Capitolo 68: La Torre

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Erwin

Impiegai qualche secondo per riprendermi. L'adrenalina scorreva nel mio corpo come un fiume in piena.

Nell'area della torre, a sorpresa, non vi era alcuna guardia. In quel momento c'eravamo solo io e Pegasus.

- Sei persino più veloce di quanto ricordassi - dissi accarezzandolo lungo la criniera senza nascondere la mia commozione nell'averlo rivisto.

Voltai lo sguardo verso la torre. Era così alta che, da quella prospettiva, sembrava toccare il cielo.

- Aspettami qui bello, tornerò indietro con Evelyn.

Aprii la porta in legno ed entrai.

Ad accogliermi vi era una rampa di scale a spirale. Sembrava che nessuno avesse mai messo piede là dentro. Non si udiva alcun rumore, era come se quel luogo fosse separato dal resto del mondo. L'eco dei miei passi attraversava i miei timpani lasciando possenti sensazioni di angoscia e sorpresa. Continuavo a salire senza avere la benché minima idea di cosa avrei potuto trovare più avanti.

All'improvviso i fasci di luce che passavano da alcune fessure delle mura, si affievolirono, lasciando spazio all'oscurità. Era come se la notte fosse calata all'improvviso. Nel giro di pochi istanti nulla era più visibile.

"E ora che diavolo sta succedendo?"

In quell'istante mi ritrovai immerso nel buio più completo. Non riuscivo a intravedere nemmeno i miei piedi.

- Erwin.

Un debole richiamo giunse alle mie orecchie. Era una voce femminile, ma non riuscivo a capire a chi potesse appartenere. Decisi così di voltarmi e ciò che vidi mi pietrificò. Ero come se mi fossi teletrasportato in un altro luogo, completamente diverso.

Un'immensa stanza interamente ricoperta da specchi era di fronte a me. Guardai in basso e anche i miei piedi stavano calpestando uno specchio. Una luce proveniva da un'unica fessura posta sul tetto. Erano i raggi del sole che riflettendosi lungo tutti gli specchi facevano letteralmente brillare quel luogo. La mia immagine era riflessa ovunque. Era come se miliardi di me fossero tutti in quella stanza nello stesso momento.

"Ma che significa tutto questo?"

Per scoprirlo sarei dovuto andare avanti, decisi così di fare il primo passo. Gli specchi sembravano molto resistenti, non avrei corso il rischio di frantumarli calpestandoli.

Lontano da me vidi una sorta di sentiero, era l'unica strada possibile per proseguire. Iniziai ad accelerare il passo. Non avevo idea di dove mi trovassi, l'unica certezza che avevo era quella di dover uscire il prima possibile da quel luogo.

Dopo aver imboccato il sentiero, notai che la luce iniziava ad affievolirsi. Sempre di più, sempre di più. Al contempo la mia ansia per ciò che avrei trovato cresceva inesorabile.

"Ecco ci siamo."

La via terminava in un punto completamente buio. Vi entrai non senza timore, ma nonostante tutto il pensiero di ritrovare mia figlia mi donava la spinta necessaria per andare avanti.

"Dovrà pur esserci qualche altra fonte di luce."

Continuai imperterrito a camminare ma l'unica cosa che vidi fu il nulla.

Nessun suono, nulla di visibile, nulla di palpabile intorno a me. Era come essere immersi nel vuoto.

D'un tratto un agghiacciante pensiero scosse la mia mente.

"No, non può essere, non devo pensare queste cose."

Abbassai lo sguardo e lentamente cominciai a voltarmi osservando i primi fasci di luce provenire da dietro le mie spalle.

"No, no, no è assurdo."

Proprio come temevo. Dietro di me vi era nuovamente la stanza degli specchi. Era come se non avessi percorso neanche un metro dalla prima volta in cui vi entrai.

Un brivido strisciò lungo la mia schiena facendomi gelare il sangue.

"E ora come diavolo ne esco?"

Quella domanda avrebbe tempestato la mia anima, ma la vita di Evelyn era molto più importante della mia.


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