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«Non ho capito» borbottai confusa.
«Cosa c'è da capire? Sono un genio» decretò Jeff scrollando le spalle.
Gli diedi una spintarella affettuosa con la mano, prima di scorrere lo sguardo zaffiro su Freddie.
«Spiegati meglio» ordinai seccata.
«Va bene. Allora, Jimmie non torna mai a casa sua, ma va sempre in un... ehm... salone di bellezza in miniatura» proferì lei.
«Si dice negozio di... Fa davvero la parrucchiera?!» esclamai divertita.
Bred scoppiò a ridere senza riuscire a controllarsi.
«Scusa, stavolta è colpa mia» mormorai cercando di rimanere seria.
Jeff ci porse uno sguardo assassino.
Sempre secondo i limiti della paura che può incutere uno come Jeff.
«Comunque,» continuò Friederike, «con una scusa vedrò di parlarle».

Certo, parlare è facile, come no.
Cinque maledettissime volte abbiamo dovuto spingere Freddie in quel maledetto negozio per constringerla a parlare con Jimmie.
Altro che terza volta, solo la quinta sembrò funzionare.

La prima volta la mia amica provò ad aspettare che finisse di lavorare ed uscisse.
Scoprì troppo tardi che quella mattina non era andata a lavoro.

La seconda volta la seguì in un bar, ma non ebbe il coraggio di rivolgerle la parola.

La terza volta la seguì nuovamente, ma era accompagnata da tre amiche, perciò volle evitare.

La quarta volta aspettò ancora che finisse di lavorare, ma uscì accompagnata da un ragazzo e Freddie fu parecchio demoralizzata.

«Non ce la farò mai» gemette seccata gettandosi sul divano.
«Dai, non fare così, vedrai che ci riuscirai» la consolò Jeff sedendosi accanto a lei.
«Perché, secondo voi non se n'è accorta che la segue sempre?» chiesi incrociando le braccia.
«Si vede che non è destino...» mormorò Bred.
Lo guardai infuriata. «Destino?! Non si può affidare al "destino", se vuole avere una cosa deve lottare per averla, anche a costo di perderla!»
«Insomma, non dovrebbe stare spaparanzata sul divano come un pachiderma spiaggiato» concluse Jeff.
«Esatto» confermai.
«Sentite, non fa nulla, vado a fare una cosa» borbottò Friederike alzandosi ed uscendo.

Ragazzi, altro che terza volta, la giusta è la quinta.

La ragazza spinse la porta del suo bar preferito di Abbey Road, sgusciò dentro con aria mogia e si avvicinò al bancone.
Accanto a lei, oltre a spogliarellisti e ragazzi che si baciavano, una figura sorseggiava la sua birra ghiacciata.
Freddie per poco non saltò dall'emozione.
Erano più vicine di quanto avesse voluto.
«Ehm... Ehi, Jimmie!» la salutò affettuosamente.
Lei si voltò spazientita, prima di riconoscerla e di sorridere lievemente.
«Tu non sei quella della casa in cui fumo?» chiese.
La corvina annuì. «Posso offrirtela qualcosa da bere adesso?»
Jimmie scosse la testa.
«Scusa, è che non mi va» spiegò.
«Ho capito,» scherzò Friederike, «tu sei più tipa da...» puntò il dito verso una ragazza, «...quella lì».
«Oh mio Dio, anche sì!» esclamò sorridendo.
«Già, io sono brava in queste cose, ho una specie di radar... e molto intuito».
«Che intuito, però, capire che vorrei farmi una con un bel davanzale» esordì Jimmie continuando a bere.
«Beh, quello era scontato» proferì Fred'. «Guarda il caso, però, questo è il mio bar gay preferito».
«Ti piacciono anche le foto delle ragazze sulla vetrina del mio negozio, oppure...»
«Oh, quindi tu lavori lì...» iniziò Freddie.
«Già, non te n'eri accorta, vero?» domandò sorridendo retorica.

Mi chiamavano "Regina"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora