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Sospirò, come se stesse facendo qualcosa di faticoso

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Sospirò, come se stesse facendo qualcosa di faticoso. «Non appena avremo finito il preside farà meglio a darti il permesso di fondare il tuo club», sbottò irritato.

Fui sorpresa dal suo comportamento improvviso. Notai come nascose il significato gentile di quelle parole col tono annoiato. Forse del bene in questo ragazzo c'è? Solo sensi di colpa.

«Grazie. Quindi mi stai aiutando?»

«Secondo te?»

Lo guardai storto per il tono, ma lui ghignò soltanto. Sorrisi debolmente, per poi abbassare lo sguardo sentendo il mio viso arrossire.

Aiden non aggiunse nulla non appena si avviò verso la parte opposta di dove si era diretto il rettore, verso la parte più sporca del prato. Notai l'espressione arrabbiata con cui guardò in basso davanti a sé.

Notai come i tatuaggi sui muscoli si guizzarono ad ogni suo movimento. Di colpo il mio odio nei suoi confronti si affievolì. Stava seriamente tirando quella rete per fare un favore a me?

Iniziai a tirare la rete verso la parte opposta del riccio, sentendo subito la difficoltà straziante nel farlo. Per poco non scivolavo in dietro ad ogni passo che facevo.

«Dai... Juliet... fallo per il club», borbottai tra un gemito di fatica e l'altro.

Ma era troppo. Dopo cinque metri feci qualcosa che mai avrei fatto fino a qualche tempo prima: feci cadere a terra la rete, ansimando. Sapevo che era sbagliato, che ne dipendeva il mio club, ma non era giusto e non ci sarei riuscita fisicamente a tirare quella rete per tutto il campo.

Presi dei respiri profondi e mi voltai alle mie spalle per riconoscere Aiden. Si accorse del fatto che non stavo più tirando e si bloccò sul posto. Si compose in piedi per scrutarmi con sorpresa e intese dalla mia espressione che non avevo alcuna intenzione di continuare a tirare quella roba.

Ghignò soddisfatto. Potei scorgere un minimo di fierezza sul suo volto. Fierezza di cosa?

Rimasi con sguardo pentito a guardare la mia rete stropicciata per terra, mentre il riccio si avvicinò. Si morse il labbro, per poi fare cadere la sua rete accanto alle mia.

«Sicura di essere pronta a fare una cosa del genere? Non seguire gli ordini del preside intendo», chiese con un ché di divertito nella voce. Si passò un mano tra i capelli scompigliati, mentre si voltò per lanciare uno sguardo sulla scuola alle nostre spalle.

Lo imitai nervosa. «Non lo so. Cosa succede se vede che non stiamo lavorando?»

«Cosa ti aspetti che succeda?», rise. «Mica ci arrestano.»

Gli diedi una spinta sul petto arrabbiata. «Bè, scusa se mi preoccupo. Non tutti sono degli incoscienti come te.»

«Incosciente?» Alzò un sopracciglio e io annuii irritata. Non mi piaceva come stavo reagendo.

Aiden mi scrutò con un lieve sorriso. Wow, il secondo in questo giorno. «Ci si sente bene a infrangere le regole, non è vero?»

«No che non ci si sente bene!», sbottai con un ché di impanicato nella mia voce.

Sorprendentemente il moro scoppiò a ridere. Non in una risata forzata, stranamente era sincera. Aveva un suono quasi innocente. Dovetti sorridere mentre scrutai i suoi denti bianchi. «Non so perché mi sto comportando in questo modo...»

Il riccio sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Juliet. Hai quasi diciotto anni. Puoi fare tutto quello che vuoi. Non farti limitare da coglioni come il nostro preside se sei meglio di lui.»

Abbassai lo sguardo lusingata. Mi aveva appena fatto un altro complimento? Per un attimo feci caso alle sue parole. Posso fare davvero tutto quello che voglio? Sentii uno strano sentimento nel petto all'idea.

«Andiamocene», propose. Alzai lo sguardo sui suoi occhi, notando una strana lucidità in essi. Poteva essere così lunatico? Mi guardò speranzoso, facendo cenno col capo sulla strada.

Scossi la testa. «Stai scherzando spero. Non possiamo andarcene. Il preside se ne accorgerà.»

«Sti cazzi, Juliet.»

«Aiden!»

Sghignazzò. «Come sei esagerata... te l'avevo detto che ti scandalizzi per tutto-»

«Smettila. So che stai solo cercando di manipolarmi per convincermi», enunciò, incrociando le braccia al petto.

Sinceramente non sapevo quali fosse le sue intenzioni e questo mi spaventava ancora di più. Il modo in cui mi scrutava in silenzio era segno che stava aspettando che accettassi la sua proposta di andarcene.

«Non andiamo via, Aiden», lo informai per chiarire.

Sbuffò, scuotendo il capo. «Olivia aveva ragione quando ha detto che sei una santarellina.»

Ecco una pugnalata al cuore. Cercai di proteggere il mio orgoglio: «Olivia non mi conosce e tu tanto meno, quindi non potete giudicarmi.»

Aiden annuì col capo d'accordo, poi fece cenno col capo verso il parcheggio. «Allora provamelo che non lo sei.»

«Non ti devo provare nulla», sbottai a denti stretti, ma lui sembrava aspettarselo.

«Vedi?» Mi guardò soddisfatto, mentre io sentii i pugni stringersi per l'irritazione.

Si incamminò verso il parcheggio. «Io intanto vado, tu puoi pure restare e annoiarti.»

«Bene.»

«Fidati che stai facendo una cazzata. Tanto non se ne accorgerà.»

«E come fai a saperlo?», ribadii. Incrociai le braccia al petto, guardandolo con un sopracciglio alzato. Il moro si voltò, scrutandomi con serietà.

«Ti fidi di me?», domandò piano.

Sentii il respiro più pesante. Avrei voluto rispondere di no, ma qualcosa in quelle iridi chiare mi diceva di farlo. Di fidarmi di lui. Di un ragazzo tatuato con dei problemi di rabbia.

«No», sbottai, anche se con dell'insicurezza nella mia voca. «Non c'è motivo per cui dovrei farlo.»

Aiden se ne accorse. Incrociò le braccia e inclinò il capo come per dire 'stai scherzando'. Avrei dovuto davvero fidarmi di quel ragazzo e lasciare la mia funzione? Mettere a rischio il club, ma sopratutto la mia reputazione tra i professori. Tanto ormai è già rovinata.

«E va bene», sbuffai, avvicinandomi a lui. Rise soddisfatto. «Ma non andiamo troppo lontano, che dobbiamo essere tornati per la fine della punizione.»

«Va bene. Tanto abbiamo due ore.»

Notai il modo in cui sogghignò divertito. Il suo sorriso era quasi adorabile. Prese le chiavi della sua macchina dalle sue tasche.

Osservai con preoccupazione le chiavi nella sua mano. Sto davvero per entrare in macchina con lui? «Promettimelo che torneremo in tempo», gli ordinai. «Sennò non entrò.»

Annuì tenendo lo sguardo fisso davanti a sé: «Promesso. Ora entri? Per favore.»

AnarchiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora