«Mamma... credo ci sia un mostro sotto il mio letto...» sussurrò Felix con il volto seminascosto dalle lenzuola.
Sbuffai.
«Fel, non c'è niente sotto il... OH, DIO! MI HA PRESO IL BRACCIO!!!»
Urlò.
«Scherzo,» replicai accarezzandogli i capelli, «lui mangia solo i bambini. Buonanotte».
Così chiusi la porta della sua camera e mi ritrovai l'espressione infuriata di Freddie ad un centimetro dal mio naso.
«Ma tu non te ne sei ancora andata?» domandai scocciata.
«Dominic non è ancora tornato. E l'ho sentito urlare» continuò indicando la porta della stanza di Felix.
«Sì, non preoccuparti, dormirà come un ghiro» assicurai allontanandomi e sedendomi sul divano.Quella mattina fu una delle più strane della mia vita.
Camminavo su Regents Street, quando qualcuno mi afferrò saldamente la spalla.
Sobbalzai.
«Jimmie!» esclamai con una mano al petto cercando di riprendere fiato.
«Scusa, non volevo spaventarti» sorrise la ragazza comparendo al mio fianco.
Annuii.
«So che tu sai... insomma, sai di Freddie» borbottò.
Iniziammo a camminare fianco a fianco, mentre sentivo la sua preoccupazione invadere un po' anche me.
«Sì» sentenziai infine.
«Bene» sussurrò.
«Tutto ok, Jimmie?»
Osservò dalle iridi nere la strada che scorreva ai suoi piedi.
«Dice che vuole fare testamento... quindi, non so... tu, Bred e Jeff aspettatevi qualcosa, ok? Anche se già so cos'ha in mente Freddie...»
«Già,» iniziai, «sicuramente vorrà darti in eredità quell'immensa casa dove ha i gatti e tutto il resto».
Mi faceva piacere l'idea di Jimmie circondata da ricordi di Friederike, non so perché.
Eppure, lei storse la bocca.
«Jimmie?»
Sospirò. «Mi lascia una parte delle cose, ma non m'importa».
«E allora perché sei... così?»
«La maggior parte dei suoi beni, la sua casa e tutti i suoi gatti, quel pianoforte d'argento e tanto altro... sono di un tipo che non conosco».
«Volevi avere la responsabilità di quelle piccole bestie di Satana?» scherzai.
Mi resi conto dell'alternativa.
Si collegava finalmente tutto.
«Come si chiama?» domandai.
«Dice che è un suo carissimo amico, che gli deve tanto, ma ha un nome da femmina che non ricordo... tipo Marilyn... o Mary... o...»
«Marius?» la interruppi.
Annuì. «Sì, è proprio Marius! Ma tu come fai a saperlo?»
«Io lo odio quel tizio» risposi noncurante.
«Scommetto che io lo odio di più».Già, forse lei lo odiava di più.
Soprattutto quando Freddie morì e quel gentiluomo le diede «trenta giorni di tempo per prendere le tue cose ed andartene».
Andarsene da quella che era casa sua, sì, ma prima di tutto era casa di Freddie Mercury e, su questo potrei scommetterci, lei non avrebbe permesso a nessuno di ordinare alla sua ragazza di sloggiare da nessuna parte.
Figuriamoci da casa sua.Tralasciando il particolare che svuotare una casa di non so quanti piani in trenta giorni è un'impresa.
Non la definisco impossibile perché Jimmie ci riuscì, ma lasciamo perdere.«Non ti sembra ingiusto?» domandai.
«No».
«Ma tu la ami!»
«Chi non ama Freddie?»
«No, dico, tu la ami nel senso che la ami!»
Scrollò le spalle con un leggero sorriso sul volto. «Forse è proprio perché la amo che non m'importa se non vuole lasciarmi delle cose materiali, io ho qualcosa che nessuno avrà mai... E, forse, non ha importanza cosa avrò quando se ne andrà perché me ne andrò anch'io».
«Tutti dobbiamo morire...»
Il suo sguardo per un secondo incontrò il mio, poi scosse la testa sconsolata.
Tentennai. «Oh... Glielo hai...?»
Aveva gli occhi lucidi. «Le avevo detto che non potevo...»
Le si spezzò la frase in gola.
Quindi Jeff aveva ragione.
Strinsi i pugni, ma non proferii parola al riguardo, Freddie mi avrebbe odiato.
«Non fa niente, Jimmie» sussurrai dandole un colpetto affettuoso sulla spalla. «Va tutto bene... Del resto, è una vita difficile, no?»
Mi sorrise. «Freddie credeva che mi avresti ucciso».
«Nah, magari qualche pallottola... o qualche rincorsa dalla macchina, ma è tutto a posto».
Scoppiò a ridere.
«Però hai ragione,» concordò, «è una vita difficile».
È una vita difficile...
Un'idea mi sorvolò la mente alla velocità della luce.
«Mio Dio!» esclamai sorridente.
«Che succede?» domandò scostandosi spaventata.
«Mi... mi è venuta un'idea geniale! Devo dirlo a Fred'!»
La salutai e sfrecciai via.
Ovviamente, però, Friederike non poteva lasciare la mia illuminazione immacolata e pura, ma doveva metterci anche qualche parte di opera e così via.
Certo, il suo genio non manca mai, va bene così, ormai era un'ovvietà irrimovibile che, tra l'altro, nessuno di noi avrebbe avuto né la voglia, né il coraggio di rimuovere.
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Mi chiamavano "Regina"
Teen FictionAvere un obiettivo è la più grande dichiarazione di guerra che fai a te stesso. Sai di dover lottare. Sai di dover resistere. Sai di dover annientare pregiudizi e vecchie tradizioni. Non mi aveva mai detto nessuno che mi sarebbe costato il mio s...