Bohemian Rhapsody

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Friederike era sempre stata molto riservata – come ben ricorderete, non avevamo nemmeno la certezza che quello fosse il suo vero nome – e ne avemmo la prova nel settembre del 1974, quando rientrai in casa dopo aver lucidato Baby.

Non c'era nessuno, probabilmente Jeff e Bred erano usciti e Delilah dormiva comodamente sul divano, solo un soffice sottofondo di pianoforte inondava le stanze.
Posai piano il secchio colmo d'acqua sul pavimento, mentre mi aggiravo nell'abitazione in cerca di Freddie senza trovare traccia della ragazza, né del piano di solito accostato alla parete accanto alla batteria.
«Freddie!» la chiamai.
Non ottenni risposta.
Stavo per precipitarmi fuori a cercare i ragazzi, quando, passando davanti la finestra, la vidi.
In giardino, all'ombra della staccionata arrugginita, la corvina stava suonando il piano... e piangeva.
Aprii piano la porta e uscii.
Quando Fred' si accorse della mia presenza, scattò in piedi.
«Tutto ok?» domandai incerta.
Friederike sorrise. «Certo».
«Perché il pianoforte è qui?»
«Non c'era nessuno, volevo un po' stare tranquilla in santa pace e... beh, fuori si stava bene, perciò... Tu, invece, che stavi facendo lì impalata?»
Scrollai le spalle, sfiorando con l'indice la tastiera.
«Ti piaceva?» mi domandò.
«Cosa?»
«La musica».
Ci pensai un attimo su.
«Sì» dissi infine. «Era bella... L'hai scritta tu?»
«Mi avete aiutato voi, anche se non ve ne siete accorti di certo».
«Wow... Sei geniale a volte, lo sai?»
Mi sedetti accanto a lei.
«Secondo te cosa dovrei fare con... ehm... quel piccolo malinteso con i miei genitori?» chiese titubante.
«Sai chi ti potrebbe aiutare?»
Scosse la testa.
«Bred!» risposi. «Lui sa tutto di tutto! Insomma, è stupido, idiota, imbecille e quant'altro, ma sa il fatto suo nei problemi... sì, Fred', problemi di tutti i tipi, non sto scherzando».
La corvina sorrise. «Grazie».
«Sì, ora mi dici perché volevi suonare qui».
Sospirò.
«C'è una ragazza» iniziò.
«Davvero? Dio mio, Freddie, quando me lo dici?»
«Non so chi sia o come si chiami, ma si ferma tutti i giorni qui fuori a fumarsi una sigaretta e... è stupenda... anzi no, mozzafiato... ma che dico! Dovresti vederla, Rob, è... cioé, lei è...»
«Descrizioni perfettamente oggettive e dove trovarle» scherzai.
«Ho deciso che voglio avere un nome d'arte».
«Un nome d'arte?»
«Sì... Qualcosa di immortale... Non so, Bred mi ha detto che tu eri brava in mitologia, spara qualcosa di eccentrico alla Robbie, dai».
«Io e Bred non andavamo a scuola insieme, e, comunque, solo perché ho detto che sembrava... Ok, forse ne so qualcosa...»
La ragazza mi sorrise raggiante.
Sbuffai. «Come vuoi».
«Evvai!»
«Bene, allora, oltre all'immortalità, vuoi avere delle caratteristiche normali oppure solo egocentrismo cosmico?» la schernii.
«Non saprei, vorrei portare la gente a sognare... magari, vorrei essere anche... non so, una persona movimentata, allegra, che imbroglia la gente senza problemi».
«Greco o romano?»
«Cosa?»
«Il nome lo vuoi greco o romano?»
«Facevo fatica a capire mio padre quando mi spiegava le cose belle del latino, figurati il greco» sbottò.
«Ok, allora romano... Beh, forse Mercurio potrebbe andare bene».
«Farr... Cioé... Friederike Mercury? Suona male, no?»
«Stavi per dire il tuo nome, Fred'?»
«Ci sono! Freddie Mercury! Che ne dici?»
«Non mi ignorare».
«È solo uno stupido nome!»
«No, Fred', non è solo uno stupido nome, è segno di fiducia».
«Basate tutto sulla fiducia, voi inglesi» si lamentò la ragazza.
«Scusami, ma tu di dove sei?»
«Zanzibar, Stone Town, insomma, non qui... Credevo si notasse».
«Sai parlare fin troppo bene» sottolineai. «Dai, perché non lo vuoi dire?»
«Fatti miei, Rob».
Sbuffai.
«Perché hai portato anche il piano fuori?» domandai.
«Per attirare la sua attenzione, no?»
«E ti ha notato?»
«Non è venuta...»
Sospirai scuotendo la testa.
«Dai, verrà domani» promisi, cercando di consolarla.
«Come dovrei chiamare il pezzo, secondo te?»
«Ah, non lo so... "Galileo", magari?»
«Ma hai un'ossessione con questo Galileo!» rise lei.
«Sei tu che continui a cantarlo! Non sento più parole con quel sottofondo musicale se non "Galileo"!»
«Magari... ehm... Che ne dici di "I don't want to die"?» provò.
Scossi la testa.
«Tanto non la ascolterà nessuno» sussurrò affranta.
«E se invece non fosse così?» chiesi in tono di sfida.
«Ma di che stai parlando?»
«Scommettiamo che questa canzone ci porterà alla fama? Questo pezzo farà entrare i Queen nella storia e Freddie Mercury diverrà leggenda! Se non sarà così, ripeto, se non sarà così, io non dedicherò mai qualcosa a Baby, né tu a Delilah. Ci stai?»
Le porsi la mia mano martoriata da graffi e lividi delle bacchette della batteria, che strinse.

E, ragazzi, ci riuscimmo.
Sembra facile, eh? Il racconto di una vita mostrato come carte su un tavolo da gioco. Vi assicuro che non è così.
Volete una prova?
Freddie, per seguire i suoi sogni e la sua libertà, ci rimise la vita, ma questa è un'altra storia.

Mi chiamavano "Regina"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora