Delilah

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Delilah.

Delilah.

Delilah.

Siamo davvero arrivati all'ultimo pezzo di Innuendo?

Dio mio, ho bisogno di bere, questa storia è durata troppo poco...

È che sembra ieri quando ho trascinato Freddie Mercury fuori da un garage pubblico dietro ad un bar, parlarne come se fossero passati cinquant'anni... il che è vero, sono passati davvero tanti anni... beh, fa male. Molto male.

«Robbie... si può sapere che hai?» domandò Jeff.
Era una semplice porta a dividerci, ma per niente al mondo avrei annientato anche solo quella minima distanza.
«Sì, insomma, è una cosa stupida, eppure non capisco perché fai così» rivelò. «Mi dispiace, se può farti stare meglio... Non avrei dovuto dire quella cosa a Freddie e... Scusa, davvero».
«E pensare che Fred' dice che consoli bene! Per caso la paghi per farti buona pubblicità?» chiesi aspra.
Sorrise. «No, è che...»
«Cambia aria!» tagliai corto spazientita.
Sentii i passi del bassista allontanarsi sempre di più.

Perché facevo così? Non ne avevo idea.
Sapevo come Bred che quelli erano gli ultimi momenti di Friederike e non capivo perché continuavamo ad evitare la verità; cercavamo di schivarla come pioggia acida, senza renderci conto che quel fiume che ne sarebbe uscito fuori ci avrebbe travolto.
Tutti tranne il mio migliore amico, lui ci ha sempre visto chiaro, anche a costo di procurarsi dei danni a cui non sarebbe stato in grado di rimediare.
«Robert, esci».
Obbedii senza fare storie, come se fosse un gesto fatto meccanicamente.
«Si può sapere come diavolo fai?!» esclamò il bassista.
Freddie aveva gli occhi rossi, ma sorrideva.
Tra le dita magre reggeva il suo taccuino rosso.
«Mother Love, Too Much Love Will Kill You e... una sorpresa» spiegò quando notò il mio sguardo incuriosito.
«Capisco» mormorai.
Sospirai, osservai di sfuggita gli occhi grigi di Bred e sfrecciai fuori.

«Cos'è successo? Farrokh sta bene?» domandò Deb una volta che arrivai a casa.
«Sì, lei sta bene e... non dovresti chiamarla così, sai? La faresti arrabbiare».
«È proprio questo il motivo per cui lo faccio».
Sbuffai infastidita.
«Tutto bene, Rob?» domandò avvicinandosi.
«Sì, tutto ok, lascia stare».

Non vidi Freddie o Jeff per le due settimane successive, ogni volta che entravo in quello che era diventato un po' il nostro studio, uno inventava una scusa per andarsene e, dopo un po', chiamava l'altro per farsi raggiungere.

In una sola parola? Una tortura.

L'unico che continuava a parlarmi era Bred, cosa positiva sotto parecchi punti di vista, ma negativa verso altri.

Il 6 marzo sera, Friederike aprì la porta e trovò ad aspettarla, specchiato nelle sue iridi azzurro elettrico, il mio sguardo zaffiro.
«Cosa c'è?» chiese con tono orgoglioso.
Non avrebbe potuto di certo essere scortese, ma mai nessuno l'avrebbe offesa senza ricevere uno scappellotto dalla sua fierezza e mancanza di modestia.
«Ho capito cos'è che ci rimane da fare» chiarii.
Inarcò un sopracciglio scuro. «Sputa il rospo».
«La scommessa. È questo ciò che dobbiamo concludere».
Si guardò attorno confusa.
«Quale scommessa?» domandò seria.
La osservai pietrificata per un po', prima di vederla scoppiare a ridere.
«Robbie, non fare così, mi manca Felix, non posso continuare a non vederlo».
Le sorrisi.
«Mi è mancata la mia sorellina» mormorò abbracciandomi.
«Non vederti per settimane è una tragedia, ad un certo punto tutti ti sembrano cantare Love Me Like There's No Tomorrow e Good Old-Fashioned Lover Boy, avrò la testa in tilt» scherzai staccandomi.
«Sì, comunque, hai ragione, devo preparare Delilah entro... entro subito, così posso morire quando mi pare».
«Intendi il pezzo? Perché io... no, io non intendevo quello, Fred', non voglio che tu muoia, non lo voglio affatto».
«Certo, lo so... Ma fammi una promessa, va bene?» chiese.
Scrollai le spalle. «Sì, certo, tutto quello che vuoi».
«Chiama tuo figlio Tiger, è un nome che mi piace... Oh, e, se mai dovessi avere un'altra figlia, il suo nome sarà Tiger Lilly, va bene?»
«No, mai nella vita chiamerei in quel modo un bambino» sentenziai.
Mi guardò sull'orlo del riprendere a scoppiare a ridere.
«Che peccato, speravo nel Tiger Lilly».
«Non ci provare» la avvertii. «Tu ora mi fai quel tuo faccino carino e io dovrei cedere?»
«Con Jeff, Marius e Jimmie funziona... Cos'avete tu e Bred che non va?» domandò.
«Ehm... un cervello?» proposi.
«Ehi!» esclamò Jimmie dal soggiorno.
«Fred', senti, riguardo a ciò che ho detto... mi dispiace, sai che quando mi incazzo sparo cretinate dalla bocca, lo sai bene».
«Sì, l'unica regina isterica degna di questo nome ti conosce, non preoccuparti... Ah, scusa anche tu».
«Per cosa?» chiesi senza capire.
«Per averti riempito di insulti, minacce e maledizioni» spiegò.
«Ma non lo hai fatto».
«Già, non l'ho fatto ad alta voce... Ci si vede!»
Così chiuse in fretta la porta e scomparve alla mia vista.

Potete immaginare la mia reazione quando il giorno dopo portò davvero il pezzo completato in tutto e per tutto. Ricordo perfettamente le imprecazioni di Bred quando dovette modificare la sua chitarra per produrre esclusivamente miagolii, ci impiegò mesi.

Mi chiamavano "Regina"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora