Raccontarvi del 1981 e del 1982 significherebbe parlarvi dell'album Hot Space e, davvero, non volete saperlo.
Sì, vi conosco, non volete saperne niente di quel... coso.
Un po' non voglio raccontarvi la storia dei pezzi Cool Cat e Black Chat perché sarebbe una vera e propria offesa alla memoria di Freddie.
Sì, anche se lei li adorava e li reputava assolutamente fantastici, io odio quelle canzoni quasi quanto odio quella che dedicò a Delilah, ma non preoccupatevi, ci stiamo avvicinando a quel mostruoso momento.
Arriviamo, dunque, al 1984.
Che brutto anno il 1984, mamma mia...
Un anno di merda...
Ma sappiate che non solo io la penso così, sono dello stesso parere anche Jeff e Bred di sicuro.
Vedrete più tardi il perché.Felix compiva quattro anni a maggio, mentre il primo pezzo di quell'anno venne scritto a marzo, quindi diciamo che mio figlio aveva tre anni e mezzo quando mi diede la più grande ispirazione della storia delle grandi ispirazioni.
Stavo togliendo le spine ad alcune rose.
Non chiedetemi perché a Freddie siano venute in mente queste strane idee, non lo so neppure io.Era iniziato tutto quando aveva gettato un enorme mazzo di rose sul tavolo.
«Ma che diamine ci fai con quelle?» domandò Bred saltando sulla poltrona.
«Per il prossimo concerto» rispose vaga.
«Spiegati meglio» ordinai.
«Usivunjike!» esclamò con il volto contratto in una smorfia, poi incrociò lo sguardo severo di Jeff e sbuffò. «Va bene. Vorrei lanciarle alla gente, ma potrebbero farsi male, perciò dovete togliere le spine».
«Da quanto in qua hai voglia di lanciare rose alle persone?» domandò divertito il bassista.
«No, aspetta, non ho capito bene... La gente che non conosci non può farsi male e io... io devo rischiare di mozzarmi un dito tagliando le spine?!»
Friederike annuì.
«Perché tu no?» chiese il mio migliore amico. «Hai detto "dovete", non "dobbiamo"».
La ragazza scrollò le spalle. «Io devo uscire con Jimmie».
Stavo per saltarle addosso ed ucciderla, poi mi ricordai che lo avrebbe fatto l'AIDS per me, quindi cercai di non urlarle contro e di essere paziente.
«La prossima volta che vedrai Felix, lui avrà vent'anni» sentenziai con un groppo alla gola.
«Ehi! È il mio figlioccio, non puoi impedirmi di vederlo!»
«Certo, se mai dovessi morire, verrebbe affidato a te, ma vedrò di imporre al destino di morire solo dopo il suo ventesimo compleanno».
Freddie rabbrividì. «L'unico che ha imposto al destino qualcosa è stato Beelzebù e... beh, ora è dove si trova e... non ti consiglio di imporre qualcosa al destino, Rob, di solito porta sfortuna: accade il contrario di ciò che vuoi».
Calcolai le due opzioni: ucciderla a mani nude, o spiegarle che era un modo di dire.
Trovai troppo lente e scoccianti entrambe e lasciai correre.
E poi, del resto, quando Felix avrebbe avuto vent'anni, Freddie non sarebbe potuta stare al suo fianco.Comunque, sia, ecco perché mi ritrovavo a casa mia a sbucciare delle rose... supponendo sempre che una rosa si possa... sbucciare...
Felix giocava con una macchinina sul pavimento.Sì, solo i giocattoli migliori per mio figlio.
Notai che mi osservava dai suoi grandi occhi topazio.
«Sì, Fel, tua zia mi mette ai lavori forzati» scherzai.
«Tia è buona» borbottò di rimando.Certo, guai a parlare male di "Tia".
«Ovviamente» mormorai irritata continuando a togliere le spine alla povera rosa.
Accesi la televisione: se ero ai domiciliari, almeno dovevo godere il tempo a disposizione.
«Metti radio kaka» si lamentò Felix.
Scrollai le spalle. «No, dai, magari dopo...»
Un lampo di genio mi guizzò nel cervello.
Misi in una busta le poche rose senza spine, presi in braccio Felix e salii in macchina diretta da Friederike con l'idea del secolo.«Mio nipote è un genio!» esclamò entusiasta mentre scrivevo le poche note che avevo in testa su un foglio.
«Mio figlio è un genio» ribattei scocciata.
«Beh, sì, fa lo stesso, non è vero, Safi?» chiese Freddie al piccolo Felix seduto sulle sue gambe.
«Un giorno mi spiegherai cosa vuol dire?» chiesi.
«È per via dei suoi occhi, azzurri come il fondale del mare» spiegò accarezzando i capelli biondi del bambino.
STAI LEGGENDO
Mi chiamavano "Regina"
Teen FictionAvere un obiettivo è la più grande dichiarazione di guerra che fai a te stesso. Sai di dover lottare. Sai di dover resistere. Sai di dover annientare pregiudizi e vecchie tradizioni. Non mi aveva mai detto nessuno che mi sarebbe costato il mio s...