Phone Number Race

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«Perché mi segui?» domandò Jimmie continuando a bere, come se, in fondo, non le importasse.
«Non ti seguo» ribatté Freddie, prima di avere il volto illuminato da un'idea geniale. «Facciamo una gara, ti va?»
«Una gara?» ripeté lei.
«Sì, la prima che riesce a prendere il numero di telefono di quella gnocca, deve fare tutto ciò che le dice l'altra...»
Jimmie le scoccò uno sguardo orripilato.
«Entro i limiti del pudore, ovviamente, non sono così crudele» si affrettò a spiegare Friederike.
La ragazza sorrise. «Ci sto».
Prima che una delle due potesse avvicinarsi, però, fu lei ad avanzare verso di loro.
«Ehm... Scusa,» iniziò rivolta a Freddie, «ma ho notato che somigli terribilmente a...»
«... Freddie Mercury?» intuì Fred'. «In persona, cara!»
Lei annuì.
La mia amica sorrise. «Non è che mi faresti un piacere, tesoro?»
«Certo».
«Mi puoi scrivere... qui» propose porgendole una penna ed un fazzoletto, «il tuo numero di telefono?»
La ragazza sembrò esplodere di gioia ed obbedì all'istante.
Povera, mi fa pena.
«Grazie mille» salutò Freddie facendole l'occhiolino.
La ragazza se ne andò saltellando.
Friederike si voltò verso Jimmie.
«Credo di aver vinto» annunciò sorridente.
Lei era più che scioccata.
«Si può sapere chi diavolo sei?» domandò divertita.
«Te l'ho detto, sono Freddie Mercury».
«Sì, ma chi sei? Perché ti conosceva?»
La mia amica estrasse dalla tasca dei jeans un volantino pubblicitario di un nostro vecchio concerto e lo fece scivolare verso Jimmie. «Tieni».
«Ma lo tieni sempre in tasca?»
«Non importa, ho vinto, devi fare ciò che ti dico» pretese.
«Va bene, dici, dai».
«Passa due sere con me».
Jimmie la osservò sbigottita. «Tu scherzi».
«No, questo è uno dei miei rari attimi di serietà» continuò Freddie.
«Due sere? Con te?»
«Sì, tesoro, hai capito bene. Questa sera e domani sera».
«Questa sera?!»
«Sì, sei in un bar alle sette e mezzo di sera, non credo tu abbia programmi, perciò vieni con me».
«Se vuoi spaventarmi, ti assicuro che ho passato abbastanza tempo con mio padre per non aver paura di niente» iniziò la ragazza.
Fred' sorrise. «Te l'ho detto: solo questo, poi sparisco... se vuoi potrei, non so, rimanere».
«No, poi sparisci» decretò lei.
«Va bene, poi sparisco».

Segnatevi un attimo la citazione.

Per un attimo ho davvero avuto pena per Freddie, perché noi non facemmo proprio i bravi amici quella sera.
Cioè, con "noi" intendo io e Bred, sapete benissimo che Jeff è mezzo santo... anche se, proprio quella volta, non è che si comportò in quel modo.
Ecco ciò che vide la nostra amica quando entrò accompagnata da Jimmie:
«AMMAZZALO, IDIOTA!» urlai in piedi sul divano brandendo una cucchiarella ed un coperchio da cucina.

Ricordiamoci che ero sempre incinta di quattro o cinque mesi, eh!

Ora che ci penso, so perché Felix ha il carattere che ha...
In sintesi: tutta colpa di Bred!

Il mio migliore amico non era messo meglio, aveva una pentola in testa, la faccia dipinta e una benda sull'occhio, mentre si difendeva con una sedia.

Una sedia, ragazzi, che arma letale!

Meglio la cucchiarella.

Jeff era sotto il tavolo a modificare una lampadina affinché emettesse luce azzurra e rossa.

«Quindi vivi con dei... barboni?» domandò Jimmie.
«No» rispose la ragazza fumante di rabbia.
«Fai per caso volontariato per quella faccenda della riabilitazione?» riprovò.
«No» sentenziò ancora lei. «Guarda i nomi sul volantino, Jimmie».
«Robbie M. Taylor,» lesse osservandomi, «Jeff R. Deacon,» spostò lo sguardo sul bassista, «Bred H. May» concluse guardando il ragazzo che scansava un mio schiaffo.
«Tesori, posso sapere che cosa cazzo vi è saltato in mente?!» esclamò Friederike infuriata.
«Ehm...» borbottai.
«Di chi è stata l'idea?» domandò irritata.
Tutti e due indicarono me.
«Traditori!» mormorai frai denti.
Freddie respirò piano cercando di rimanere calma. «Jimmie, ecco a te le persone più stupide dell'universo».
«Ehi!» protestai. «Ti avrò dato l'ispirazione per almeno una quindicina di pezzi!»
«E ora giochi a fare il pirata nonostante aspetti un bambino e gli altri due siano padri e mariti, ma, sì, mi hai fatto venire in mente un paio di idee» ridicolizzò lei.

Mi chiamavano "Regina"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora