Heartquake (Part 7)

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Le valige ormai erano al sicuro e i ragazzi salirono sull'aereo, facendo attenzione a non scivolare sulla scaletta bagnata, con lo spirito alle stelle.
Il Messico era lontano solo sette ore di volo, ma è noto che anche i viaggi lunghi non hanno tanto effetto, quando si è con le persone alle quali si tiene di più.

A questo pensò Stiles seduto comodo sul sedile color bianco avorio, convincendosi, mentre ripassava con le hostess e gli steward le procedure di salvataggio e di sicurezza sull'aereo, che sarebbe stato un tragitto divertente tutto sommato.

I motori iniziarono a ruggire vigorosamente, e l'aereo partì con forza, destinazione Mexico City.

Le ragazze, con Allison, Kira e Lydia sedute accanto, dopo aver stappato le orecchie a causa della pressione ed essersi abituate al forte brusio del motore, passarono le prime 2 ore a scattare foto stupide con i loro cellulari. Le tre erano decisamente affiatate, tanto che erano quelle che più si facevano sentire.

«Non può essere un viaggio che si rispetti, se non si scattano foto idiote, mi sembra logico, no?» decretò entusiasta Lydia, estraendo dalla tasca la sua fotocamera nuova di zecca, color zucchero filato alla fragola.

«Certo, come abbiamo fatto a non pensarci?» rispose sarcasticamente Kira, che si era comunque già messa in posa, di fianco ad Allison, entrambe sorridenti.

«Cheese! Ecco fatto, adesso Allison scatta a me e Kira, e poi tu Kira ricambi con me e la signorina perfettina» puntualizzò la Martin, che adorava chiamare Allison con quel nickname, anche perché era la verità.
Non contente, le ragazze proseguirono, immortalando le loro smorfie: «Bocca a papera!» ordinava Lydia, e le altre la imitavano, «faccia sexy» proponeva Kira, e le due amiche la assecondavano.

«Sta venendo un servizio fotografico con i fiocchi, davvero...» disse Allison, divertita.

«Una meraviglia, un bijou, avete immortalato immagini da incorniciare in tutti i musei di arte moderna del mondo» borbottò Stiles, stufo di tutto quello starnazzare. Il ragazzo si era provato ad addormentare, rannicchiato contro il finestrino, ma il borbottio attorno a lui, lo starnazzamento delle sue amiche davanti e soprattutto il rumore del motore, non gli avevano permesso di chiudere occhio.
Si era convinto che poteva provare ad essere allegro, senza però riuscirci in nessun modo.
Senza contare il fatto che Isaac e Scott accanto a lui erano il ritratto della preoccupazione. A volte era così piacevole essere un umano: in fondo i due lupi potevano percepire catastrofi, d'accordo, ma proprio per questo non riuscivano a stare tranquilli.

«C'è brutto tempo in Messico, lo sento...» borbottò Isaac, insospettito.

«Piove a dirotto. Abbiamo 5 ore ancora di viaggio, spero non venga rimandato l'atterraggio, o spostato, sarebbe un grosso problema» ribattè Scott, pensieroso.

«Odio stare fermo immobile su uno stupido sedile. Non voglio nemmeno pensare ad un atterraggio rimandato» inveì Stiles, con i propositi di calma ormai gettati alle ortiche.

Anche i gemelli e Cora, che avevano trovato l'unica fila da quattro, insieme a Danny, sentivano che qualcosa nell'aria non quadrava.

Cora aveva acceso il lettore Mp3, isolandosi dal resto del gruppo, da Hale solitaria qual era.

Danny, Aiden e Ethan giocavano a Uno, con i due lupi che più di una volta avevano barato, per far vincere Danny, senza che il ragazzo se ne accorgesse.

Le hostess, dopo qualche altra ora di ozio o divertimento, a seconda dei casi, finalmente portarono il carrello del cibo, e i ragazzi ordinarono il più possibile, dato che avevano i crampi allo stomaco dalla fame.

Fu quello il momento in cui iniziarono gli scossoni.

Il pilota, tramite un comunicato, avvertì che ci sarebbero stati problemi e turbolenze, ma che l'atterraggio sarebbe stato tranquillo.

«Per fortuna, non ho voglia di passare tutto il viaggio così. Mi sta andando di traverso tutto quello che mangio» commentò Danny, sconsolato.

Stiles vide il suo panino finire sotto il sedile di Lydia, e la sua bibita rotolare per tutto il corridoio.
Il ragazzo dovette dire addio al suo pranzo, dato che l'aereo era scosso da forti tremori, ed era vietato quindi alzarsi. La turbolenza proseguì, a differenza delle aspettative di Danny, per un'ora buona, con lo Stilinski sempre più agitato e impaziente.
Il cuore del ragazzo batteva sempre più forte.

