And Now It's All Dark

16 5 0
                                    

In questo casino nacque il pezzo che più al mondo mi sta sul cazzo.

Jeff, tu un errore hai fatto nella tua vita: Another One Bites The Dust.

Se chiedete in giro quale canzone dei Queen fa venire l'emicrania, tolto quelli che diranno Delilah (gossip di prima scelta. Morte e lutti. Non chiedetemelo dopo), il titolo che uscirà fuori sarà: Another One Bites The Dust.
Fidatevi.
La storia di quell'errore madornale non la volete sapere. Ma io ve la dico lo stesso.

Andava l'agosto del 1980 ed io, Bred e Freddie non avevamo niente di meglio da fare che litigare.
O, meglio, io ero incazzata con Fred' perché non ci aveva detto quella storia dell'AIDS (lei non sapeva perché ce l'avessi tanto con lei, eh), Bred cercava di calmare le acque sovrastando le nostre voci con urla più forti (che psicologo, complimenti) e Jeff se ne stava in un angolo facendo finta di non esistere.

Ditemi voi che cos'ho fatto per meritarmi questo.

«Noi non sappiamo niente» sono state le parole che decretammo guardandoci negli occhi la notte in cui lo scoprimmo.

Osservai truce Freddie, mentre il piccolo Felix Luther era in braccio a lei e Bred mi dava generose pacche sulla spalla. Jeff accordava irritato il basso.
«Che c'è?» domandò sorridendo Friederike. «Ho fatto qualcosa a Lilith?»
Il mio migliore amico dovette trattenersi dal porgerle uno sguardo assassino.
«No,» sospirò infine forzando un sorriso, «non hai fatto nulla alla sua auto, non preoccuparti, fa solo Mamma Chioccia».
Freddie inarcò un sopracciglio divertita, prima di voltarsi verso Jeff, notare il suo volto tetro e far sparire il sorriso dalle labbra con aria preoccupata. «Che succede?»
«Niente, non preoccuparti» assicurò il castano.
«Tanto ci hai già distrutto le vite» sussurrai seccata.
La corvina sembrò offesa. «Cos'ho fatto adesso?»
Non ebbi tempo per replicare, la porta di casa si spalancò e la figura di Jimmie piombò tra di noi. Quando alzai lo sguardo verso di lei, notai che aveva gli occhi rossi dal pianto.
Freddie sorrise accogliente. «Era ora!»
«Mio Dio, te l'avevo detto, io...»
La nostra amica spezzò lo sfogo della sua ragazza indicando con l'indice la porta di una camera vuota dietro di noi.
Era perfettamente calma e felice, come se dovessero parlare di una festa a sorpresa in programma per qualcuno.
«Oh, giusto, scusa...» mormorò Jimmie, prima di far scivolare lo sguardo verso di noi e d'incamminarsi verso la camera indicata.
Friederike mi diede in braccio Felix.
«Perdonatemi,» proferì velocemente, «ha litigato con una persona a lavoro, voglio sapere com'è andata».
Sgusciò dentro la stanza e, da quel momento, non sentimmo più nulla.
Jeff posò il basso e scattò in piedi e così facemmo anche io e Bred.
Sembravamo tre pistoleri del vecchio Far West in attesa di sparare l'avversario, noi due con lo sguardo che screziava quello del bassista.
Posai con cautela mio figlio nella carrozzina.
«Jeff, siediti» ordinai.
Il sottile strato di lacrime che luccicava nelle sue iridi pungeva nella sua espressione sofferente.
«Non possiamo starcene qui fingendo di non sapere niente» sussurrò straziato.
«Hai ragione» concordò Bred. «Non possiamo: dobbiamo».
Il ragazzo tornò a sedersi a fatica iniziando a suonare il basso elettrico per distrarsi.
Freddie e Jimmie uscirono dalla stanza, la prima sorridente come non mai, mentre la seconda abbastanza abbattuta, eppure non piangeva.
La ignorammo, Jeff alzò il volume dell'amplificatore e continuò imperterrito il suo motivetto a capo basso.
Io e Bred sapevamo che in quel modo cercava di nascondere le lacrime.
Ascoltando la musica, lo osservai disgustata . «Cos'è quella merda?»

"Cosa". Volevo dire "cosa".

"Cos'è quella cosa?"

E, invece, no! Mi è uscito "merda"...

Che sfiga...

«Carina!» si complimentò Friederike lasciando con eleganza la mano di Jimmie e saltellando accanto al bassista. «L'hai scritta tu?»
Il castano annuì continuando a suonare col volto coperto dai capelli ricci.
«Fa schifo» borbottai in una smorfia.
Bred poggiò una mano sulla mia spalla come per sedarmi. «È diversa da quello che facciamo di solito».
«Disco music» mormorò Freddie prendendo in una mano il foglio con le note e nell'altra quello con le parole. «Però, carina, bel lavoro, Disco Deaky
Jeff posò velocemente lo strumento e scomparve ai nostri occhi alla velocità della luce.
Quando uscimmo in giardino, lo trovammo seduto per terra col capo raccolto fra le mani.
«Jeff,» sussurrò Bred inginocchiandosi accanto a lui, «non possiamo fare così».
Non rispose.
Fa sempre così quando qualcosa non gli va bene, ignora il problema.
Il punto era: in quel momento era impossibile ignorare il problema perché gli danzava davanti volteggiando come una ballerina di danza classica.
Oltre al fatto che non poteva ignorare ciò che per lui era...

Ok, ce la sto mettendo tutta, ma, per quanto voglia provarci, non riuscirò mai a comprendere Jeff. Nessuno ci potrebbe mai riuscire se non... beh, se non proprio Freddie.
Per lei era naturale capirlo, era un libro aperto ai suoi occhi, bastava spulciare tra qualche riga e cercare l'intoppo nella sua vita.

Ecco, forse ho trovato il punto.
Jeff non sarebbe più tornato Jeff per un semplice motivo: si era abituato a Friederike.
Cosa vuol dire?
Ovviamente, tutti noi le volevamo bene e, per quanto ci piaccia crogiolarci nel pensiero che lei fosse essenziale per noi, non è così.
Per Jeff avere qualcuno come Freddie significava non brancolare nel buio vuoto della sua stessa mente.
Era come stare in autostrada di notte, non si riesce a vedere niente senza fari, ecco, la nostra amica era come un gigantesco faro che fa tornare la luce.
Ed ora quel faro non c'è.
Ed ora è tutto buio.

Mi chiamavano "Regina"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora