerlo. Di certo diversa da adesso; mi fidavo al cento per cento delle persone ed evitavo di crearmi problemi. Ero ingenua, potrei aggiungere. E di certo non l'ho mai realizzato quanto adesso; adesso che sono seduta in una macchina a piangere, mentre sento le sue urla chiamarmi da lontano.

«Spostati! Stai prendendo tutto lo spazio del sedile!», mi lamentai rivolta a mia sorella: era seduta con tutto il suo peso sulle mie gambe e si stava muovendo con strani movimenti su di esse facendomi male.

«Ragazze smettetela», ci rimproverò nostra madre. Stava seduta sul sedile anteriore della macchina accanto al tassista.

Come se un viaggio di quasi nove ore in aereo non fosse stato abbastanza per rovinarmi la giornata e così l'umore. Odiavo sentirmi in quel modo, sopratutto perché in genere provavo a essere positiva su tutto. Mi chiamo Juliet Browne, per i miei amici Ju. Se avessi dovuto descrivermi vi avrei soltanto detto che a Boston ero stata a capo del club di dibattito e che l'unico sport di cui mi importava qualcosa... bè... non esisteva.

Avevo sempre avuto un disprezzo profondo nei confronti dei misogini al mio liceo. Anche alle medie a essere sinceri. Quando ero una bambina ero sempre stata timida e spesso i miei compagni avevano sfruttato quel fattore per prendersela con me. Ma un giorno avevo letto un articolo sulla fiducia in sé stessi e avevo trovato un modo per esprimere la mia avversione nei confronti dei miei compagni: la discussione. Il dibattito, per essere precisi.

Con gli anni avevo continuato a migliorare le mie prestazioni. Adoravo osservare il modo in cui gli stessi ragazzi, che nello spogliatoio facevano vedere ai loro amici foto di ragazze mezze nude, in difficoltà. Spesso li vedevo come dei bambini non appena potevo vedere quella lucidità sui loro occhi causata dalle lacrime. Ero crudele? Probabilmente, ma era del tutto giustificata come cosa.

Col passare del tempo però gran parte dei ragazzi non aveva più il coraggio nemmeno per chiedermi di uscire. Avevo avuto qualche ragazzo (due per l'esattezza), ma con entrambi era finita perché avevano provato a spingermi troppo e con troppa insistenza.

La verità era che finivo sempre col provare dei forti sentimenti per quei ragazzi, ma i miei idoli letterari ormai mi avevano condotto a cavarmela anche senza. Pensavo che sarebbe stato sempre così. Quello però era prima che incontrassi lui  e mi dimenticassi di tutto quello imparato negli anni precedenti.

Ad ogni modo ogni sabato uscivo con i miei amici. Quasi sempre andavamo alle feste a casa dei nostri compagni di scuola, ma spesso capitava che ci imbucassimo alle feste universitaria. Sinceramente preferivo quest'ultime perché finivo sempre col discutere di politica, cosa che con i miei coetanei era molto difficile.

Mia madre non mi capiva. Più che altro non capiva come facessi ad avere una vita sociale, dato il mio carattere. Sapevo che avrebbe preferito se avessi pensato solo ai ragazzi e ai vestiti come faceva mia sorella. Non mi vestivo in modo raffinato come faceva lei, né tanto meno provocante come facevano molte delle mie amiche quando uscivano.

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