Non era piacevole viaggiare su un aereo che continuava a muoversi, e a dare l'impressione di poter precipitare da un momento all'altro: Stiles cercò di non pensare a quell'eventualità tragica, anche se l'angoscia stava giocando a suo sfavore.
Quando la pazienza del ragazzo stava ormai per esaurirsi, lasciando spazio al panico, ecco che il pilota annunciò di spegnere i cellulari e gli apparecchi elettronici, dato che sarebbero atterrati a breve.
Non solo il viaggio era terminato: i ragazzi si ritrovarono addirittura graziati dal maltempo. Nella zona della città dove risiedeva l'aeroporto, infatti, aveva miracolosamente smesso di piovere.

L'inquietudine dei lupi mannari, però non si placò facilmente.

I ragazzi, ancora scossi, arrivarono nella zona recapito bagagli, chi sazio e chi meno, in attesa di riprendersi ognuno la propria valigia.
Scott si guardò in giro, e notò il cartello del cambio valuta, che avrebbero dovuto affrontare dopo aver ripreso i bagagli. Il ragazzo diede una sonora gomitata a Stiles, tanto per fargli notare la scritta che campeggiava sul cartello rosso con scritti i valori di dollari ed euro.

«Stiles, ma è assurdo, guarda lì!» Sopra il cartello, infatti, campeggiava la scritta "Alfa e Omega Currency"

«Uhm, a me sembra un segno del destino. Magari qui in Messico succederà qualcosa che ti renderà ancora più alfa di quanto tu non sia, oppure diventerai un lupo solitario. Chissà...» fantasticò Stiles, mentre afferrava la sua valigia dal nastro trasportatore.

Terminato il processo, i ragazzi si diressero fuori dall'aeroporto, pronti per iniziare la loro settimana in Messico, che speravano, con il Coach in primis, terminasse con una vittoria.

Il viaggio nella navetta, che li portò diretti verso l'hotel, fu decisamente poco rilassante, dato il traffico che rallentava, e l'umidità presente. I ragazzi stavano stretti come sardine, e l'odore che proveniva dalle loro ascelle era poco gradevole. Stiles dovette avvicinarsi al finestrino, per prendere una boccata d'aria e rischiare di non svenire.

Nonostante tutto, però, i ragazzi ebbero la possibilità di osservare sin da subito la frenesia della città. Allison e Lydia, in particolare, che erano le più vicine ai finestrini, si divertirono a squadrare le casupole di colori accesi, attorniate da decine di cartelli pubblicitari.

Dopo un breve scorcio della città, ecco l'autostrada, che percorsero con difficoltà per una decina di minuti, incontrando vari tipi di macchine particolari.
«Il paesaggio è arido, sembra davvero quello della California» notò Danny, schiacciato tra Cora ed Aiden.

«Si, ci sono palme, erba secca e nuvoloni pesanti. Abbiamo mai lasciato Beacon Hills? A me sembra di no» notò Isaac, quasi sdraiato sull'unico sedile a disposizione, osservando il finestrino.
Le nuvole, in effetti, per essere un pomeriggio primaverile, erano bluastre, preavviso di un temporale che si sarebbe scatenato a breve.

A volte incrociavano cartelloni pubblicitari, spesso, invece, si trovavano davanti mercatini improvvisati, con un paio di bancarelle che vendevano frutta, verdura o pesce, con odori leggeri e più decisi che si mescolavano, facendo venire ancora più fame ai ragazzi.

Jeremy era accanto a Stiles, ma non lo aveva degnato di uno sguardo, ferito dal comportamento dello Stilinski di quella mattina.
Stiles, dal canto suo, si divertiva ad osservare i grattacieli che ora si stagliavano fieri davanti a loro. La zona della città era cambiata decisamente man mano che si avvicinavano all'hotel, che da quanto aveva capito, sbirciando la cartella di Finstock, sarebbe stato un hotel a quattro stelle.

Eccolo, infatti, dopo una mezz'ora di viaggio, l'Hotel Plaza Madrid, un palazzone grigio con la fiancata color crema, situato in una via che per certi versi ricordava le strade di New York, con grattacieli futuristici e macchine d'epoca parcheggiate lì accanto.

La navetta parcheggiò i ragazzi proprio di fronte all'entrata, costituita da un insegna rossa piuttosto semplice, con accanto un garage.
Essenziale, ma efficace.

All'interno l'albergo sembrava uno di quelli "esclusivi": una costruzione abbastanza moderna, e classica allo stesso tempo.
Rispecchiava quasi totalmente l'essenza di Città del Messico.

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