Bred sbuffò e salì le scale, seguito da Freddie, mentre io e Jeff restammo al piano di sotto.
«Ma cos'è successo?» chiesi.
Il mio amico scrollò le spalle.
«Ha detto Fred' che ne aveva parlato anche con te».
«Ho giurato di non dirlo ad anima viva dal 1968, non fare domande» pretese.
C'era da dire che erano proprio noiosi quando facevano così.
«MA SEI PAZZO?!»
La voce di Friederike riecheggiò attorno a noi come un potente eco.
In silenzio cercai di raggiungere le scale, ma Jeff mi bloccò la strada.
«No, Robbie, scusa, ma questo non puoi saperlo» esordì.
«Dai, Jeff! Il 1968 è più di cinque anni fa!» protestai.
«Ma brava, sai contare».
Gli scoccai uno sguardo che avrebbe tranquillamente ucciso.
«Nel 1968 noi non ci conoscevamo ancora» ragionai. «Ero appena entrata negli Smile, tu non c'eri... E poi perché Freddie può saperlo e io no?»
«Perché Bred non ha fegato».
«Non rispondi alla domanda».
«Tecnicamente, l'ho fatto» ribatté pacato.
Odiavo quando aveva quel tono di voce calmo e rilassato anche quando stavo tranquillamente per picchiarlo.
Friederike ci raggiunse borbottando parole come "Bred", "deficiente", "crazy katika upendo", qualunque cosa volesse dire con quell'esclamazione, e "vigliacco".Fu così che non vedemmo Bred fino a lunedì mattina (verso le quattro), quando, una volta sceso, fu assalito da una sottoscritta in pigiama che ha assimilato nel proprio corpo almeno una tonnellata di caffè.
«Cosa voleva sapere Freddie?» domandai trotterellandogli attorno.
«Niente di che».
«Dai, Bred, voglio sapere!»
«I genitori di Freddie hanno una piscina, contenta?»
«Abbiamo visto casa loro, non hanno nessuna piscina».
Alzò gli occhi al cielo esausto.
«Mia madre si è beccata un brutto raffreddore, spero che guarirà» riprovò.
«Jeff mi ha detto che» iniziai e qui riprese in fretta la sua maschera quasi come se volesse negare ciò che mi aveva rivelato il nostro amico, «ha giurato di tenere segreto quello che gli hai detto dal 1968».
Tirò un sospiro di sollievo.
«Allora?» incalzai.
«Puoi tartassare Freddie con le tue domande? Io non credo di star bene» borbottò sbadigliando.
Non me lo feci ripete due volte e corsi in camera della ragazza.
Era lei di solito a svegliarsi per prima, ma, essendo le quattro e un quarto, dormiva ancora.
«Sveglia, gattara!» esclamai togliendole le coperte di dosso.
Mugugnò infastidita, così presi Delilah da sopra il letto e gliela poggiai in faccia.
Con mia grande sfortuna, Freddie sorrise, si portò il gatto al petto, l'abbracciò, gli baciò la fronte e ritornò a dormire.
Sbuffai, prima di correre a prendere il basso di Jeff e di posizionarlo poco sopra la sua fronte.
«Guarda che te lo faccio cadere sul naso» minacciai.
«Mama, sitaki kumtuma Delilah mbali» blaterò con la bocca ancora impastata dal sonno.
«Ti giuro che lo faccio!»
«Ifanye».
«Sto per farlo cadere!»
«Sawa kabisa».
Osservai il grosso gatto perlaceo che mi guardava con superiorità.
«Cosa guardi che non sai svegliarla nemmeno tu?» la schernii.
Delilah miagolò e poggiò con decisione una zampa sul naso di Freddie, che aprì gli occhi, si stiracchiò a 'mo di principessa delle fiabe e borbottò un «Hai fame, amore mio?»
«Non ci credo» sussurrai stringendo forte il basso di Jeff, prima di darlo in mano a Fred'.
«Oh, ciao, Robbie» salutò sorridente.
«Di che cosa parlavate tu e Bred ieri?» domandai.
«Di nulla, ha lavato la cuccia di Deli con l'acqua invece di tenerla al sole: a lei piacciono le cose calde».
«Non è questo, dev'essere successo nel 1968, non sono mica scema, Fred'».
«Robbie, non voglio farti perdere il tuo migliore amico».
«Lo fai solo perché se mi arrabbiassi con lui poi lascerei il gruppo?»
«Siamo così adorabili!» protestò.
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Mi chiamavano "Regina"
Teen FictionAvere un obiettivo è la più grande dichiarazione di guerra che fai a te stesso. Sai di dover lottare. Sai di dover resistere. Sai di dover annientare pregiudizi e vecchie tradizioni. Non mi aveva mai detto nessuno che mi sarebbe costato il mio s...